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Segue b) Rispetto alla disciplina sistematica dei conflitti di interessi.

Capitolo II 1 Il voto dei finanziatori soci.

9. Segue b) Rispetto alla disciplina sistematica dei conflitti di interessi.

La proposta di spiegare l’esclusione dal voto del 20% del credito del socio relativo ad un finanziamento “in funzione” con la sua posizione di titolare di un interesse conflittuale con quello degli altri creditori, come tale suscettibile di inquinare la corretta formazione della maggioranza per l’approvazione del concordato, può apparire eccentrica rispetto all’evoluzione che il nostro ordinamento ha avuto a seguito della riforma del diritto societario del 2003.

Quest’ultima, infatti, sembra aver eliminato il dovere di astenersi dal voto nella disciplina del conflitto di interessi tanto dei soci in assemblea (art. 2373 c.c.)105, quanto degli amministratori nelle delibere del consiglio (art. 2391 c.c.). Dunque, siccome la soluzione che qui si propone non trova espresso riconoscimento nel dettato normativo, ma ha natura interpretativa, essa potrebbe essere considerata non corretta in base ad una considerazione sistematica delle scelte di vertice compiute dalla legge106.

Tale obiezione non appare, tuttavia, sufficiente ad inficiare la ricostruzione che si è ritenuta qui corretta della previsione dell’art. 182 quater, ult. co., l.fall. per una serie di motivi concorrenti.

Intanto, focalizzandoci sulle prescrizioni di diritto commerciale sostanziale, si deve rilevare come se certamente un divieto di voto non è previsto nel 1 comma, esso permane invece come strumento di reazione alla situazione di conflitto di interesse disciplinata al 2 comma dell’art. 2373 c.c. In quest’ultima prescrizione, infatti, a differenza che per gli altri soci in conflitto, agli amministratori-soci è imposto un espresso divieto di voto nelle deliberazioni riguardanti la loro responsabilità. Il legislatore disciplina, quindi, in modo diverso e più rigoroso la posizione dei soggetti per i quali vi è una presunzione assoluta di conflitto.

In relazione al problema in esame si potrebbe dunque sostenere che l’esclusione dal voto del socio finanziatore è giustificata, anche tenendo conto della disciplina dell’art. 2373 c.c., perché il legislatore ha ravvisato in relazione a quel soggetto una presunzione       

105 In realtà che l’art. 2373, 1 e 2 co. c.c. anteriore alla riforma prevedesse il divieto di votare del socio

in conflitto di interessi era assai discusso. Per opportuni approfondimenti CIRENEI, Sub art. 2373, in

Commentario romano al nuovo diritto delle società, diretto da d’Alessandro, II, 1, Padova, 2010, 766

ss.; BONOTTO, Sub art. 2373 c.c., in Commentario alla riforma delle società, diretto da Marchetti-

Bianchi-Ghezzi-Notari, Milano, 2008, 198 ss.

assoluta di conflitto di interessi rispetto agli altri creditori chiamati ad approvare il concordato.

Quanto all’art. 2391 c.c., la dottrina largamente maggioritaria esclude che l’obbligo di astensione, previsto espressamente per il solo amministratore delegato, possa valer anche per qualsiasi amministratore interessato107.

Tale interpretazione è stata messa in discussione, però, da chi sostiene che il dettato della norma lasci ancora spazio per ritenere che all’amministratore interessato non sia tutt’oggi consentito di prendere parte alla decisione108.

Ma a prescindere dal fatto che quanto finora rilevato non consente di affermare in modo netto l’eccentricità sistematica di una disposizione di diritto concorsuale, la quale neutralizzi il conflitto di interessi del socio finanziatore rispetto ai creditori terzi, escludendo il primo dalle maggioranze necessarie ad approvare il concordato, vi è una ulteriore considerazione suscettibile di dirimere la questione.

Nel valorizzare l’argomento sistematico, occorre in primo luogo far riferimento al sistema del diritto fallimentare prima ancora che a quello del diritto commerciale sostanziale109.

Nella normativa fallimentare una disciplina del conflitto d’interessi esiste ed è posta dagli artt. 127 e 177 l.fall., i quali risolvono il possibile vizio alla formazione della volontà dei creditori attraverso l’esclusione espressa dal diritto di voto. Questa disciplina, per quanto la si ritenga lacunosa e suscettibile di interpretazioni adeguatrici o analogiche, testimonia comunque la scelta del legislatore di risolvere i conflitti di interesse sul piano preventivo del voto e non su quello successivo del giudizio di merito del tribunale110. Nel sistema concorsuale si adotta quindi un tipo di reazione al conflitto di interessi assolutamente coerente con quello qui proposto, indice di un ulteriore profilo di autonomia di esso rispetto alla disciplina di diritto sostanziale.

Si deve altresì rilevare che l’esclusione dal voto per l’accettazione del piano di salvataggio di un’impresa in crisi dei soggetti portatori di un conflitto di interessi è la soluzione adottata nell’ordinamento che certamente ha costituito il modello di riferimento della nostra riforma del diritto fallimentare, ovvero quello statunitense.       

107 Per ampi riferimenti si rinvia a GUIZZI, Gestione dell’impresa e interferenze di interessi, Milano,

2014, 37 nt. 32.

108 V., anche per maggiori ragguagli sugli argomenti adotti a sostegno della tesi accennata nel testo e

per un puntuale replica alle critiche che la ricostruzione ha suscitato nella dottrina maggioritaria, GUIZZI, op. ult. cit., 39 ss., il quale, fra l’altro, evidenzia (nt.34) come l’obbligo di astensione

dell’amministratore interessato continui ad essere previsto nella maggior parte degli ordinamento continentali.

109 I due sistemi tendono ad essere sempre più divaricati, come dimostra la tendenza sempre più diffusa

della dottrina più recente ad elaborare regole di diritto c.d. societario della crisi, tale in quanto governato da principi autonomi da quelli ai quali è ispirato il diritto sostanziale (per tutti sul punto v. TOMBARI, Principi e problemi, passim). La convinzione trova riscontro anche in giurisprudenza: si pensi - a

prescindere dal fatto che le conclusioni a cui perviene siano criticabili - il recente arresto della Cassazione cit. in materia di conflitto di interessi proprio nel concordato preventivo, la cui motivazione è proprio fondata sul rifiuto della trasponibilità della disciplina del fenomeno nel codice civile alla materia concorsuale.

110 Così correttamente D’ATTORRE, Concordato preventivo proposto da controllante ed esclusione dal

Dunque, anche alla luce dell’argomento comparatistico la soluzione qui proposta per il nostro ordinamento non presenta alcun profilo di eccentricità.

Il § 1129(a) n.10 del Bankruptcy code prescrive, infatti, per il cram down che almeno una classe di crediti impaired abbia approvato il piano di reorganization, “excluding acceptance by any insiders”, i quali, secondo la definizione contenuta nel §101 n. 31 del medesimo atto normativo, sono soggetti portatori di un interesse conflittuale con quello comune dei creditori concorrenti per il particolare legame che intrattengono con il debitore111.

Peraltro, le soluzioni alternative proposte in dottrina per immunizzare la formazione della maggioranza per l’approvazione del concordato dal conflitto di interessi risultano meno convincenti di quella qui proposta.

Considerando utilizzabile a tal fine la formazione delle classi112, si impone di configurarne la costituzione come obbligatoria. Soluzione sulla quale sussiste una netta divergenza di opinioni nella giurisprudenza teorica e pratica113.

Oltre a ciò, una simile misura appare insufficiente ad impedire l’inquinamento della maggioranza da parte del portatore di un interesse conflittuale rispetto a quello comune dei votanti, poiché essa implica che i soggetti in conflitto di interessi siano comunque legittimati al voto e quindi concorrano alla formazione della maggioranza per massa e per numero di classi114.

Non condivisibile appare anche l’ulteriore possibile reazione al conflitto di interessi, individuata nella valutazione della sua sussistenza nel giudizio di omologazione. Oltre a quanto si è già rilevato a proposito delle norme di diritto fallimentare che disciplinano ipotesi in cui sussiste il conflitto115, infatti, si deve altresì rilevare come questa tesi       

111 Negli Usa comunque la definizione di insider contenuta nell’art. cit. nel testo è considerata non

tassativa e le corti hanno fornito interpretazioni sia che ne ampliano la portata sia che la restringono (LICHTENSTEIN, Who is an insiders for voting purpose in a single asset chapter 11?, in Journal of bankruptcy law and practice, 2001, 279 ss.).

112 La formazione delle classi è proposta quale possibile misura contro il conflitto di interessi in

D’ATTORRE, I concordati, cit., 191 e nt. 118 per riferimenti e Trib. Messina, 4 marzo 2009, cit..

113 Per ampi riferimenti sulla questione v. D’Attorre, I concordati, cit., 193 nt.121; e sia consentito

rinviare a BENEDETTI, Il trattamento, cit. La non obbligatorietà delle classi nel concordato sembra

trovare un argomento decisivo anche in quanto previsto nella bozza di legge delega Rordorf: in essa all’art. 6, co. 1, lett. c) si prevede che il legislatore delegato debba prevedere i casi “nei quali è obbligatoria la formazione delle classi”. Dalla previsione si desume che la formazione delle classi debba essere prevista come obbligatoria in certi casi, ma non sia sempre necessaria.

114 Così, condivisibilmente, M.CAMPOBASSO, Sub art. 2467, cit., 262. Si noti peraltro che risulterebbe

difficilmente spiegabile configurare una diversa reazione per il conflitto di interesse del socio rispetto a quella contemplata dagli artt. 127 co. 5 e 6 e 177, co. 4 l.fall., posto che il socio classato sarebbe comunque ammesso a votare a differenza dei soggetti rientranti nell’ambito di applicazione di tali disposizioni. Alla base di queste ultime vi è una presunzione assoluta di conflitto di interessi. Appare però plausibile -per quanto si è rilevato nel testo - che essa sia configurabile anche nei confronti del creditore che è anche socio. Dunque una diversità di trattamento rispetto ad un medesimo problema risulterebbe difficilmente accettabile.

115 Non si vede per quale ragione rispetto alle ipotesi di conflitto non espressamente disciplinate da

norme della legge fallimentare la tutela del creditore debba essere posticipata al momento del giudizio di omologazione e si debba consentire la formazione di una volontà collettiva che può essere viziata

comporti un ampliamento del potere del tribunale di sindacare il merito della proposta al di là dei limiti che la riforma sembra aver voluto porre rispetto a quel tipo di giudizio116. 10. Conseguenze della giustificazione dell’esclusione dal voto dei soci finanziatori “in funzione”.

La ricostruzione appena esposta si rivela di particolare interesse laddove si ritenga di condividere quelle opinioni dottrinali, secondo le quali la prededucibilità normativamente riconosciuta ai crediti dei componenti la compagine sociale, per l’80% o per l’intero ammontare del loro importo, non vale ad assicurare il loro soddisfacimento per intero e alla scadenza pattuita nel concordato. Secondo questa tesi, infatti, l’esclusione dal voto delle pretese dei soci prescinde dall’attribuzione della prededucibilità e non ha più una giustificazione differenziata a seconda che ci si riferisca alla percentuale antergata nel rimborso o a quella non avente analogo rango.

L’esclusione dal computo della maggioranza dell’intero credito del membro della compagine sociale sarebbe, così, da ricondurre unicamente agli interessi in conflitto con quello dei creditori-terzi, immanente nel cumulo della qualità di finanziatore e di socio della finanziata.

11. L’esclusione del socio finanziatore dal computo della percentuale di cui all’art. 182 bis, 1 co., l.fall.: considerazioni preliminari.

La necessità di separare la trattazione relativa alla previsione di cui all’art. 182 quater, ult. co., l.fall. rispetto, da un lato, al concordato preventivo e, dall’altro, agli accordi di ristrutturazione deriva dal fatto che i meccanismi previsti dalla nuova legge fallimentare per pervenire al perfezionamento delle due diverse fattispecie sono marcatamente diversi.

Nella disciplina degli artt. 160 ss. per il concordato preventivo, si prevede quale necessario passaggio procedurale, la sottoposizione della proposta del debitore al voto dei creditori, che devono approvarla a maggioranza, con esclusione dal computo di quest’ultima dei creditori privilegiati, salvo l’eccezione di cui all’art. 177, 2 co., l.fall. Quanto alla stipulazione di un accordo di ristrutturazione dei debiti, invece, appare chiaro, a livello concettuale, come la soglia indicata dal 1° co. dell’art. 182 bis l.fall. non sia configurabile alla stregua di una maggioranza. Com’è stato giustamente osservato, infatti, «l’accordo di ristrutturazione è un normale contratto di diritto privato regolato       

dal conflitto, mentre negli artt. 127 e 177 l.fall si ricorre al diverso strumento, preventivo, dell’esclusione dal voto (v. in tal senso D’ATTORRE, I concordati, cit., 196-197).

116 Per la tesi da ultimo esposta nel testo v. CALANDRA BUONAURA, Disomogeneità, cit., 27 ss.;

TERRANOVA, Conflitti d’interessi, cit., 192 ss.; BOZZA, Facoltatività della formazione delle classi nel concordato preventivo, in Fallimento, 2009, 424 ss. Per la critica a tale tesi si v. D’ATTORRE, I concordati, cit., 195 ss. e da ultimo SANTAGATA, Concordato preventivo “di gruppo” e “teoria dei

non dal principio maggioritario […] ma da quello dell’unanimità delle parti contraenti»117. A ciò deve aggiungersi che, ad avviso dell’opinione maggioritaria, non sono trasponibili al computo della percentuale del 60% le regole circa l’attribuzione del diritto di voto vigenti per il concordato preventivo: nella base di calcolo devono essere considerati tutti i creditori, senza distinzione fra chirografari e privilegiati118.

Si tratta, quindi, di comprendere se e come queste differenze sussistenti fra l’approvazione della proposta di concordato o di accordo di ristrutturazione dei debiti reagiscano sulla spiegazione della previsione dell’art. 182 quater, ult. comma, l.fall.119.

Intanto, per gli accordi di ristrutturazione non è possibile giustificare l’esclusione

delle pretese dei soci finanziatori dal calcolo del 60% dell’ammontare dei crediti

in forza della prededucibilità loro accordata. Si è appena detto, infatti, che nella

percentuale di cui al 1 comma dell’art. 182 bis, rientrano, indifferentemente,

tanto i creditori chirografari quanto quelli privilegiati. Il rango del credito, ovvero

la sua collocazione nell’ordine del soddisfacimento, acquista rilievo nel

fallimento dove la distribuzione delle somme o delle attribuzioni patrimoniali

deve avvenire seguendo l’ordine dell’art. 111 l.fall.; oppure nel concordato

preventivo, nel quale la disciplina relativa al voto ha come referente

fondamentale la distinzione di diritto sostanziale di cui all’art. 2741 c.c., fra

creditori prelatizi e creditori chirografari; ma non sembra assumerne negli

accordi di ristrutturazione, per i quali rileva solo l’adesione o meno all’accordo,

che distingue i creditori verso i quali adempiere con le modalità ed i tempi

      

117PRESTI, Gli accordi di ristrutturazione dei debiti, in Banca, Borsa, tit. cred., 2006, 25; MUNARI, Crisi

d’impresa e autonomia contrattuale nei piani attestati e negli accordi di ristrutturazione, Milano, 2012,

177 ss. e ntt. 154 e 155 per ampi ulteriori riferimenti. Su posizione particolare SICCHIERO, Efficacia erga omnes degli accordi di ristrutturazione (art. 182 bis l.fall), in Contr. impr., 2011, 9 ss. Si è già

detto sopra in nt. che la conclusione nel testo, se rimane valida per la generalità degli accordi, deve essere rivista per quelli stipulati con banche ed intermediari finanziari (i cui crediti superino la metà dell’indebitamento complessivo del debitore), per i quali il nuovo art. 182 septies l.fall., introdotto dal d.l. 83/2015 prevede l’estensione degli effetti approvati da una maggioranza qualificata ivi prevista anche ai creditori appartenenti alle medesime categorie dissenzienti.

118 VALENSISE, Gli accordi, cit., 360 ss.; M.CAMPOBASSO, Sub art. 2467, cit., 266, proprio nell’ambito

della riflessione sul computo dei soci finanziatori per la conclusione degli accordi di ristrutturazione; MUNARI, op. cit., 179 nt. 152 e 154 ove ampi riferimenti. In senso contrario all’opinione prevalente v. PEZZANO, Gli accordi di ristrutturazione dei debiti ex art. 182 bis l.f.: una occasione da non perdere,

in Dir. fall., 2006, II, 690, che restringe il conteggio ai soli chirografari, in coerenza con la previsione in materia di concordato (v. anche FERRO, Sub art. 182 bis, in La legge fallimentare, a cura di Ferro, 2011, 2124 ss., e Trib. Roma, 16 ottobre 2006, cit. In argomento anche FAZZI, Questioni in tema di accordi di ristrutturazione dei debiti, in Dir. fall., 2011, 352 ss. e Trib. Roma, 20 maggio 2010, cit.).

119 Si noti che la differenza sussistente fra il meccanismo di approvazione del concordato e dell’accordo

di ristrutturazione emerge anche dalla lettera dell’ult. comma della norma in esame che si riferisce, separatamente al voto e al computo della maggioranza, quanto al concordato e alla percentuale dei crediti prevista dall’art. 182 bis, 1 e 6 co., l.fall., quanto all’accordo. E v. anche M.CAMPOBASSO, Sub art. 2467, cit., 266, il quale afferma espressamente che “le conclusioni raggiunte riguardo al trattamento

dei soci nel concordato preventivo non sono suscettibili di acritica astensione agli accordi di ristrutturazione dei debiti”; NARDECCHIA, Sub art. 182 quater, cit., 2019 ss.

concordati, da quelli estranei da pagare integralmente sia pure entro il termine

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