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Nel XIX secolo la disoccupazione era ritenuta la causa principale della povertà e nell’immaginario il povero era l’operaio Piuttosto che intervenire sul mercato del lavoro s

3. la famiglia: assenza della fanciullezza come età protetta, precoce iniziazione al sesso, libere unioni, frequente abbandono di moglie e figli da parte degli uomini, famiglie

2.4 Alberto Salza: antropologia della povertà estrema

“Nei pressi di Manza, in Tanzania, c’è un’isola fetente come fosse immersa nei liquami del Lago Vittoria. Ci abitano giovani pescatori e prostitute, miserabili rifiuti umani. Sono il risultato di una complessa degradazione ambientale (introduzione del pesce persico a scopi industriali) e sociale (sradicamento parentale, inurbamento, traffico d’armi, HIV). Su di una baracca si legge, dipinto a grandi lettere ben staccate, questo graffito: ESSERE POVERI E’ COME ESSERE VECCHI”(Salza A., 2009, p. 3).

Che cos’è la povertà? Chi sono i poveri? Perché sono poveri? Che cosa si può fare a riguardo? Sono le domande che accompagnano Alberto Salza nei territori della povertà e della miseria. Un povero del Ghana, che l’antropologo ha incontrato in uno dei suoi viaggi, ha dato questa definizione di povertà: “è come il caldo. Non puoi vederlo, puoi solo sentirlo. Così, per

conoscere la povertà bisogna passarci attraverso”24.

Leggere l’opera di Salza ci mette di fronte a una povertà che è conseguenza delle scelte di consumo e degli stili di vita imposti dai paesi a sviluppo avanzato, ci fa incontrare poveri che si sentono come rifiuti eliminati dal mondo ricco, ci fa guardare in faccia la miseria: una povertà materiale “accompagnata dalla piena involuzione culturale, ovvero la perdita di identità, mercificazione, demolizione della famiglia, fine dello stato sociale, isolamento, destrutturazione educativa, terrore, guerra continua, catastrofi globali, scenari imprevedibili, vuoti di pensiero”25.

Scendere nel mondo dei poveri estremi per incontrarli e dare loro voce significa affrontare un viaggio in un mondo completamente altro rispetto al nostro, significa attraversare “luoghi ostili e desolati, una zona simile a quella che i corrispondenti di guerra chiamano «territorio comanche» (Indian country), dove vigono regole differenti; una terra dove l’inconsapevolezza delle regole di comportamento crea insidie umane, dove l’ignoranza è foriera di catastrofi e, soprattutto, ove i nativi fanno cose incomprensibili”26.

In questa sorta di discesa agli inferi incontriamo la zona grigia abitata dagli equilibristi della quarta settimana, le persone che devono fare salti mortali per arrivare a fine mese, tagliando le spese27, andando al supermercato con la calcolatrice, chiedendo prestiti, leggendo il giornale al

bar... Poi entriamo nelle terre del Niente.

24 A. Salza, Niente. Come si vive quando manca tutto. Antropologia della povertà estrema, Milano, Sperling &

Kupfer, 2009, p. 53.

25 Idem, p.7. 26 Idem, p. 12.

27 Secondo i dati Istat gli Italiani nel 2008, per la prima volta dopo il 2002, hanno ridotto i consumi in termini reali;

Niente cibo

830 milioni di persone sono denutrite o a rischio di morte per fame. Pane e vita in egiziano sono indicati con la stessa parola: proprio dall’Egitto, dove il prezzo del pane in pochi mesi è aumentato del 50%, nella primavera del 2008 si sono accese le prime rivolte mosse dalla fame contro i forni e i negozi alimentari. Questo mondo affamato entra anche nelle nostre case, quando al telegiornale vediamo i ventri gonfi e le braccia e le gambe scheletriche di bimbi africani con gli occhi pieni di mosche; di fronte a queste immagini ognuno di noi deve decidere cosa fare: “può spegnere la TV, per non doversi sorbire ancora una volta, giusto all’ora di pranzo, il tedioso spettacolo di bimbi scheletrici che frugano nell’immondizia. Oppure può decidere di investire una quota dei suoi risparmi in azioni dell’agrindustria, come consigliano sul web dozzine di società di consulenza finanziaria. Infine può scrivere al proprio deputato in Parlamento chiedendogli di adoperarsi per far costruire attorno alla penisola, Alpi comprese, un muro alto 12 metri per tener fuori gli affamati”28. Ma questo muro non sarebbe abbastanza,

perché la fame è anche all’interno dei paesi ricchi: «Tre di notte. Questo essere umano non ha

mangiato da dieci giorni, ma è ancora vivo. Voglio mangiare riso. Voglio mangiare un pugno di riso»29, sono le ultime parole che un disoccupato giapponese ha confidato al suo diario:

cinquantenne, diabetico e alcolizzato, perde la licenza di taxista e insieme al il lavoro perde anche il diritto all’assistenza… viene ritrovato un mese dopo il decesso nella sua casa alla periferia di Kitakyushu.

Niente acqua

L’acqua sulla Terra non manca, il problema è che per il 97% è salata, quindi imbevibile, il restante 3% è prezioso come l’oro, perché l’acqua è la vita. Il bere acqua contaminata costituisce la seconda causa di mortalità infantile: 2 milioni di morti ogni anno. Per sensibilizzare l’opinione pubblica rispetto a questo problema nelle strade di New York i volontari dell’Unicef hanno posizionato delle macchinette erogatrici di bevande contaminate: acqua alla salmonella, acqua al tifo, alla malaria, al colera, all’epatite, alla dissenteria, alla febbre gialla e al dengue. Ogni bottiglia costa un dollaro e ogni dollaro raccolto permette di garantire acqua pulita per 40 giorni a uno dei tantissimi, troppi, bambini che normalmente non può scegliere tra acqua sporca e pulita.

Il problema dell’accesso all’acqua potabile non riguarda solo la salute, ma ha delle ripercussioni

28 L. Gallino, “Così l’occidente produce la fame nel mondo” in La Repubblica, 10 maggio 2008, in A. Salza, op.

cit. p. 109.

anche sull’istruzione: Salza ci ricorda infatti che non avere acqua in casa o nel villaggio significa non poter andare a scuola per tutti i bambini e le bambine che devono raggiungere i pozzi e impiegano anche tutto il giorno per portare l’acqua alle loro case.

Niente casa

C’è un mondo che abita in strada anche nelle nostre città, o in una baracca di lamiere o costruita con materiali di recupero negli slum o lungo i fiumi dove si accampano i rom, o sui tetti come al Cairo, dove lavoratori e studenti, non poverissimi, ma non ricchi abbastanza per permettersi l’affitto di un appartamento, pagano per avere un posto letto sotto le stelle.

Ma la mancanza di un tetto ha anche un significato più profondo: niente casa (house) significa anche niente dimora (home), niente spazio privato, niente privacy.

No toilet

Fogne a cielo aperto, servizi igienici a pagamento controllati da chi ha il potere nelle baraccopoli, sacchetti plastica lanciati sui tetti, bambini che giocano nelle fogne, ragazze costrette ad alzarsi prima dell’alba per raggiungere una zona sicura dove poter andare in bagno senza rischiare uno stupro, persone che per vivere rimuovono a mano gli escrementi umani accumulati nelle latrine e nelle fosse lungo la strada… ecco cosa significa “no toilet”.

Niente salute

Voci dal mondo che non ha diritto alla salute30: «I malati non hanno diritto di vivere» (Georgia),

«Siamo pelle e ossa pallidi e deprivati: la vita ci ha fatto ammalare» (Addis Abeba). In Tanzania gli albini vengono uccisi e fatti a pezzi dagli stregoni, in Congo la loro pelle è venduta insieme agli altri prodotti del mercato; i malati del Terzo mondo, e i bambini in particolare, sono le cavie delle grandi aziende farmaceutiche occidentali, sono considerati animali da laboratorio e i loro geni vengono brevettati: come possiamo accettare tutto questo senza provare orrore, rabbia e vergogna?

Niente istruzione

Il diritto all’istruzione è negato ai 100 milioni di bambini, figli (e soprattutto figlie) di famiglie povere che non sono in grado di sostenere le spese per il trasporto, i libri, le divise scolastiche, o che hanno bisogno di forza lavoro e devono scegliere quali dei figli mandare a scuola: i pastori

sambru incontrati da Salza in Kenya mandano a scuola i ragazzi con meno doti e meno capacità, per dar loro una possibilità in più di sopravvivenza. Ma non dobbiamo dimenticare che l’istruzione è un diritto negato anche ai 900.000 ragazzi italiani che hanno abbandonato precocemente la scuola...

“Una donna di El-Gabwaber, Egitto, a proposito del fatto che i suoi genitori l’avevano ritirata da scuola per mancanza di soldi, molto tempo fa: «quando lo fecero, mi condannarono a morte»”31.

Niente pace

Voci: «La fine del combattimento ci ha resi pazzi: è come sedersi e morire. Da vivi» (profugo somalo dopo l’invasione etiope), «Non abbiamo paura della morte perché la vediamo tutti i

giorni» (un ragazzo giamaicano)32. Secondo Salza la povertà è il terreno ideale per l’illegalità e il

conflitto: è infatti molto facile guardare ai poveri, brutti, sporchi e cattivi come a nemici, sono il perfetto capro espiatorio. E questo meccanismo accade nel piccolo anche nelle nostre città, quando in nome della sicurezza i rom vengono sbaraccati, quando si costruiscono muri e inferriate per tenere lontano i poveri - ladri in potenza -, o quando i senza dimora vengono presi a calci, picchiati o addirittura dati alle fiamme da gruppi di ragazzi “per bene”.

Niente donne

“Nei luoghi della miseria nera le donne non devono esistere. La loro terribile apparenza di madri e spose è insostenibile per gli uomini”33: quindi solo femmine, solo corpi contro cui scaricare la

violenza, o togliersi una voglia o solo serve senza diritti, se non quello di fare quello che dicono gli uomini. In guerra le donne sono le vittime più esposte, soprattutto per la pratica della violenza sessuale a scopi di genocidio: lo stupro è utilizzato come forma di punizione collettiva e di sterminio di un etnia.

Niente vecchi e bambini

In Somalia, nel 1991 (anno di carestia e guerra civile), Salza è antropologo embedded- inserito nell’esercito - in un programma di distribuzione di beni alimentari e si scontra con un miliziano dei signori della guerra che ruba il cibo ad anziani e ai bambini: la spiegazione è semplice, secondo i miliziani dare cibo a chi è ormai vecchio o al contrario ancora piccolo significa nutrire dei morti, degli esseri inutili e improduttivi visto che ai bambini manca la cultura e agli anziani

31 Idem, p. 171. 32 Idem, p. 187. 33 Idem, p. 210.

la capacità riproduttiva, bisogna invece pensare ai vivi.

Gli stessi genitori arrivano al punto di considerare un peso insostenibile e inutile il mantenimento dei figli: quando le famiglie non riescono a sfamare i figli, i bambini sono messi in strada, altre volte sono loro a scappare dalla fame e dalle violenze subite tra le mura domestiche.

Un altro esempio terribile della negazione dell’infanzia avviene in Congo dove, negli ultimi dieci anni, migliaia di bambini e bambine sono stati uccisi, perché accusati di essere bambini-strega, anche se la Costituzione vieta di accusare i bambini di stregoneria.

Niente sicurezza

Voci: «Ogni giorno ho paura di quello seguente» (giovane russo), «Dove c’è insicurezza non c’è

vita» (somalo di Dagar), «La povertà è come la galera. Si vive in prigione, in attesa di essere liberi sotto cauzione»34.

Povertà nell’immaginario dei benestanti è connessa al crimine e quindi all’insicurezza, il povero è guardato come a un criminale in potenza, il bivaccare lungo le strade o il chiedere l’elemosina in alcuni casi sono stati perseguiti come reati. Secondo Salza in realtà non è tanto la povertà a generare insicurezza e criminalità, piuttosto l’insicurezza è una delle cause della povertà: “povertà e crimine si rafforzano a vicenda attraverso l’insicurezza dei più deboli, come provano i crescenti successi delle mafie mondiali. Nelle aree di insicurezza, la prevalenza del crimine scoraggia gli investimenti e gli affari, aumentando la miseri della popolazione. Zone ad alta criminalità attraggono ulteriori criminali”35.

Niente diritti

La povertà, secondo Mary Robinson, alto commissario ONU per i diritti umani, è la più grave violazione dei diritti umani nel mondo: i poveri non hanno documenti di identità, non sono liberi di muoversi, non hanno il diritto alla salute o alla sicurezza, non possono documentare di possedere quel poco di terra o la casa o il bestiame… quasi la metà delle donne incontrate in Ogaden da Salza dichiara di non avere diritti.

Come noi ricchi guardiamo a questi poveri estremi? Provocatoriamente Salza paragona lo sguardo degli occidentali benestanti sui poveri a quello che corse tra Primo Levi e il Doktor Pannwitz, ad Auschwitz: non è uno sguardo tra due uomini, ma tra due esseri che abitano mezzi diversi (come l’aria e l’acqua) e quindi mondi diversi e si guardano come attraverso il vetro di

34 Idem, p. 242. 35 Idem, p. 245.

un acquario. Dall’incontro con i più poveri e miseri della terra, all’antropologo è sorto il dubbio che forse non siamo di fronte solo a cultura diversa, ma addirittura alla nascita di una nuova specie umana: l’homo nihil, l’uomo del niente.

E cosa accadrà dopo questa mutazione antropologica? Aumenteranno i conflitti, le rivolte dei poveri, i tentativi degli uomini del niente di raggiungere le terre dell’abbondanza? O il mondo ricco saprà invertire la rotta, ridistribuire la ricchezza, promuovere l’istruzione, il riconoscimento della dignità e i diritti di ogni essere umano?

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