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Nel XIX secolo la disoccupazione era ritenuta la causa principale della povertà e nell’immaginario il povero era l’operaio Piuttosto che intervenire sul mercato del lavoro s

Grafico 3.3: Il rischio di povertà degli anziani secondo il genere

5. Una pedagogia attenta alle nuove e alle vecchie povertà

5.1 La riflessione pedagogica sui poveri e sulla povertà

5.1.2 Freire e la pedagogia degli oppress

“Agli straccioni del mondo

E a coloro che in essi si riconoscono E così riconoscendosi con loro soffrono

Ma soprattutto con loro lottano” (P. Freire, 2002).

“Se nulla resterà di queste pagine, speriamo che resti almeno la nostra fiducia nel popolo. La nostra fede negli uomini e nella creazione di un mondo dove sia meno difficile amare” (P. Freire, 2002, p. 184).

Il Brasile è il campione della disuguaglianza sociale: il 10% dei ricchi possiede il 40% della ricchezza del paese e il 10% dei poveri lo 0,1%... é in questo contesto, segnato da grande povertà e ingiustizia, che Freire ha operato come educatore popolare e pedagogista a servizio dei poveri e ha elaborato la “Pedagogia dell’oppresso”.

Così Ernani, nella postfazione all’edizione italiana di La Pedagogia degli oppressi, parla di Feire: “Paulo Freire è un pensatore impegnato con la vita: non pensa delle idee, pensa l’esistenza. È anche educatore. […] In queste società, dominate da interessi di gruppi, classi e nazioni dominanti, «l’educazione come pratica della libertà», postula necessariamente una “pedagogia dell’oppresso”. Non pedagogia per lui, ma di lui”23. Tutta l’opera di Freire è dedicata

alla prospettiva degli oppressi, a dare voce al popolo e al tema fondamentale dell’educazione come strumento di liberazione. L’educazione ha infatti un ruolo fondamentale nella formazione di una coscienza critica e criticizzante e secondo Freire deve essere educazione alla speranza, ottimismo critico. Infatti solo una visione sempre critica della propria condizione e della società, come qualcosa di incompleto e in divenire, permette all’uomo di problematizzare il suo essere nel mondo e di mettersi in dialogo con l’altro, per cambiare la realtà. Freire sostiene fermamente che l’uomo, pur vivendo in un tempo e uno spazio dato che lo condizionano, ha il potere di intervenire e di modificare il mondo: “la sua lotta nel tempo consiste proprio nel superare le forze che tendono ad accomodarlo, adattandolo alla realtà. È la lotta per la sua umanizzazione costantemente minacciata dall’oppressione che lo schiaccia proprio in nome (e questo è l’aspetto più doloroso) della sua stessa liberazione”24.

23 M.F. Ernani, “Postfazione”, P. Freire, La pedagogia degli oppressi, edizione italiana a cura di L. Bimbi, Torino,

EGA, 2002, p. 185.

Oppressori e oppressi, entrambi bisognosi di umanizzarsi

L’oppressione nasce da un atto di violenza compiuto da chi detiene il potere: ai loro occhi, il privilegio della ricchezza è un diritto, perché l’hanno conquistato con sforzi e correndo dei rischi che gli “altri” - gli oppressi, i poveri, i pigri, gli incapaci, gli inetti - hanno paura di affrontare. Il potere, secondo Freire, alimenta coscienze possessive e sadiche, che trasformano tutti e tutto in oggetti da dominare per avere di più - e quindi valere di più - e si tramanda di generazione in generazione, da oppressore a oppressore. Freire crede che sia compito degli oppressi rompere questo circolo vizioso e lavorare per la trasformazione del mondo, cioè la liberazione di se stessi e allo stesso tempo dei propri oppressori, perché entrambi hanno bisogno di “umanizzarsi”. “Umanizzazione e disumanizzazione, nella storia, in un contesto reale, concreto, obiettivo sono possibilità degli uomini come esseri inconclusi e coscienti della loro inconclusione. Ma anche se tutte e due costituiscono una possibilità, solo la prima ci sembra costituire la vocazione dell’uomo. Vocazione negata, ma affermata dentro la sua stessa negazione. Vocazione negata nell’ingiustizia, nello sfruttamento, nell’oppressione, nella violenza degli oppressori. Ma affermata nell’aspirazione alla libertà, alla giustizia, alla lotta degli oppressi per il recupero della loro umanità rubata”25. Da questo punto di vista sia gli oppressi sia gli oppressori sono poveri,

perché entrambi impossibilitati a vivere pienamente la propria umanità a causa delle dinamiche di oppressione che condizionano le loro vite, le scelte e le relazioni. La pedagogia dell’oppresso vuole quindi liberare sia l’oppresso sia l’oppressore, per permettere a entrambi di essere uomini e donne “più umanizzati”.

L’umanesimo di Freire si può riassumere in un concetto: alfabetizzare è coscientizzare, è imparare a dire la propria parola, è creare cultura, è trasformare il mondo, “è forse questo il senso più esatto dell’alfabetizzazione: imparare a scrivere la propria vita, come autore e testimone della propria storia; farsi biografia, esistenza, storia”26.

Perché questa liberazione-umanizzazione possa avvenire, gli oppressi non devono divenire a loro volta oppressori, ma riconoscere di portare dentro di loro l’oppressore: la cosa più difficile è proprio togliere l’oppressore dalla testa dell’oppresso, per aiutare i poveri a uscire non solo dall’esclusione sociale, ma anche dall’oppressione psicologica di cui sono vittime più o meno cosnsapevoli. Purtroppo non basta sapere di essere oppresso per liberarsi, come non basta riconoscersi oppressore dei poveri per divenire solidale con loro: occorre mettersi insieme per trasformare la situazione concreta che genera la dinamica di oppressione. Per questo motivo la pedagogia dell’oppresso è “la pedagogia degli uomini che si impegnano nella loro propria

25 P. Freire, La Pedagogia degli oppressi, op. cit., p. 28. 26 M.F. Ernani, op. cit., p. 186.

liberazione”27 ed è elaborata insieme agli oppressi.

Il cambiamento prevede due momenti: prima di tutto gli oppressi devono scoprire la loro oppressione e impegnarsi a trasformare la realtà, perché “finché gli oppressi non prendono coscienza delle cause del loro stato di oppressione, accettano con fatalismo il loro sfruttamento. Peggio ancora, con molta probabilità assumono posizioni passive e alienate di fronte alla lotta per la conquista della libertà […] a poco a poco si sviluppa nell’oppresso la tendenza ad assumere forme di azione tipiche del ribelle”28. Nel secondo momento la Pedagogia degli

oppressi diventa la pedagogia di tutti gli uomini in un processo di liberazione permanente. L’educatore si fa compagno degli oppressi nel percorso in cui il sapere si costruisce insieme, nella ricerca, nella creatività, nell’invenzione e non nell’educazione depositaria, volta all’assimilazione, che vede gli oppressi come coloro che non si sono adattati, che sono fuori, emarginati e che devono integrarsi, cambiare mentalità… “in verità però, i cosiddetti emarginati, che sono gli oppressi, non mai stati ‘fuori di’. Sono sempre stati ‘dentro di’. Dentro la struttura che li trasforma in ‘esseri per l’altro’. La loro soluzione allora non consiste nell’“integrarsi’, nell’ ‘incorporarsi’ dentro questa struttura che li opprime, ma nel trasformarla per divenire ‘esseri per sé’”29.

Freire crede che la forza liberatrice dell’educazione stia nell’essere:

problematizzante e volta al cambiamento e per questo rivoluzionaria, aperta alla possibilità e quindi profetica e capace di speranza: il punto di partenza è la situazione in cui gli uomini si trovano qui ed ora, vista non come un destino ineluttabile, ma come una sfida, un problema che li limita, ma è superabile, “approfondendo la presa di coscienza della situazione, gli uomini se ne ‘appropriano’ in quanto realtà storica, cioè in quanto realtà suscettibile di essere trasformata”30;

dialogica: educatore ed educando sono entrambi ricercatori critici che danno significato a se stessi e al mondo educandosi a vicenda. L’uomo è comunicazione, togliergli la parola e la possibilità di dialogo significa trasformarlo in oggetto. Il dialogo è quindi un’esperienza esistenziale e creativa: “esso è l’incontro in cui si fanno solidali il riflettere e l’agire dei rispettivi soggetti, orientati verso un mondo da trasformare e umanizzare, non si può ridurre all’atto di depositare idee da un soggetto nell’altro, e molto meno diventare semplice scambio di idee, come se fossero prodotti di consumo.

27 P. Freire, La Pedagogia degli oppressi, op. cit., p. 39. 28 Idem, p. 151.

29 Idem, p. 61. 30 Idem, p. 75.

Non è neppure una discussione bellicosa […] non deve essere l’elargizione degli uni agli altri. È un atto di creazione”31.

Finalità dell’educazione è, secondo Freire, rendere possibile nelle classi popolari lo sviluppo del proprio linguaggio, perché questo avvenga è importante che l’educatore abbia come punto di partenza il “qui” dell’educando e lo rispetti32.

L’educatore accompagna l’oppresso in un percorso di educazione alla scelta e all’impegno politico, secondo Freire infatti educare significa anche fare politica e la pedagogia è politica, perché tutto è politica, e la politica in sé non è né buona né cattiva, non sta né dalla parte degli oppressi né degli oppressori, può essere uno strumento di liberazione o di oppressione, dipende da come la usiamo e dalla nostra formazione etica33.

La pedagogia degli oppressi ai nostri giorni

La Pedagogia degli oppressi è datata 1968, ma come afferma Gadotti, ha ancora senso leggerla

oggi, perché il punto di vista di Freire non è affatto superato, “al contrario, la sua pedagogia continua ad essere valida non soltanto perché esistono ancora nel mondo diverse forme di oppressione, ma anche perché essa risponde alle necessità fondamentali dell’educazione contemporanea”34. Sulla stessa linea di pensiero si colloca Luigi Ciotti, secondo il quale Freire ha

molto ad insegnare anche a noi, alla nostra società italiana percorsa dall’indifferenza e dalla rassegnazione: il primo insegnamento che troviamo nella sua pedagogia è il diritto alla rabbia, una rabbia che è segno di amore e di desiderio di giustizia, senza questa rabbia il maestro “diventa un ripetitore e soprattutto non educa, non educa a quella libertà dall’ingiustizia che ci rende tutti capaci di autonomia e critica”35.

Penso che tra gli insegnamenti di Freire almeno tre siano essenziali nella costruzione di una Pedagogia per i poveri del nostro tempo:

1. educare alla speranza e al futuro: gli uomini e le donne fanno la storia a partire dal

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