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Nel XIX secolo la disoccupazione era ritenuta la causa principale della povertà e nell’immaginario il povero era l’operaio Piuttosto che intervenire sul mercato del lavoro s

Grafico 3.3: Il rischio di povertà degli anziani secondo il genere

8. Implicazioni educative: “the educational implications of living in persistent and object

4.3 Le conseguenze psichiche della povertà estrema

Tutte le forme di deprivazione, siano esse materiali o affettive, influenzano l‘equilibrio mentale degli individui, per cui qualsiasi evento traumatico può costituire un fattore di rischio per l’equilibrio psicologico e favorire lo sviluppo di diversi disturbi mentali. Risulta quindi intuitivo che esista un rapporto tra condizione economica e benessere psicologico ed equilibrio mentale o sofferenza14: l’incertezza economica infatti, sia se si tratta di una condizione

temporanea e a maggior ragione quando è esperienza quotidiana, mette in difficoltà l’equilibrio mentale e il sentimento di sicurezza personale.

4.3.1 Povertà e disturbi mentali

Dal punto di vista scientifico il rapporto tra povertà e disturbi mentali è molto complesso, perché complesse sono le malattie mentali e la loro origine è multifattoriale, quindi è difficile determinare con sicurezza un rapporto di causa-effetto. In seguito a studi epidemiologici15 sul

legame tra povertà e disturbi mentali, sono state individuate quattro correlazioni:

la povertà di per sé è un rilevante fattore di rischio per lo sviluppo di disturbi mentali:

chi vive in condizioni di povertà ha molte più probabilità di ammalarsi, ad esempio il rischio di schizofrenia è otto volte maggiore nelle fasce a basso reddito rispetto al resto

14 F. Asioli, “Povertà e disturbi mentali”, Atti del Convegno promosso dalla Caritas Diocesana di Bologna tenutosi

al Centro S. Petronio (Bologna) tra il 15 Gennaio e il 23 Aprile 2003, p. 5.

della popolazione;

i poveri hanno minori opportunità di cura verso i disturbi mentali: questo è vero sia nei

paesi poveri sia in quelli ricchi, dove i servizi sono poco accessibili alle persone povere e queste non accedono o tendono a non accedere alle opportunità di cura esistenti;

il decorso dei disturbi mentali è meno favorevole nei paesi poveri: questo è connesso

alle inferiori opportunità di cura. Vi è però un’eccezione: la prognosi dei pazienti schizofrenici che vivono nelle aree rurali dei paesi poveri è infatti migliore rispetto a quelli che vivono nelle aree fortemente urbanizzate. Si ipotizza che questo sia dovuto in parte al fatto che la metropoli è un ambiente di vita sfavorevole per gli schizofrenici, date le scarse e fragili reti sociali, in parte dai minori ostacoli all’accoglienza e la minor discriminazione nei confronti degli schizofrenici da parte della popolazione delle zone extraurbane di questi paesi; nei paesi ricchi invece “chi non è capace di lavorare, chi non ha quattrini, chi non riesce a competere con gli altri, chi non ha successo, chi non riesce ad emergere, è davvero un diverso”16 e soffre per l’esclusione e lo stigma sociale;

le persone con disturbi mentali sono più predisposte a cadere in povertà: la malattia

rende le persone meno capaci di avere rapporti soddisfacenti con gli altri, di avere e conservare un’attività lavorativa, di mettere in atto strategie per una buona sopravvivenza.

I disturbi più frequenti collegati alla povertà sono la depressione, con il correlato dell’alcolismo, l’ansietà, l’angoscia e la disperazione. Questi problemi sono responsabili anche di comportamenti aggressivi e di fenomeni di scarsa cura dei figli.

Caso emblematico del complesso rapporto tra povertà e disturbi mentali è il senza dimora: in realtà non si riesce sempre a stabilire la relazione causale tra i due fenomeni - è stato il disturbo mentale a portare alla vita di strada o è la condizione di senza dimora che ha minato l’equilibrio psichico? -, e non si è ancora potuto fare una stima reale dell’incidenza dei disturbi psichici tra le persone senza dimora, si passa dal 20% all’80%... “questo dipende anche dai parametri che vengono utilizzati per definire i livelli di tolleranza rispetto a determinati comportamenti, cioè dai criteri di definizione di un comportamento “normale” o “non normale”. È normale che una persona vada a frugare nei cassonetti dell’immondizia, è normale che dorma sotto i ponti, è normale che chieda l’elemosina?”17.

16 F. Asioli, op. cit., p. 7.

17 M. Purpura, Povertà e disturbi mentali, in “Povertà e disturbi mentali”, Atti del Convegno promosso dalla

Inoltre molti dei senza dimora risultano soggetti con doppia diagnosi, oltre al disturbo mentale (border-line, paranoie, schizofrenia) possono essere tossicodipendenti o alcoldipendenti: in questi casi non si sa quale dei due problemi sia venuto prima. La presa in carico di questi utenti dovrebbe essere doppia, in realtà questo non avviene e si assiste invece alla “ping-pong

therapy”18 da un servizio all’altro.

4.3.2 Conseguenze fisiche e psichiche di una vita senza dimora

Proviamo a riflettere sulle conseguenze di una vita in condizioni di povertà estrema sulla psiche e l’identità di una persona senza dimora.

Innanzitutto la perdita della casa provoca danni all’equilibrio e al benessere psicologico degli individui: viene a mancare un luogo sicuro, uno spazio privato, ma anche il luogo delle relazioni più intime e degli affetti e questa “radicale trasformazione e perdita dello spazio esterno provocano necessità di mutazione dello spazio interno”19. Bonadonna nella sua ricerca

etnografica sul mondo dei senza dimora ci mostra come vivendo per strada, senza una casa, un rifugio, uno spazio reso caldo, sicuro e accogliente dalle relazioni parentali, il corpo di queste persone subisca trasformazioni profonde e cambino anche la percezione dello spazio, del clima e del tempo. Senza un’abitazione non è pensabile una gestione normale del corpo, della sua pulizia e della sua cura, perché la strada è come una casa dalle pareti di vetro che costringe a gestire il proprio sé privato in forma pubblica, il che porta all’elaborazione di nuove regole e abitudini per adattarsi a questa condizione. La pelle diventa così l’ultima barriera tra il sé e il mondo: i senza dimora possono nascondersi non lavandosi, coprendosi con la sporcizia e più che un segno di de-socializzazione questo è un tentativo di proteggersi dal modo esterno e un modo per denunciare la perdita di un sé privato.

Un altro aspetto importante è costituito dalla mancanza di un lavoro, o meglio dalla perdita del lavoro: “con la perdita del lavoro […] non solo ci viene a mancare concretamente la fonte di sostentamento e una condizione di sicurezza economica, ma subisce un affronto anche la nostra immagine sociale”20, perdiamo una condizione, uno status, che ci apparteneva, ci definiva e ci

accomunava agli altri.

21.

18 A. Fioritti, “Disturbi mentali e abuso di sostanze”, in “Povertà e disturbi mentali” in Atti del Convegno promosso

dalla Caritas Diocesana di Bologna tenutosi al Centro S. Petronio (Bologna) tra il 15 Gennaio e il 23 Aprile 2003, p 23.

19 F. Bonadonna, Il nome del barbone: vite di strada e povertà estreme in Italia, Roma, Derive Approdi, 2001, p.

148.

La povertà inoltre è connessa ad una scarsa o cattiva alimentazione ed è risaputo che “la mancanza di cibo o l’incertezza sistematica della possibilità di nutrirsi provocano e inducono sul piano psicologico un senso di precarietà che non può non intaccare anche aspetti del “funzionamento mentale più profondo” e orientare verso […] una condizione di forte insicurezza esistenziale e di disperazione”21.

Non va poi sottovalutato che se la persona che cade in povertà ha un basso livello di istruzione, questo comporta spesso l’incapacità di chiedere aiuto nel modo adeguato (ad esempio quando manca la conoscenza dei servizi a cui rivolgersi o la capacità di districarsi nelle procedure burocratiche), di trattare gli altri come persone, di prendersi cura di se stessi (autoprotezione) e degli altri22.

La rottura delle relazioni familiari, che caratterizza la storia di molti senza dimora, implica una deprivazione dei rapporti, solitudine e rarefazione dell’esercizio della relazione con gli altri: questo ritiro dal mondo delle relazioni è un elemento di rischio per l’equilibrio psichico e allo stesso tempo un segnale di sofferenza psicologica. A fronte delle fratture che il vivere per strada comporta nasce il bisogno di nuovi legami: si tratta di legami di dipendenza (alcool, droga...) che portano alla diminuzione della libertà di scelta, fino al punto di non aver altra opzione se non quella di cercare di sopravvivere in strada, o della ricerca di circuiti di mutuo-aiuto, il che prova che “chi vive per la strada non è vittima di un processo di desocializzazione, ma lotta in tutti i modi per cercare nuove forme di esistenza”23. Non è facile per chi viene inserito in strutture

d’accoglienza e in comunità riuscire a cancellare queste dipendenze e a creare nuovi e sani legami, è un percorso che richiede tempo e l’accompagnamento di figure educative capaci di stabilire significative relazioni di fiducia.

Come abbiamo visto nel secondo capitolo, le persone senza dimora elaborano strategie attive, equilibrate e razionali di adattamento alla città vissuta dalla strada e in questo processo modificano anche il proprio modo di pensare e le proprie abitudini, violando molti dei valori e dei tabù culturali e sociali: quello della produzione economica ad esempio o dell’igiene personale o della privacy. Le conseguenze sull’identità dei soggetti non sono da sottovalutare: Bonadonna definisce questa ristrutturazione con il termine “carattere permanente del provvisorio”, perché quello che doveva essere provvisorio, l’essere senza dimora, si rivela una condizione esistenziale costante con conseguenze a livello fisico, psicologico e relazionale. Quest’accettazione della vita in strada significa anche la riduzione degli spazi di progettualità e

21 Idem, p. 7.

22 F. Bonadonna, op. cit. 23 Idem, p. 148.

delle possibilità di cambiamento: una volta raggiunto un equilibro, anche se precario e in condizioni che garantiscono appena la sopravvivenza, diventa molto difficile accettare la sfida del cambiamento e investire forze ed energie per ri-inserirsi nel mondo del lavoro, per investire nelle relazioni, per riprendere l’autonomia e le responsabilità connesse alla gestione di una casa... il rischio del fallimento è considerato da alcuni troppo alto per rinunciare a quel poco di stabilità che si sono costruiti in strada.

4.4 Quarta sosta: rischi di un approccio psicologico e spunti per l’intervento

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