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Oltre la povertà oggettiva: povertà soggettiva, approccio delle capacità e sviluppo umano

Nel XIX secolo la disoccupazione era ritenuta la causa principale della povertà e nell’immaginario il povero era l’operaio Piuttosto che intervenire sul mercato del lavoro s

3. I numeri e i volti della povertà oltre i dilemmi e le definizioni in campo sociologico ed economico

3.2 Povertà oggettiva o soggettiva? Ovvero come si misura la povertà?

3.2.2 Oltre la povertà oggettiva: povertà soggettiva, approccio delle capacità e sviluppo umano

Si può studiare la povertà oggettiva secondo un approccio cross-sectional, cioè in un dato anno, mese, giorno, oppure adottare un approccio longitudinale, seguendo un gruppo di soggetti nel tempo: si è infatti notato che la povertà non è una condizione statica, si può essere poveri solo per un determinato periodo, come anche ricadere sotto la soglia della povertà più volte nel corso della vita. “Le povertà provvisorie, quelle che durano poco, non riguardano persone e famiglie che hanno subito una rottura sostanzialmente definitiva dei legami sociali, ma persone e famiglie coinvolte in processi di precarizzazione della loro vita. E tali processi coinvolgono l’ambito del lavoro - lavoratori con un reddito basso o con un lavoro precario - e, insieme, i legami sociali e le reti di supporto naturali e la protezione che può assicurare lo Stato. Un approccio dinamico allo studio della povertà ci conduce a spostare l’attenzione dai processi di esclusione alle forme attraverso le quali - più o meno debolmente, più o meno precariamente, più o meno attivamente - le persone partecipano alla vita sociale”24.

È possibile inoltre comparare i dati raccolti in diversi contesti. Ma tutto questo ancora non basta per dire di avere analizzato il fenomeno povertà in tutte le sue forme.

Dal 2002 l’Istat affianca alla rilevazione della povertà oggettiva quella soggettiva: comparando i dati relativa al 2004, Delbono e Lanzi mettono in evidenza come a livello nazionale emerga una percezione della povertà inferiore al dato oggettivo (8,7% - 11%) mentre, se si analizzano le differenze territoriali, si nota che nel Nord la povertà soggettiva è superiore a quella oggettiva

(7,7% - 5%): vi sarebbero quindi delle persone consapevolmente povere, alcune apparentemente povere (oggettivamente ma non soggettivamente), altre solo soggettivamente povere e altre ancora consapevolmente non povere25. Gli approcci soggettivi danno risalto e importanza al

valore attribuito dai poveri alla propria condizione di vita e si basano sull’autovalutazione dei soggetti, pur con tutti i problemi che questa comporta: la “soggettivazione” rischia infatti di colpevolizzare il soggetto e di ridurre il problema della povertà a un disagio personale e psicologico, perdendo di vista gli aspetti strutturali (economici e politici) del problema. Laddove sono stati condotti processi di valutazione partecipata della povertà, invitando i poveri stessi a definire le manifestazioni del fenomeno nel loro contesto, si è arrivati a una definizione di povertà “oggettivamente riconosciuta ma localmente soggettiva”26.

Secondo Rebuffini una lettura prevalentemente oggettiva ed “economicista del fenomeno, ovvero la povertà come mancanza di beni e quindi affrontabile con interventi di natura redistributiva, risulta inadeguata, anche perché porta a concentrarsi sulle “cose” che non ci sono (la mancanza di casa, di lavoro, di un reddito adeguato, della salute) mentre occorre anche prestare attenzione al “modo di funzionare” degli individui e non solo ai beni di cui dispongono o sono privi”27. Occorrerebbe quindi indagare quelle che Sen definisce capabilities: le capacità-

possibilità di ogni soggetto di accedere e utilizzare le risorse per mantenere-migliorare la propria qualità di vita. L’approccio delle capacità si basa su28:

• una concezione di libertà non solo come non-coercizione (libertà negativa), ma anche come autodeterminazione e autorealizzazione (libertà positiva) e quindi come il potere effettivo che ogni individuo ha sulle proprie scelte e azioni e sulle motivazioni e valori che le guidano;

• una prospettiva eticamente individualistica che prende come unità di riferimento il singolo, pur riconoscendo il peso dei condizionamenti ambientali, culturali e sociali nelle scelte individuali e il ruolo delle opportunità sociali nell’espandere le libertà individuali; • la considerazione delle differenze in termini di cultura, genere, età e soprattutto di abilità

e possibilità dei singoli di trasformare le risorse in benessere;

• una teoria universalista e globale della giustizia, che va al di là del consenso politico o culturale delle istituzioni locali;

• una teoria essenzialista che rifiuta l’utilitarismo e riconosce a ogni essere umano il diritto-capacità di vivere uno stato di vita pieno.

25 Idem. 26 Idem, p. 38.

27 E. Rebuffini, Scoprirsi senza. Torino: sguardi sulla povertà in una provincia del benessere, Torino, Edizioni

Gruppo Abele, 2002, p. 108.

Secondo la prospettiva di Sen la qualità della vita dipende da alcuni funzionamenti rilevanti, il cui grado di raggiungimento, rispetto all’insieme dei funzionamenti potenzialmente attivabili, determina il benessere individuale. “Un individuo può essere ritenuto povero o svantaggiato non unicamente laddove non riesca a conseguire elevati livelli di well-being, ma anche nel caso in cui non possa orientare le proprie scelte verso combinazioni di funzionamenti diverse da quelle effettivamente conseguite”29.

Rimane aperto il problema della determinazione dei funzionamenti rilevanti: dipendono dal soggetto o è possibile stilare una lista universalmente o localmente accettata? Sen sceglie un approccio pluralistico e multiculturale per cui la scelta dei funzionamenti dipende dal contesto, mentre secondo Martha Nussbaum i funzionamenti non sono da intendersi come libertà, ma come potenzialità del soggetto, come capacità generali che permettono la piena realizzazione umana, al di là delle differenze etniche, storiche e culturali - questi fattori possono però essere presi in considerazione per integrare la lista universale30. La questione della selezione delle

capacità-funzionamenti è stata affrontata nella pratica in diversi modi: il consenso politico su alcuni valori umani fondamentali, l’incrocio di liste presenti in letteratura e liste ottenute con

brainstorming o role -playing e la presentazione ai police makers della lista così ottenuta, la

selezione partecipata dal basso. Sono varie le critiche mosse all’approccio delle capacità: il considerare i funzionamenti come stati e non come processi in divenire che si modificano nel corso del tempo, l’essere eccessivamente paternalista ed essenzialista, l’individualismo etico, il rapporto tra capacità e felicità... non è questa la sede per affrontare tali critiche e le repliche, ritengo invece più interessante analizzare le ripercussioni che l’approccio ha avuto nella definizione e misurazione della povertà. Da questo punto di vista la povertà viene intesa come non-funzionamento (povertà nella realizzazione) e come incapacità (povertà nelle opportunità di benessere) e questo significa prendere in considerazione, accanto alla mancanza di risorse economiche, anche le disabilità, le disuguaglianze di genere, le vulnerabilità psicologiche, le violenze subite, l’ambiente, la mancanza di voce politica, l’accesso al sistema sanitario, l’educazione, i diritti negati... è quello che ha cercato di fare l’Undp con l’indice di povertà umana (cfr. esempio n. 1) e l’indice di sviluppo umano che:

• mette la persona al centro, considerandola fine e non mezzo dello sviluppo;

• tiene conto sia della capacità individuali sia del contesto ambientale e istituzionale; • tiene insieme la sfera economica, sociale, culturale e politica;

29 Idem, p. 109.

30 Questa lista di capacità generali, più volte rivisitata e sempre aperta al cambiamento, comprende: vita, salute

fisica, integrità fisica, sensi, immaginazione e pensiero, emozioni, ragion pratica, affiliazione, altre specie e natura, gioco, controllo sul proprio ambiente e sulla propria vita.

• misura le possibilità di vivere una vita sana e sicura, di avere accesso all’istruzione e di godere di uno standard di vita adeguato. Sono inoltre state proposte modifiche e integrazioni che tengano conto di altri indicatori (l’approccio per indicatori di Stewart e Samman, 2006) e delle differenze tra i paesi con diversi livelli di sviluppo umano (l’indice evoluto di sviluppo umano di Anand e Sen, 1994).

Anche Pieretti (1988) sottolinea l’esigenza di un salto di qualità che vada oltre gli indicatori socio-economici, ma senza cadere nella psicologizzazione: si tratta di riscoprire la centralità del soggetto e di considerare le capacità di cui parla Sen anche come un attributo della comunità (pensiamo ai beni comuni, le risorse ambientali, il welfare, la politica, la cultura) e di conseguenza studiare la povertà guardando anche ai non poveri. Secondo Spanò ad ogni modello di ricchezza corrisponde “una povertà uguale e contraria. […] a dover evitare la povertà o a doverne uscire non è un soggetto astratto, ma una persona in carne ed ossa, le cui strategie vengono messe in atto in un contesto fortemente vincolato vuoi dal punto di vista materiale che culturale”31.

Ritengo che la strada proposta da Pieretti e da Spanò, spostando lo sguardo dal povero alla società che produce la povertà, anche se non risolve il dilemma povertà oggettiva-soggettiva, permetta di abbracciare la complessità del fenomeno, di trovare nuove risorse, non solo materiali per rispondere ai bisogni dei poveri e di dare utili indicazioni per impostare politiche integrate di lotta alla povertà e promozione del bene comune che vadano al di là degli interventi d’emergenza.

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