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Nel XIX secolo la disoccupazione era ritenuta la causa principale della povertà e nell’immaginario il povero era l’operaio Piuttosto che intervenire sul mercato del lavoro s

Grafico 3.3: Il rischio di povertà degli anziani secondo il genere

3.6.2 Povertà e genere: la povertà femminile

La povertà femminile è un fenomeno recente per la letteratura sociologica, in Italia gli studi sulle donne senza dimora sono ancora molto pochi e in generale la povertà viene affrontata, sia a livello di studio sia di intervento, in maniera asessuata, come se il fenomeno non fosse così importante: nasce così “un’emarginazione nell’emarginazione” come denuncia la Fio.psd nel Report 2008.

La povertà femminile ha invece origini antiche, in Europa le prime figure di mendicanti e vagabonde si incontrano nel medioevo: nelle campagne le donne povere erano soprattutto le vedove, mentre la presenza di donne giovani e in età adulta, povere e sole, era una realtà tipica delle grandi città, dove il mercato del lavoro offriva loro un posto nei piccoli commerci e nella produzione tessile. Per le donne vivere al di fuori della famiglia era molto difficile, le nubili che non avevano possibilità di un aiuto esterno si ritrovavano spesso a lavorare per paghe bassissime per cui vivevano ai limiti della sopravvivenza, ma erano soprattutto le madri sole con figli a rischiare la libertà e la salute: “queste donne povere e sole ricorrevano spesso per sopravvivere al

furto, alla ricettazione, all’accattonaggio e più frequentemente alla prostituzione”68.

L’impoverimento delle donne era conseguenza non solo e non tanto di fattori economici, quanto della difficoltà ad inserirsi in una società tutta al maschile. Per i moralisti del tempo “una donna che vagava sola, era possibile oggetto di desideri lussuriosi da parte degli uomini […] rappresentava per di più un pericolo anche per gli altri poiché creava disordini nella comunità sociale e nel nucleo familiare”69. Infatti fino al “XIX secolo l’identità femminile era pensata

come un tutt’uno con la struttura, l’organizzazione e l’etica della famiglia e il percorso esistenziale di una donna doveva essere interamente proiettato in quella direzione. Perciò una donna che veniva meno a tale etica era considerata come priva di alcuni dei tratti costitutivi della propria personalità e dunque non vera: su questa base ella poteva solo essere assimilata ad una prostituta”70. Questi modelli si sono modificati solo con l’entrata in massa della donna nel mondo

del lavoro.

Oggi i poveri sono soprattutto uomini, ma negli ultimi anni è aumentato il numero di donne cadute in povertà, per questo si parla di “femminilizzazione della povertà”: a partire dagli anni ’70 le crisi finanziarie, i processi di ristrutturazione economica e la crisi dell’istituzione familiare hanno determinato situazioni di sempre maggior vulnerabilità, il che ha esposto a un rischio più elevato di impoverimento proprio le donne. Diverse sono le cause individuate dagli studiosi per spiegare questo fenomeno:

la debolezza della donna nel mercato del lavoro: il tasso di occupazione femminile è inferiore a quello maschile, inoltre rispetto agli uomini le donne hanno più frequentemente occupazioni poco tutelate e maggior difficoltà d’inserimento in fasce lavorative qualificate ed elevate, anche se le nuove generazioni hanno migliori opportunità di inserimento professionale, grazie alla loro più elevata istruzione;

il rapporto con i sistemi di welfare: nella maggior parte dei casi la pensione delle donne anziane è inferiore rispetto a quella degli uomini e spesso risulta insufficiente per una vita dignitosa, inoltre le donne tendono a mostrare meno il loro stato di bisogno e a non ricorrere ai servizi;

la modificazione del ruolo della donna: l’essere madri capofamiglia, soprattutto in seguito a separazione e divorzio, è uno dei principali rischi di impoverimento, per la debolezza del legame delle donne con il mondo del lavoro;

le malattie psichiche: molte delle donne senza dimora soffrono di un disagio psichico più o meno grave e si ritrovano in strada in seguito anche alla chiusura dei manicomi non

68 P. Donadi, Emarginazione e invisibilità delle donne senza fissa dimora, Montefeltro, Urbino, 1998, p.127. 69 Idem, p. 126.

accompagnata da una legge di riforma psichiatrica, al fallimento dei tentativi di reinserimento nelle famiglie e all’inadeguatezza dei servizi territoriali nel far fronte al carico dell’utenza71;

la violenza subita, spesso in famiglia, è un’altra delle cause della povertà femminile, ma anche una caratteristica della vita di strada.

Le donne povere che oggi in Italia possiamo incontrare nei dormitori e nelle mense sono quindi signore anziane con una pensione insufficiente, tra queste una categoria a parte è quella delle

bag ladies, donne anziane, socialmente isolate e con disturbi mentali che trascinano in strada

borse o carrelli; donne separate e divorziate che si ritrovano sole con figli e prive di adeguati mezzi di sostentamento; donne immigrate soprattutto dall’Est Europa in cerca di un impiego come badanti; ragazze scappate da famiglie disgregate o donne con patologie psichiche più o meno gravi, che si ritrovano sulla strada dopo falliti tentativi di inserimento in comunità e istituti, alcune hanno problemi di tossicodipendenza o di alcolismo e non hanno alcun appoggio familiare. La vita della donna tossicodipendente in strada risulta particolarmente dura e con gravi conseguenze, sia per la sua debolezza fisica sia perché il mondo degli stupefacenti ruota intorno agli uomini: per procurarsi la droga queste donne aiutano il compagno a spacciare oppure si prostituiscono.

L’aumento del numero di donne povere e senza dimora porta l’emergere di nuove richieste ai servizi sociali: non solo casa e lavoro, ma anche bisogni legati alla salute della donne e in particolare alla maternità. Per questo è importante che chi opera nei servizi sociali e nelle politiche contro la povertà guardi al fenomeno anche con un’attenzione di genere.

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