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Bismarck e il moderno stato sociale: il cammino del welfare tra uguaglianza e universalismo, pregiudizi ed etichette

Nel XIX secolo la disoccupazione era ritenuta la causa principale della povertà e nell’immaginario il povero era l’operaio Piuttosto che intervenire sul mercato del lavoro s

2. I ricoveri: lunghe file per riuscire ad entrare, un tozzo di pane duro e una minestra che solo la fame poteva far mangiare, la possibilità di lavarsi, di riposarsi su un materasso e la

1.5 Bismarck e il moderno stato sociale: il cammino del welfare tra uguaglianza e universalismo, pregiudizi ed etichette

“Il miglioramento delle condizioni di vita degli operai nei paesi industrializzati e lo sviluppo di forme di assistenza sociale organizzata e di assicurazione hanno ridotto, nel corso del XX secolo, la cerchia della miseria alla sua dimensione fisiologica. Una giusta divisione del reddito è divenuta oggetto dell’azione socio-politica e non di atteggiamenti di carità” (Geremek B., 1986, p. 257).

La fine del XIX secolo ha elaborato un nuovo strumento per affrontare la povertà: il welfare

state, con cui si sancisce il diritto all’assistenza e si considera la povertà un problema di

competenza dello Stato.

Lo stato sociale è nato in Europa, negli anni ’80 dell’800 per ragioni politiche più che sociali: Bismarck, nel tentativo di far perdere terreno ai socialisti e ai cattolici, attuò una “forma di protezione sociale basata sulla partecipazione obbligatoria alle società di mutuo soccorso”49, che

istituzionalizzava le assicurazioni occupazionali, si basava sulla partecipazione diretta dei lavoratori e introduceva accanto al concetto di assistenza quello di previdenza. E. Rossi nella sua disamina delle diverse forme di assistenza pubblica e privata nei confronti dei poveri non risparmia critiche al sistema di assicurazione obbligatoria: gli indennizzi per l’invalidità offrono infatti l’opportunità della truffa e di conseguenza comportano elevate spese di controllo e spese amministrative per le contese giudiziarie e gli stessi problemi presenta anche l’assicurazione contro le malattie; le pensioni impegnano lo stato a garantire all’anziano un tenore di vita sufficiente, ma questo non è sempre possibile; l’assicurazione obbligatoria contro la disoccupazione non ha fatto altro, secondo Rossi, che alimentare la disoccupazione stessa e

48 B.S. Jansson, The Reluctant Welfare State, Belmont (CA), Brooks/Cole, 2009. 49 F. Conti, G. Silei, Breve storia dello Stato Sociale, Roma, Carocci, 2005, p. 40.

interferire sul calcolo degli stipendi. Pur con i suoi limiti il sistema delle assicurazioni si diffuso ed è ancora alla base del nostro welfare state.

Il 1898 può essere considerato l’anno di nascita dello stato sociale italiano: il 17 marzo 1898 è stata infatti approvata la legge sull’assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro50,

mentre nel 1891 la Danimarca, garantendo il diritto alla pensione alle persone con più di 60 anni anche ai bisognosi che non avevano contributi, ha inaugurato un approccio universalistico alle politiche previdenziali. Il welfare state trova il suo fondamento proprio in questa idea universalistica e nella passione egalitaria (è per tutti i cittadini senza distinzione alcuna), ma si è poi sviluppato51 secondo modelli diversi:

- nei paesi scandinavi la protezione sociale è un diritto di cittadinanza, gravidanza, malattia e pensione sono garantiti anche a chi non lavora,

- nel modello anglosassone l’universalismo è presente solo in campo sanitario, - nei paesi dell’Europa centro-occidentale le politiche sociali sono legate al lavoro,

- nell’Europa del Sud solo l’Italia ha creato un welfare state degno di questo nome, anche se con alcuni limiti e difficoltà e numerose differenze tra Nord e Sud,

- al di fuori dell’Europa l’ideale universalistico non ha avuto una concreta realizzazione nei sistemi di welfare: Giappone, Nuova Zelanda e USA in particolare si presentano come “reluctant welfare state”52 incapaci di rispondere con un corpus integrato di politiche

sociali ai bisogni di tutti i cittadini e in particolare delle fasce più povere e vulnerabili. Le resistenze alla riforma sanitaria proposta dal Presidente Obama è un esempio delle paure e dei pregiudizi di molti americani rispetto al modello universalistico.

Al di là delle differenze tra i vari stati, dopo l’apogeo degli anni ’50 e ’60 e in particolare a partire dalla fine degli anni ’70 tutti i sistemi di welfare hanno attraversato un periodo critico, che non è ancora concluso, anche perché alimentato da altre crisi (quella finanziaria, quella dello stato-nazione in un mondo globalizzato, quella del socialismo - ricordiamo che il welfare è nato e si è sviluppato proprio come antidoto al pericolo “rosso”), dall’aumento dell’immigrazione e della mobilità, dall’imporsi del neoliberismo, la ristrutturazione del capitalismo e la flessibilità- precarietà lavorativa... Tutti questi fattori hanno scardinato la base su cui si fondava il welfare tradizionale: un universalismo ristretto dello Stato nazionale.

50 Questa legge escludeva i contadini (la maggioranza dei lavoratori) e nasceva in realtà per salvaguardare i datori

di lavoro, ma successivamente si è affermato il principio della responsabilità del datore di lavoro e il concetto di rischio professionale.

51 Per un approfondimento sulla storia del welfare rimando alla scheda n. 2. 52 B.S. Jansson, op. cit.

Ci sono stati anni di forte critica e tagli allo stato sociale - in particolare in America e in Inghilterra con i governi Reagan e Thatcher -, ma anche ai poveri assistiti, considerati colpevoli della loro condizione e approfittatori, parassiti della società perché ricevevano senza contribuire. Questo stigma del welfare non era presente solo nelle “chiacchiere da bar”, nei dibattiti televisivi o negli slogan politici, ma era un pregiudizio anche degli operatori sociali e spesso veniva interiorizzato dagli assistiti stessi. La riforma che Clinton ha promosso nel 1996, ad esempio, era basata sulla visione del povero assistito come dipendente: l’idea prevalente era che i poveri, e in particolare le madri sole con figli, avessero perso la voglia di lavorare e il valore del matrimonio e approfittassero dell’assistenza del welfare, in qualche modo l’esistenza del welfare era un incentivo per rimanere in una condizione di povertà. Il Personal Responsibility and Work

Opportunity Reconciliation Act (1996) aveva come obiettivo la diminuzione del numero degli

assistiti e del periodo di assistenza e si proponeva di combattere la dipendenza dal welfare rendendo le persone autosufficienti, indipendenti e produttive attraverso:

- il limite dell’assistenza a 5 anni,

- l’obbligo della ricerca lavoro o della formazione (work-fare),

- il richiamare i padri alle proprie responsabilità e le donne ai valori della famiglia tradizionale,

- le punizioni (decurtazione o sospensione del sussidio, fino all’esclusione dal programma di assistenza) per il mancato rispetto dei tempi o delle richieste.

Questi i messaggi comunicati, tra le righe, dalla riforma:

“Any earnings are good”, “Work is the first priority”, “All jobs are good jobs”, “Work is better

than welfare” “You are not wanted here. Americans are tired of helding you out, and we will not let you rest, not even for an instant, until you find a way to get off welfare”53.

Peccato che, che un lavoro sotto-pagato, corsi di formazione senza reali sbocchi professionali, la mancanza di adeguati servizi per l’infanzia non abbiano potuto garantire alcuna indipendenza economica alla donne madri sole e che non si sia tenuto conto del fatto che il desiderio di avere figli nella maggior parte dei casi non era legato ai pochi dollari extra nell’assegno dell’assistenza...

53 S. Hays, Flat Broke with Children: Women in the Age of Welfare Reform, California University of California

Press, 2008; traduzione: “ogni stipendio è buono”, “il lavoro è la prima priorità”, “ogni lavoro è un buon lavoro”, “il lavoro è meglio del welfare”, “tu non sei il benvenuto qui. Gli americani sono stanchi di sostenerti, e noi non ti lasceremo in pace, neppure per un istante, finché non avrai trovato il modo di uscire dal welfare”.

Immagine 1.4: Slogan del PRWOR Act

(Fonte: http://www.co.kern.ca.us/dhs/images/0987.jpg)

Il PRWOR Act ha raggiunto il suo obiettivo di abbassare il numero degli assistiti, ma tante persone e famiglie sono state semplicemente lasciate senza assistenza e la riforma non ha inciso sui fattori strutturali e sulle disuguaglianze sociali che causano la povertà o comunque mantengono tante persone in povertà.

Dopo gli anni dell’offensiva anti-welfare, siamo ora in una fase di ricostruzione, ma ancora non è chiaro cosa ne stia nascendo, quale sia il futuro dello stato sociale. Più voci ci dicono che rinunciare all’universalismo e ridurre lo stato sociale al “welfare dei poveri” significa avere un “welfare povero” di risorse e di capacità di intervento e significa anche aumentare il pregiudizio nei confronti dei poveri. “Nato come strumento per la regolamentazione delle trasformazioni prodotte dal sistema di produzione industriale, lo Stato Sociale ha mirato a perseguire il benessere (welfare) dei cittadini ed è stato un importante strumento di carattere redistributivo, di equità e di giustizia. La classe dirigente dei paesi occidentali, dove lo Stato Sociale è nato e ha conosciuto il suo sviluppo, è dunque chiamata a continuare a ispirarsi a questi valori di fondo”54.

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