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Nel XIX secolo la disoccupazione era ritenuta la causa principale della povertà e nell’immaginario il povero era l’operaio Piuttosto che intervenire sul mercato del lavoro s

Grafico 3.3: Il rischio di povertà degli anziani secondo il genere

8. Implicazioni educative: “the educational implications of living in persistent and object

4.2 L’impatto della povertà sul rendimento scolastico

4.2.1 Quando il reddito della famiglia predice il successo o l’insuccesso scolastico

Molte ricerche (VC. Macloyd & KM. Puriell, 2008, in Newman SB.) affermano che vivere in povertà nei primi cinque anni di vita può inficiare il percorso scolastico successivo: ad esempio gli studi di Bradley & Corwyn (1999) e quello di Grundel, Oliveira & Geballe (2003) dimostrano che i bambini poveri iniziano la scuola con meno preparazione e abilità linguistiche dei bambini delle classi medie, tesi sostenuta anche nel lavoro di O’Hara (2006) da cui risulta che all’età di 3 anni i bambini delle classi medie conoscono 1.100 parole e hanno un QI di 117, mentre i bambini delle famiglie povere, assistite dal welfare, conoscono 525 parole e hanno un QI di 79. Studi longitudinali ci dicono inoltre che differenze nella capacità di leggere di bambini poveri e non poveri, di origine etnica diversa, rilevate nel quarto grado d’istruzione, si ripresentano anche nell’ottavo e nel dodicesimo grado: sembrerebbe quindi che non solo la frequenza scolastica non abbia effetto sugli esiti di situazioni di deprivazione vissute nei primi anni di vita, ma anzi sia la povertà a inficiare il successo scolastico.

Il reddito e lo status socio-economico della famiglia di origine sembrano dunque essere fattori predittivi delle performance cognitive e linguistiche dei bambini già in età pre-scolare e per tutto il percorso scolastico. Le differenze di rendimento dei bambini appartenenti a diverse classi sociali vengono spiegate con il fatto che ai bambini poveri mancano le condizioni ambientali e familiari che favoriscono l’acquisizione delle abilità e conoscenze che li preparano alla scuola:

• si tratta spesso di bambini nati prematuri e con basso peso alla nascita, il che come abbiamo visto può comportare un maggiore rischio di problemi respiratori, neurologici e cognitivi;

• vivere in contesti non salubri, inquinati e contaminati può esporre i piccoli a malattie nei primi mesi di vita che possono causare un più basso QI;

• lo stato di salute di molti bambini poveri è messo a rischio dall’assunzione di droghe o alcol da parte delle madri durante la gravidanza;

• i figli di genitori poveri hanno a disposizione meno libri, giochi, esperienze cognitivamente stimolanti, tecnologie informatiche, interazione verbale di qualità7...

Altre ricerche (Wheeler, 2005, Lupton, 2004, 2005, Trupp, 1999) mostrano una corrispondenza

7 V.C. Macloyd, K.M. Puriell, “How Childhood Poverty and Income Affect Children’s Cognitive Functioning and

tra alti livelli di deprivazione, bassa frequenza scolastica e scarsa qualità delle scuole, anche se bisogna stare attenti quando si misura la qualità, perché al di là dei risultati generali ottenuti dagli studenti vanno riconosciuti i progressi dei bambini partiti con uno svantaggio e gli sforzi delle scuole nel promuovere la crescita culturale e sociale degli allievi. “When we consider the

failure of our society to provide decent health care, adequate housing, and public safety for a majority of the disadvantaged students who attend our most challenged schools, is it surprising that many children are struggling, and schools have difficult time complying with NCLB8?”9.

In generale dove c’è un alto tasso di povertà è alto anche il tasso di bambini segnalati dalle scuole come disabili: sfortunatamente in America c’è la tendenza ad etichettare i bambini poveri come disabili perché non corrispondono alle aspettative della scuola, sia a livello di rendimento sia di comportamento. Di fronte alla percentuale di bambini poveri tra gli studenti certificati rimangono alcuni dubbi:

• la povertà è sempre causa di ritardi cognitivi e disturbi comportamentali o si tratta di un errore di valutazione?

• oppure siamo di fronte a una forma di razzismo - visto che gli studenti poveri sono soprattutto figli di ispanici e di afro-americani?

• o la certificazione è l’unico modo che gli insegnanti hanno per garantire ai bambini poveri l’aiuto e il sostegno di cui hanno bisogno (insegnante di sostegno, materiali didattici, interventi specialistici)?

• ma etichettare un bambino come disabile, quanto gli è d’aiuto per la crescita dell’autostima e che conseguenze può avere nella formazione della sua identità e nei rapporti con gli altri?

Sono domande che dovremmo porci anche noi in Italia tutte le volte che viene chiesta la certificazione per i bambini e i ragazzi che vivono in “contesti difficili” e “problematici” e che, pur non avendo deficit o patologie accertate, manifestano - nel comportamento e nel rendimento - bisogni “speciali” a cui gli insegnanti non riescono a rispondere.

Gli autori sono concordi nel ritenere necessaria una riforma, non solo economica e sociale, ma

8 No Child Left Behind (Bush, 2002): è un programma di sussidi federali dati alle scuole per combattere la

dispersione scolastica e promuovere la qualità dell’istruzione; il monitoraggio del programma prevede una serie di test sul rendimento degli studenti.

9 T. Howard, S.G. Dresser, D.R. Dunklee, Poverty is not a Learning Disability, California, Crowin, 2009, p. 14;

traduzione: “Quando consideriamo il fallimento della nostra società nel garantire alla maggioranza dei bambini svantaggiati che frequentano le nostre scuole un decente sistema sanitario, case adeguate, sicurezza pubblica, come può sorprenderci il fatto che i nostri studenti facciano fatica e le scuole non riescano a rispettare il NCLB?”.

anche educativa per garantire a tutti scuole e servizi educativi di qualità: le ricerche dimostrano infatti che laddove ai poveri si offrono servizi pre-scolastici e scuole di alta qualità il rendimento dei bambini a rischio di fallimento scolastico migliora. Sono stati numerosi i piani per ridurre la povertà infantile e rispondere allo svantaggio educativo con supporti alle scuole e alle famiglie povere (dai doposcuola, ai breakfast club10, ai libri gratis…), ma ancora molto rimane da fare e

l’intervento educativo sarà ancora più efficace se sarà affiancato da politiche (economiche, abitative, sanitarie, di sostegno familiare) in grado di agire sulle cause della povertà”11.

4.2.2 La ricerca di G. Horgan sull’impatto della povertà nel percorso scolastico: il punto di vista dei bambini

Uno studio molto interessante relativo all’impatto della povertà sull’esperienza scolastica dei bambini è quello condotto da Goretti Horgan nell’Irlanda del Nord12. Questa ricerca ha la

particolarità di avere come protagonisti principali gli studenti stessi: Horgan ha visitato alcune

advantge e disadvantage school (così categorizzate in base alla percentuale dei bambini aventi

diritto al pasto gratuito) incontrando insegnati e genitori, ma ha scelto di dare maggior spazio alla voce dei bambini. Il ricercatore ha intervistato 220 studenti della scuola primaria (dai 4 agli 11 anni) chiedendo loro di raccontare che cosa pensassero della scuola, quanta importanza avesse l’educazione, quali pensassero fossero i costi dell’istruzione e quale fosse la loro esperienza scolastica:

per tutti gli intervistati la scuola è importante, per i più piccoli è anche divertente, mentre i più grandi vedono la propria educazione in rapporto alla possibilità di un futuro lavoro13 o comunque a una crescita generale delle competenze anche in altre aree della

vita;

quasi tutti gli studenti hanno alte aspirazioni per il proprio futuro, senza particolari differenze tra famiglie ricche e povere, a parte i figli delle famiglie itineranti che non condividono le aspirazioni dei pari;

10 Alcune scuole offrono agli studenti la colazione, per garantire a tutti i bambini almeno un pasto al giorno e le

energie necessarie per studiare e imparare.

11 J. Parkinson, B. Rowan, “Poverty, Early Literacy Achievement, and Educational Reform”, in S.B. Newman, op.

cit., p. 40.

12 G. Horgan, The impact of poverty on young children’s experience of school, J. Rowntree Foudation, University

of Ulster, 2007. Questa ricerca è stata finanziata da Save the Children e dalla Joseph Rowntree Foundation, fa parte del Education and Poverty Programme della Fondazione stessa ed è consultabile sul sito: http://www.jrf.org.uk/bookshop/ (consultato il 26 Aprile 2010)

13 Esiste però una significati differenza: nelle scuole più ricche i bambini dicono che la scuola è importante per il

futuro (in positivo) mentre in quelle più povere che l’educazione è importante per avere meno problemi da adulti (in negativo); cfr. G. Horgan, op. cit., p. 14.

gli intervistati apprezzano l’imparare facendo e gli insegnanti che chiedono l’opinione degli studenti;

i bambini delle scuole più povere si lamentano per la qualità del cibo, per la sporcizia nell’area dei giochi e soprattutto perché gli insegnanti gli “urlano contro”; inoltre gli alunni maschi di 9 e 10 anni mostrano di gradire poco la lunga giornata di scuola e il carico dei compiti... di anno in anno sembra venir meno il loro interesse verso la scuola, le loro difficoltà unite a quelle dei loro insegnanti, impegnati in contesti problematici e con poche risorse, sono parte del fenomeno della dispersione scolastica;

l’ansia per i test, la paura di essere oggetto di bullismo sono preoccupazioni della maggioranza degli studenti, mentre nelle scuole svantaggiate i bambini hanno anche paura di subire atti di violenza o che la loro scuola venga vandalizzata;

i bambini poveri a volte si sentono etichettati ed esclusi dai loro compagni o dagli insegnanti, perché non hanno l’uniforme completa oppure non hanno i soldi per partecipare alle gite.

Anche se in Irlanda in teoria la scuola pubblica è gratuita, nella pratica i genitori pagano circa 10,000 dollari per gli undici anni di scuola del figlio: i bambini più piccoli non sono consapevoli del fatto che andare a scuola abbia un costo per le loro famiglie, ma lo diventano a partire dagli 8 anni.

Per indagare la consapevolezza delle differenze sociali e del loro impatto nella vita scolastica, il ricercatore ha mostrato agli studenti le foto di tre case di diversa tipologia (una villa, un appartamento, una casa popolare), fattura e dimensione, chiedendo se, secondo loro, i bambini che vi abitavano avessero esperienze scolastiche diverse. Dalle risposte degli intervistati è emerso che:

• per i più piccoli non vi sono differenze;

• per i bambini di 7-8 anni è difficile immaginare differenze a scuola, mentre è più facile se si parla dell’ambiente domestico;

• gli studenti più grandi (9-11 anni) evidenziano invece alcune differenze: il bambino della casa grande essendo ricco andrà in una bella scuola privata e sarà uno studente popolare perché avrà tante cose, magari a qualcuno non starà simpatico se farà troppo lo snob, comunque la scuola per lui sarà più facile e divertente; mentre il bambino della casa piccola andrà in una scuola non molto buona che organizzerà gite in posti non tanto belli; • solo tra i ragazzi delle scuole più ricche il bambino della casa popolare viene definito

“povero” ed emergono stereotipi rispetto alle famiglie povere.

È interessante anche un dato emerso dalle interviste fatte agli insegnanti rispetto ai rapporti con i genitori degli alunni: gli insegnanti infatti si lamentano delle famiglie e in particolare rimproverano i genitori poveri sia quando sono disoccupati, per il cattivo esempio che danno ai propri bambini, sia quando lavorano molte ore, perché non dedicano abbastanza tempo ai figli, alla loro cura e istruzione... la colpa del cattivo rendimento o comportamento dei bambini ricade quindi sui genitori: senza negare l’influenza della famiglia, credo però che il puntare il dito contro i genitori sia pericoloso soprattutto quando la scuola utilizza questa scusa per sentirsi giustificata nel non poter far nulla di più per gli studenti più bisogni, anche perché così facendo si isola il problema dal quadro che lo genera e lo alimenta.

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