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le forche costruite nei luoghi di distribuzione del cibo per i poveri, come monito per ricordare loro che il sistema che dava cibo e assistenza ai poveri meritevoli di aiuto era lo

Nel XIV secolo non sono rari i tumulti e le agitazioni popolari, specie in seguito a carestie ed epidemie (pensiamo ad esempio al movimento delle remensas catalane o agli hussiti); da notare

3. le forche costruite nei luoghi di distribuzione del cibo per i poveri, come monito per ricordare loro che il sistema che dava cibo e assistenza ai poveri meritevoli di aiuto era lo

stesso che incarcerava i falsi mendicanti e puniva con l’impiccagione chi rubava per fame o turbava l’ordine pubblico: “le forche di Rouen rendono conto, in primo luogo, dell’importanza dell’elemento repressivo nell’organizzazione di un sistema di assistenza sociale, e delle continue tensioni causate dall’ammassarsi dei poveri in un solo luogo e dalla costrizione al lavoro in cambio di una misera paga”30.

Personalmente - e soprattutto come educatrice - non posso non provare orrore nel leggere come strumenti di punizione e repressione, come la prigione, le case di lavoro coatto e la presenza di forche per le condanne a morte nei luoghi di distribuzione di cibo, fossero utilizzati come mezzi educativi, per socializzare i poveri ai valori della cultura dominante e correggere la loro “tendenza” al furto e alla rivolta. Ma forse la cosa che mi più mi dà da pensare è che in fondo anche oggi si risponde alla povertà con lo stesso mix di assistenza e repressione, che caratterizzava le politiche sociali dell’età moderna, ancora oggi il povero fa paura ed è associato nell’immaginario al delinquente o comunque è una presenza che turba e mette in pericolo la nostra sicurezza.

È con la legge elisabettiana sui poveri (Poor Law, 1597-1601) che viene codificata questa politica sociale, allo stesso tempo repressiva e assistenziale, nei confronti della povertà: divieto

29 B. Geremek, op. cit., p. 227. 30 Idem, p. 171.

di mendicare, repressione degli abili disoccupati e lavoro forzato, assistenza agli invalidi, formazione al lavoro per i figli dei poveri. La parish (parrocchia) è responsabile dell’assistenza dei poveri che risiedono nel suo territorio attraverso il lavoro di un consiglio di membri laici e religiosi che riceve finanziamenti attraverso le tasse (poor rate). Gli inabili vengono assistiti, ma perdono i diritti di cittadinanza e sono obbligati alla residenza fissa o in casa propria o in apposite strutture, mentre gli abili che si rifiutano di lavorare vengono internati in carcere o nelle

workhouse. Questa è un’assistenza “difensiva che si propone di difendere i «veri cittadini» da

quei «cittadini» che vengono considerati potenzialmente delinquenti, a cui offre lavoro, o prigione, o internamento”31.

Il 1600 è stato contrassegnato dalla crisi dell’industria tessile e dall’aumento della disoccupazione da un lato e dall’altro dell’impiego di manodopera a basso costo: le donne e i bambini. Inoltre la guerra dei Trent’anni (1618-1648) ha determinato in Europa un forte impoverimento della popolazione. Al problema della povertà L’Inghilterra rispose con:

- l’Act of settlement (1662) con cui si impediva ai poveri di trasferirsi da una contea all’altra dell’Inghilterra,

- la proposta di deportare i poveri nelle colonie,

- l’internamento32 in istituti dove farli lavorare e impartire loro un’educazione religiosa.

Il lavoro diventa fonte di ricchezza e il principale strumento di reintegrazione, in sostituzione della carità, considerata deleteria perché non rende i poveri “laboriosi”. In un certo senso l’uomo seicentesco ha scoperto che la povertà poteva essere utile: attraverso il lavoro coatto “i poveri erano mantenuti laboriosi e la nazione diventava più competitiva sul piano internazionale”33.

Immagine 1.2: Workhouse

(Fonte:http://4.bp.blogspot.com/_u97KWqCbiAs/SPYMrjNp2mI/AAAAAAAAAXY/YQMavIx2Ays/s1600/Londo n-Workhouse.jpg)

31 G. Giumelli, M. Gecchele, op. cit., p. 168.

32 Come sostiene Foucault il XVII secolo è l’epoca della reclusione dei poveri. 33 V. Paglia, op. cit., p. 301.

Si diffusero le workhouse: queste case di lavoro erano aperte a tutti coloro che ne facevano richiesta, assicuravano un minimo di igiene, un pasto e il lavoro, ma erano organizzate in modo tale da stimolare gli ospiti ad uscirne: lavori duri e sgradevoli, disciplina molto rigida, limitazione della libertà personale34.

Gutton (1977) nota inoltre come nel corso del ‘600 si sia rafforzata la convinzione che la reclusione e il lavoro non fossero sufficienti e che per combattere la piaga della povertà occorresse educare i poveri fin da piccoli: a questa idea si deve la diffusione di scuole per l’educazione popolare, per dare ai figli dei poveri un’istruzione e una formazione al lavoro e toglierli dalla corruzione morale della povertà. D’altro canto il nascente capitalismo diffondeva l’ideale del benessere e dell’individualismo e in nome di questi nuovi valori si giustificavano le disuguaglianze sociali.

Alle soglie del XVIII secolo “cambiavano le forme di prestazione dell’assistenza sociale, la comunità cittadina si sobbarcava il principale peso organizzativo dell’aiuto ai poveri, l’aiuto mediante il lavoro o addestramento al lavoro era diventato il principale strumento di educazione e di rieducazione dei poveri, ma al tempo stesso la povertà ed i criteri che distinguono i poveri avevano conservato tutta la loro validità”35.

È interessante notare come questo primato educativo del lavoro sia presente ancora oggi in molte politiche sociali, pensiamo ad esempio al workfare americano, che ha legato l’erogazione di aiuti e di assistenza all’obbligo del lavoro o allo strumento delle borse lavoro per aiutare il reinserimento nella società dei senza dimora, dei tossicodipendenti e delle persone con patologie psichiatriche: in realtà il lavoro non è di per sé uno strumento educativo o di integrazione sociale, molto dipende dal tipo di mansione, dal valore che la persona attribuisce a quell’impiego e dal contesto relazione in cui avviene l’attività lavorativa.

1.4 L’illuminismo e le rivoluzioni: nuovi modi di guardare i poveri

Il XVIII secolo è considerato l’epoca della filantropia: è con l’illuminismo che si è diffusa questa laicizzazione dell’amore verso il prossimo, insieme alla forte critica della carità cristiana e a una concezione di povertà come frutto dell’ignoranza e della mancanza di solidarietà umana. Vennero quindi istituite scuole per i bambini poveri, come il Philantropium di Basedown

34 E. Rossi, Abolire la miseria, Roma-Bari, La Terza, 2002. 35 B. Geremek, op. cit., p. 182.

aperto nel 1774: “trattando la miseria come il risultato di un modo di vivere sbagliato, le scuole venivano considerate un mezzo per educare all’obbedienza, per inculcare l’abitudine al lavoro e al rispetto della legge e dell’ordine”36.

Si diffusero anche nuovi diritti:

- alla costrizione al lavoro come forma di educazione e di assistenza per i poveri e come rimedio alla povertà e alla delinquenza, si affiancò il concetto di diritto al lavoro, definito da Montesquieu una responsabilità sociale dello Stato;

- la rivoluzione Americana (1776-1783) diffuse l’idea che lo Stato dovesse garantire a tutti i cittadini il diritto alla vita, alla libertà e alla felicità: certo nel sogno americano la felicità è stata interpretata come sinonimo di ricchezza e di successo, in una visione materialista e riduttiva, ed è tuttora un diritto negato a causa delle disuguaglianze socioeconomiche e delle discriminazioni etniche, ma rimane significativo che i padri del nuovo Stato abbiano considerato la ricerca della felicità come diritto di ogni cittadino, al pari della vita e della libertà;

- in Francia, sia nella Costituzione del 1791 che in quella del 1793, veniva garantita (almeno sulla carta) la libertà ai cittadini, attraverso il lavoro e l’indipendenza economica o l’assistenza per chi non era in grado di lavorare. Con la rivoluzione francese (1789- 1799) la beneficenza pubblica si distinse nettamente dalla carità: la lotta alla povertà divenne una “questione sociale”, l’assistenza un dovere della società e un diritto dei cittadini, ma già nella Costituzione del 1795 l'attenzione è sulla libertà e l’ordine sociale e non si parla più di diritto all’assistenza.

Dopo la Rivoluzione Francese “i poveri pongono, dunque, un problema nuovo proprio in quanto, malgrado la loro miseria, non possono che essere uguali. Questo fa della povertà nell’ordine liberale un problema di tutt’altra natura rispetto al vecchio problema della mendicità. In particolare […] richiede che si individui una via per far accedere anche i poveri al diritto”37.

Purtroppo dobbiamo riconoscere che questi principi non hanno sempre avuto un’applicazione nella pratica: “si riprende l’antica distinzione tra i poveri meritevoli e quelli immeritevoli, reinterpretandola secondo le nuove concezioni. Ma una volta garantito il lavoro, oppure i soccorsi, la mendicità diventa un vero e proprio delitto e come tale viene perseguita”38.

Un’altra rivoluzione che ha avuto un impatto importante sulla concezione della povertà è la

36 V. Paglia, op. cit., p. 337.

37 G. Procacci, Governare la povertà, Bologna, Il Mulino, 1998, p. 20. 38 V. Paglia, op. cit., p. 344.

rivoluzione industriale: se da un lato ha portato alla crescita economica, tanto che la povertà venne considerata solo un residuo fisiologico (W. Fischer, RM. Hartwell, K. Marx), dall’altro ha portato alla proletarizzazione dei contadini, all’aumento del numero di bambini abbandonati, della povertà, dei flussi migratori. Nascono nuove forme di povertà e marginalità, lavoratore salariato e povero vengono a coincedere, ma in particolare emerge la “questione operaia” con le prime rivolte e le prime aggregazioni associative popolari che promuovevano attività mutualistiche e politiche.

Nell’epoca della rivoluzione industriale i poveri rappresentavano uno spreco di risorse e la loro inattività era interpretata come segno di inferiorità. Marx ne Il Capitale definisce i poveri come peso morto dell’esercito industriale di riserva e la povertà come il ricovero degli invalidi dell’esercito operaio attivo, una condizione indispensabile per la produzione capitalistica e nel manifesto del Partito Comunista di Marx ed Engels (1848) si legge: “l’operaio moderno, invece di elevarsi col progresso dell’industria, cade sempre più in basso, al di sotto delle condizioni della sua propria classe. L’operaio diventa il povero”. Ortes nel 1774 afferma: “la ricchezza di una nazione corrisponde alla sua popolazione e la sua miseria corrisponde alla sua ricchezza. La laboriosità di alcuni è la causa dell’ozio degli altri. I poveri e gli oziosi sono un prodotto inevitabile dei ricchi e laboriosi”39.

Discorsi simili si ritrovano in Hecquet, Townsend, Mandeville e Malthus: “il problema non è più trovare i mezzi per sconfiggere il flagello sociale dei mendicanti e dei vagabondi, ma soprattutto di analizzare e di comprendere il pauperismo in quanto fenomeno di massa, e di determinare dunque le sue cause e il suo posto nel sistema economico moderno”40. Non si guarda più alla

povertà come risultato della pigrizia o sventura del singolo, ma come prodotto di un organizzazione sociale imperfetta, che produce differenze economiche e sociali. Si apre in questi anni un acceso dibattito sull’assistenza pubblica dei poveri: Montesquieu e Turgot affermano il diritto dei poveri all’assistenza, Bentham richiama la società al suo dovere di garantire la massima felicità al massimo numero di persone possibile anche attraverso il soccorso agli indigenti e il lavoro ai poveri, mentre Malthus nel suo Saggio sulla politica della

popolazione (1798) si oppone ad ogni forma di assistenza e tutela pubblica dei poveri,

controproducenti perché, secondo lui, non farebbero altro che aggravare il problema in quanto, togliendo la concreta prospettiva della fame, eliminano il freno alla riproduzione oltre i limiti della sussistenza; alcuni economisti, come l’inglese McCulloch (1825), sostenevano invece l’importanza di assistere inabili e disoccupati per garantire la sicurezza e il benessere della

39 G. Ortes, Della economia nazionale libri sei, Venezia 1774 in B. Geremek, op. cit., p. 244. 40 Idem, pp. 243-244.

nazione, mentre altri ancora, come De Gérando (1846), ritenevano essenziale incentivare l’impegno filantropico dei privati accanto a forme di beneficenza pubblica41.

Nel XIX secolo la disoccupazione era ritenuta la causa principale della povertà e

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