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Nel XIX secolo la disoccupazione era ritenuta la causa principale della povertà e nell’immaginario il povero era l’operaio Piuttosto che intervenire sul mercato del lavoro s

Grafico 3.3: Il rischio di povertà degli anziani secondo il genere

2. servizi per la promozione delle professionalità e la divulgazione scientifica; 3 servizi socio-educativi di appoggio all’età adulta in difficoltà.

4.1.5 La pedagogia del disagio adulto

“Considerando il dolore sommerso di cui le città e gli ambienti contemporanei sono pervasi, la vera sfida educativa è consentire la comunicazione di questo dolore perché non si tramuti in suicidio sociale” (Gnocchi R., 2008, p. 154).

Il pedagogista Raffaele Gnocchi vede nel disagio adulto - e in particolare nella povertà estrema delle persone senza dimora - un luogo di intervento multidisciplinare, in quanto:

1. il fenomeno dei senza dimora è forma visibile di un disagio complesso, dinamico e multiforme e di una povertà materiale e immateriale;

2. l’approccio alla povertà estrema permette di valutare il cambiamento sociale in atto; 3. l’avvicinamento e l’intervento rivolto alle persone senza dimora richiede competenze

pluridisciplinari.

Anche la pedagogia deve sentirsi quindi chiamata in causa: guardare il disagio adulto da un’ottica educativa significa, secondo Gnocchi, considerare l’emarginazione come un “possibile mancato raggiungimento di compiti evolutivi ed educativi i quali hanno lasciato il soggetto in balia degli avvenimenti e delle sollecitazioni estranee a un pieno benessere esistenziale”53 e alla

piena maturità della vita adulta.

Età adulta e maturità

Gnocchi prende in esame alcune teorie psicologiche e pedagogiche54, a cui corrispondono

diverse definizioni di età adulta, e gli studi in ambito sociologico e biologico-medico (Rutter, Knowles, Laslett, Guardini) che abbracciano l’intero arco della vita e propongono una visione dinamica ed evolutiva dello sviluppo, con vere e proprie metamorfosi, cambiamenti nel corpo e

52 Idem, p. 67.

53 R. Gnocchi, “Il supporto educativo per l’integrazione sociale” in R. Gnocchi (a cura di), Homelessness e dialogo

interdisciplinare, Roma, Carocci, 2009, p. 247.

54 Gli autori e le teorie di riferimento citati da Gnocchi sono: le teorie stadiali (psicoanalisi freudiana e

psicogenetica), Duccio Demetrio (dialettica puer-senex di Jung), Erikson (generatività come compito di sviluppo dell’età adulta), Maslow (maturità e motivazione), Fornari (agire adulto: negoziato, ripartizione delle risorse, aiuto reciproco), Adler (adulto in tensione verso il suo ideale che non viene mai raggiunto), Lewin (identità adulta mutevole e multipla); Fromm (coerenza e continuità), Rogers (adultità come percorso mutevole fatto di andate e ritorni, avanzamenti e regressioni), Lapassade (l’età adulta è lo stadio finale del percorso di crescita).

nella psiche che ridefiniscono la persona adulta. Parlare di età adulta significa riferirsi a una rappresentazione allo stesso tempo socio-culturale e individuale e infatti, secondo Knowles, abbiamo più definizioni di adulto:

1. colui che ha raggiunto l’età della riproduzione (definizione biologica);

2. colui che ha raggiunto l’età che per legge consente di avere diritto al voto, di prendere la patente, di accedere al credito (definizione legale);

3. colui che si assume un ruolo adulto attraverso il lavoro, il matrimonio, il diritto di voto (definizione sociale);

4. colui che è consapevole di sé come persona autonoma e responsabile (definizione psicologica).

Esistono quindi diverse età (cronologica, biologica, personale, sociale) che non sempre coincidono, per cui “l’odierna sfida dell’essere adulti è proprio questa: riuscire a mantenere in esistenza e comporre, diverse identità: la sociale, la biologica, la psicologica, la lavorativa, la familiare ecc.”55. Questo equilibrio tra le diverse componenti che compongono l’identità è indice

di stabilità e maturità, due caratteristiche ritenute proprie dell’età adulta.

Anche di maturità tuttavia esistono diverse definizioni (Baltes e Smith, Butinet, Macario, Godino), ma Gnocchi sceglie di declinarla come “opportunità di rendere pienamente completa la persona la quale vive la sua esperienza in stretta relazione a età, contesto culturale e dinamiche relazionali”56 e definisce l’essere adulti nei termini del prendersi cura di sé e degli altri: la

maturità dell’adultità è dunque una questione di responsabilità verso se stessi e verso l’altro.

Eventi critici e disagio adulto

Secondo Knowles, la crescita, lo sviluppo, la maturazione sono influenzati da eventi critici, momenti di scelta relativi al lavoro, la famiglia, la salute, le relazioni sociali, e anche Erikson parlando dei compiti di sviluppo dell’età adulta e anziana sottolinea il rischio della crisi della generatività (nel settimo stadio) e dell’integrazione dell’io (nell’ottavo stadio).

Secondo Gnocchi questi eventi critici non sono per forza regressioni irreversibili, “non è tanto la crisi ad essere problematica quanto le risorse messe in campo per fronteggiarla e il loro utilizzo”57. La reazione delle persone di fronte ai problemi e alla sofferenza è diversa, perché

diversa è la storia personale e diversa l’hardiness, la resilienza degli individui. Secondo Guardini

55 R. Gnocchi, “Il supporto educativo per l’integrazione sociale” in R. Gnocchi (a cura di), op. cit., p. 253. 56 Idem, p. 257.

le crisi possono essere occasioni per riflessioni etiche e morali sul senso della vita e sul costo dell’impegno: “così, anche l’evento critico più pesante e problematico sarà occasione per far emergere le basi axiologiche della persona. Un’occasione per riscoprirle, per ribadirle e per esercitarle”58, per riconoscere la forza della debolezza e scoprire che l’uomo non coincide con il

suo limite, ma che un limite riconosciuto può essere integrato nella propria vita. La sofferenza, la malattia, il dolore di per sé non hanno senso o giustificazione, non fanno crescere, ma come dice Jollien ne Il mestiere di uomo, è quello che ne facciamo che può farci crescere.

Il disagio adulto è definito da Gnocchi come una “forma di insanabilità transitoria quale causa della complessiva incapacità di rispondere alle funzioni personali e sociali indotte dai ruoli ascritti in quanto soggetto adulto”59. È l’esito possibile di un percorso di vita, ma anche luogo

dove emergono capacità di significazione, resistenza e cambiamento. Quando al disagio si aggiunge l’isolamento, l’esclusione dalle relazioni e dalla società, allora diventa emarginazione, una vera e propria patologia sociale: “è lo sviluppo negativo della condizione di disagio […] una condizione materiale e immateriale nella quale il soggetto vive una sofferenza causata sia dal mancato riconoscimento del proprio disagio, sia dalla non considerazione dello stesso da parte del contesto relazionale di riferimento”60. L’emarginazione è un processo dinamico, che ha due

componenti, una personale e una sociale, per cui accanto all’azione sui singoli emarginati (“cittadini deboli”) occorre agire sul contesto di appartenenza e sui processi emarginanti.

Secondo Gnocchi l’emarginazione e il disagio sono da ricollegarsi alla mancanza di senso e al relativismo etico: “la libertà di costruirsi uomini e donne è diventata un “non luogo” antropologico. Il non senso, nelle cose realizzate, nei vissuti, nelle relazioni e più generalmente nelle pieghe del quotidiano, è la cifra da pagare in termini di disagio”61. Emarginazione e disagio

sono l’evidenza di una vita compromessa, ma non in modo totale e irreversibile, per cui resta uno spazio per l’intervento educativo.

La Pedagogia del disagio e della marginalità adulta

La pedagogia, in quest’ottica, deve occuparsi di povertà estrema e disagio adulto perché chi vive il disagio di una condizione di emarginazione non è sempre in grado di operare scelte, anzi vede compromesse le proprie capacità di relazione e di progettazione: per questo è importante un

58 Idem, p. 260.

59 R. Gnocchi, Pedagogia del disagio adulto. Dialogo interdisciplinare e accompagnamento educativo, Milano,

Edizioni Unicopli, 2008, p. 174.

60 Idem, pp. 174-175. 61 Idem, p. 173.

accompagnamento educativo come educazione alla relazione e alla progettualità esistenziale62

che, in stretta collaborazione con l’intervento medico-psichiatrico, può aiutare la persona a rientrare in se stessa, a riprendere potere sulla propria vita. Questo approccio richiede il passaggio dalla centralità del problema-sintomo alla centralità della persona nella sua globalità (capacità, limiti, desideri, bisogni...) e nella sua responsabilità (impegno, emancipazione, iniziativa personale). “Lo spunto educativo può generare un rinnovato riconoscimento personale delle caratteristiche, dei punti di forza, delle qualità personali sia per una progressiva uscita dalla condizione di sofferenza sia per la cura della malattia mentale”63.

Gnocchi delinea uno specifico settore della pedagogia, la Pedagogia del disagio e della marginalità adulta: “la pedagogia del disagio trova la sua ragion d’essere nella educazione delle relazioni attraverso un’attenzione particolare: la cura delle relazioni stesse”64. Questa pedagogia

assume infatti come canale privilegiato dell’intervento educativo la relazione, perché solo in un contesto relazionale è possibile trovare la soluzione a un bisogno e ridare alle persone il desiderio e il potere di cambiare e la coscienza riflessiva per riprendere il mano il proprio passato e aprirsi al futuro. La relazione educativa è fatta di ascolto e vuole ridare la parola a chi è rimasto senza voce, sollecita la presa in carico e il prendersi cura, coinvolge attivamente il soggetto e assume il contesto sociale come naturale spazio d’esistenza: è “luogo di sintesi fra il riconoscimento della sofferenza, le motivazioni alla cura reciproca, all’interno delle questioni poste dal clima socio-culturale”65.

Per Gnocchi, l’intervento educativo rivolto ai senza dimora deve mettere al centro la persona, nella sua integralità, complessità e unicità irripetibile, che vive lo stadio di vita adulta, caratterizzato per la responsabilità e la capacità di operare scelte, e che si trova ad affrontare situazioni di sofferenza e povertà; deve inoltre caratterizzarsi per:

- corresponsabilità: è fondamentale la partecipazione del soggetto e la sua consapevolezza

62 La Progettazione Esistenziale fa parte del Problematicismo Pedagogico di G.M. Bertin. Bertin nella sua analisi

dell’esperienza, intesa come rapporto di integrazione tra io e mondo, pone in rilievo la problematicità e la conflittualità del travaglio attraverso il quale uomini e gruppi trasformano se stessi e la realtà. Se è vero come dice Heideggerg che siamo gettati nel mondo, è però anche vero che il come di questa gettatezza non è dato. Il rendersi conto dei condizionamenti interni ed esterni è il primo passo per scoprire lo spazio della progettualità e della libertà di scelta che ha ognuno di noi. Scegliere di progettare la propria esistenza sulla via della razionalità, che dilata lo spazio delle possibilità e permette di sviluppare la demonicità individuale e seguire l’istanza etica del "realizza te stesso realizzando l’altro", richiede impegno e impegnarsi, oltre a costare fatica, implica l’imbattersi in occasioni di conflitto con se stessi e con gli altri. La possibilità del conflitto può rendere ancora più difficile impegnarsi, per la paura della rottura dell’equilibrio personale o di rapporti significativi implicita nell’idea di conflitto. Per potersi incamminare nella strada dell’impegno della progettazione esistenziale occorre quindi un’educazione al conflitto (Contini M., Genovese A., op. cit.).

63 R. Gnocchi, Pedagogia del disagio adulto, op. cit., p. 147. 64 Idem, p. 157.

dei fini dell’intervento,

- coinvolgimento proattivo: occorre tener conto delle esperienze precedenti e dell’identità già formatasi per promuovere un percorso di emancipazione.

L’educatore si pone accanto alla persona sofferenza per sostenere e risvegliare le capacità sepolte dal dolore e dagli ostacoli, perché ha fiducia nell’uomo e lo riconosce e rispetta come individuo unico, mai analizzato e capito del tutto: “per esercitare l’adultità sono necessari due elementi. Il fine della responsabilità educativa e il riconoscimento del volto altrui”66. L’altro non è un

numero, un caso o una patologia, ma una persona con cui percorrere un pezzo di cammino, vivere insieme il tempo dell’attesa e della relazione per raggiungere il cambiamento possibile in ogni età e stadio della vita: l’educazione, come afferma M. Debesse, “non crea l’uomo: lo aiuta a crearsi”67.

Ogni percorso pedagogico, secondo Gnocchi, è un cammino di liberazione per vivere nella pienezza esistenziale: “la pedagogia sintetizza fini, strumenti e tempi nell’orizzonte di una vita pienamente realizzata. Il caso delle persone senza dimora non richiama scenari esistenziali differenti da quelli della gente con altri stili e occasioni di vita; semmai richiama quest’ultima a considerare chi subisce un vincolo emarginante come un uomo a tutti gli effetti. Il richiamo alla comune responsabilità per un benessere collettivo e diffuso deve essere supportato da una deliberata capacità progettuale di politiche sociali, sfondi valoriali e impegni educativi”68.

5.2 Le metodologie per un intervento educativo contro la povertà e per i

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