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Lo sguardo antropologico sulla povertà: esiste una cultura della povertà?

Nel XIX secolo la disoccupazione era ritenuta la causa principale della povertà e nell’immaginario il povero era l’operaio Piuttosto che intervenire sul mercato del lavoro s

2. Lo sguardo antropologico sulla povertà: esiste una cultura della povertà?

“L’uomo è un animale impigliato nelle reti di significati che egli stesso ha tessuto, credo che la cultura consista in queste reti e che perciò la loro analisi non sia anzitutto una scienza sperimentale in cerca di leggi, ma una scienza interpretativa in cerca di significato (Geertz C. in Bonfi G., Gindro S., Tentori T., 1998, p. 98).

Come abbiamo visto nel primo capitolo, dire “povero” in diverse epoche non significa parlare della medesima condizione e lo stesso vale anche quando prendiamo in esame la povertà in diverse società e culture: ad esempio dire povertà in una lingua piuttosto che in un’altra non equivale a identificare un uguale concetto, inoltre la parola “povero” non esiste nella maggior parte dei dialetti del continente africano, al suo posto si preferisce infatti il termine “orfano”1.

Ritengo quindi possa essere interessante prendere in esame alcuni studi antropologici sulla povertà: anche se non sono tanti gli antropologi che hanno affrontato in modo diretto questo argomento, sono molti quelli che attraverso le loro ricerche ci hanno mostrato le conseguenze della povertà e soprattutto il punto di vista dei poveri.

Se la storia guarda alla povertà come a un fenomeno storico, che con il passare del tempo subisce mutamenti nelle forme e nei significati, l’antropologia guarda alla povertà come un fatto culturale, o meglio ne indaga gli aspetti culturali, ricercandone l’essenza nei significati che gli uomini le attribuiscono, a partire dalla loro esperienza personale e dal contesto in cui vivono. Oltre ad offrirci un punto di vista e una spiegazione su questo fenomeno, l’antropologia ci suggerisce un utile strumento di ricerca per indagare i territori della povertà: il metodo etnografico. Attraverso il lavoro sul campo e l’osservazione partecipante, gli antropologi sono entrati nel mondo di vita dei poveri per conoscerlo, per guardarlo dall’interno, per ascoltare le voci dei protagonisti e comprendere il punto di vista e il significato dato alle pratiche sociali da chi le vive. Questa conoscenza ha permesso loro di “dare voce al silenzio” dei poveri, come scrive Matilde Callari Galli (2005), e dignità alle loro parole.

In questo capitolo prendo in esame quattro “sotto-culture” della povertà, se così possiamo definirle, indagate dagli antropologi:

• la cultura della povertà teorizzata dall’antropologo americano Oscar Lewis negli anni

‘60,

• la cultura analfabeta nella Sicilia degli anni ’60 studiata da Matilde Callari Galli e Gualtiero Harrison,

l’uomo “nihil” descritto da Alberto Salza • e la povertà estrema dei senza dimora,

per poi riflettere sul concetto di cultura della povertà e sul ruolo attribuito dagli antropologi all’educazione nella riproduzione e nel cambiamento degli atteggiamenti e dei valori dei poveri.

2.1 Oscar Lewis e la cultura della povertà

“La cultura della povertà è certamente molto più ricca del vuoto culturale della società del consumo” (Gouget J.J., in S. Latouche, 1993, p. 99).

All’interno della riflessione antropologica sulla povertà ho deciso di soffermarmi sul concetto di “cultura della povertà”, secondo il quale le circostanze materiali e le privazioni della vita in povertà producono pratiche e valori diversi, a volte conflittuali, rispetto a quelli del resto della società e questa sottocultura si trasmette di generazione in generazione, attraverso l’educazione e la socializzazione, impedendo la mobilità sociale. Padre di questo termine è l’americano Oscar Lewis, antropologo interessato alla povertà non solo e non tanto per curiosità accademica, ma per un senso di partecipazione umana e responsabilità: era infatti un uomo “impegnato” politicamente e poneva la sua attività di ricerca al servizio dei poveri, per dare loro voce e per chiedere giustizia sociale.

Nel 1958 al Congresso Internazionale degli Americanisti a San José, per la prima volta Lewis utilizzò il concetto di sottocultura della povertà spiegandolo in questo modo: “la povertà […] crea una sottocultura per proprio conto. Si può parlare di una cultura della povertà, perché ha modalità proprie e porta delle conseguenze distintive, sociali e psicologiche, per i suoi membri”2.

Con questo termine voleva quindi indicare non la povertà materiale, ma un modo di vita che caratterizza la quotidianità dei poveri in contesti anche molto diversi3: “speravo che il termine

2 Cfr. O. Lewis, “The culture of the Vecindad in Mexico City: Two Case Studies” in Actas de XXXIII Congreso

Internacional de Americanistas, San José 20-27 Luglio 1958, p. 387, in O. Lewis, La cultura della povertà, Bologna, Il Mulino, 1970.

3 Cfr. i seguenti tesi di Oscar Lewis: Five Families: Mexican case studies in the culture of poverty, New York,

Basic Books, 1959; Tepoztlàn, village in Mexico, New York, Holt, 1960; I figli di Sanchez, Milano, Mondadori, 1966; La vida: una famiglia portoricana nella cultura della povertà, Milano, Mondadori, 1972.

“cultura” indicasse un senso di valore, di dignità, e l’esistenza di un modello nella vita dei poveri nonostante le condizioni miserevoli in cui vivono”4.

La cultura della povertà secondo la definizione di Lewis è un “sistema condiviso dalla povera gente in determinati contesti storici e sociali”5: si manifesta soprattutto negli strati più bassi della

popolazione nelle società individualistiche, stratificate in classi e in mutamento, fa parte della cultura del capitalismo, mentre è inesistente o minimale nelle società primitive non stratificate o nel modello di società di casta o nelle società socialiste o fasciste in cui lo stato è assistenziale. Secondo l’antropologo la cultura della povertà non è una condizione passiva, ma “un adattamento e una reazione dei poveri alla loro posizione marginale […] molte caratteristiche della cultura della povertà possono essere considerate tentativi di trovare soluzioni locali dei problemi non risolti dalle istituzioni e dagli enti assistenziali”6.

Le caratteristiche culturali della povertà di cui parla Lewis si ritrovano in paesi e culture diverse e riguardano:

1. la vita sociale: mancata integrazione e partecipazione dei poveri alla vita sociale ed

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