• Non ci sono risultati.

Nel XIX secolo la disoccupazione era ritenuta la causa principale della povertà e nell’immaginario il povero era l’operaio Piuttosto che intervenire sul mercato del lavoro s

Grafico 3.3: Il rischio di povertà degli anziani secondo il genere

3. La centralità del soggetto nel percorso di cambiamento: l’ intervento educativo, parte dal qui e ora del soggetto marginale e si basa sulle abilità già possedute, per poterne

5.2.4 Il counseling pedagogico e l’accompagnamento educativo

Nella relazione d’aiuto l’utente non viene considerato un soggetto passivo a cui elargire risposte, bensì un protagonista attivo e dinamico, portatore di risorse e non solo di bisogni86: compito

dell’educatore è aiutare la persona in difficoltà a rileggere il problema e a ristrutturare la domanda, attivandone il cambiamento. Si tratta quindi di una funzione di counseling e di accompagnamento.

Con il termine counseling si definisce un processo di interazione tra due persone, finalizzato a rendere l’utente capace di operare decisioni riguardo a scelte o a problemi e difficoltà personali. La relazione educativa come processo di counseling non vede l’aiuto come un bene trasmesso dal professionista all’utente, ma come frutto dell’interazione tra i due soggetti.

L’accompagnamento educativo garantisce alle persone, soprattutto a chi che ha difficoltà a strutturare e/o mantenere relazioni significative, uno spazio e un tempo dedicato al dialogo e alla relazione in cui essere aiutato a rileggere la propria condizione attuale e la storia di vita, per prendere coscienza sia dei limiti personali e dei condizionamenti imposti dall’ambiente o dalla società, sia delle risorse e delle possibilità che si hanno a disposizione.

Gnocchi riporta il Progetto Tutoring sociale del comune di Lainate come esempio di counseling pedagogico87 e accompagnamento educativo rivolto a singoli e famiglie in situazioni di disagio,

povertà, rischio di esclusione o fragilità: persone che si presentano ai servizi sociali con una

86 Questa concezione di relazione d’aiuto deriva da Carl Rogers che ha rivoluzionato il rapporto educatore-utente,

individuando in quest’ultimo il principale attore del processo di aiuto. Secondo Rogers infatti la relazione di aiuto non si realizza nel proporre soluzioni, ma nell’eliminare gli ostacoli emotivi, cognitivi o legati a eventi esterni che impediscono alla persona di esprimere le proprie capacità e risorse. Cfr. Rogers C., La terapia centrata sul cliente, Firenze, Psycho, 2000.

87 La specifica educativa non vuole contrapporsi all’approccio psicologico, ma caratterizzarsi per reciprocità,

intenzionalità, assunzione globale della persona, attenzione al contesto, logica della prevenzione. Il fine educativo è sollecitare la persona ad imparare dall’esperienza e dall’ascolto di sé e a raggiungere il traguardo della libertà di assumere la propria vita come impegno da progettare (progettazione esistenziale). Cfr. A. Di Fabio, S. Sirigatti (a cura di), Counseling. Prospettive e applicazioni, Milano, Ponte delle grazie, Milano e Simenone D., (2006) “La consulenza pedagogica in Italia”, in F. Telleri (a cura di), Consulenza e mediazione pedagogica. Esperienze e prospettive, Sassari, Delfino, 2005.

domanda di aiuto economico, ma portano una serie problematiche abitative, relazionali, psichiche, lavorative. Il tutoring sociale è un accompagnamento educativo, non assistenziale, che vuole offrire a questi soggetti “l’opportunità d’acquisire abilità necessarie per inserirsi, o meglio reinserirsi, nella società e ritornare ad essere autonomi e indipendenti”88.

Se si vuole sviluppare il cambiamento a partire dalla rielaborazione dei propri vissuti, è necessario un primo periodo di conoscenza in cui comprendere la situazione, il contesto e le risorse esistenti e da attivare. I primi incontri avvengono in luoghi neutri e servono anche per costruire la fiducia, che deve caratterizzare il rapporto educativo; il punto di partenza è la quotidianità e gli strumenti sono il colloquio, l’ascolto empatico e la relazione; il campo d’azione è il territorio, la società, lo scopo del tutor è infatti aiutare il soggetto a rileggere la propria situazione nei limiti e nelle possibilità che la caratterizzano, a orientarsi nella rete dei servizi, a reinserirsi nella società, ad allargare la propria sfera relazionale, senza mai sostituirsi ad esso o imporre delle scelte e senza scavalcare o sostituire le altre figure che hanno in carico la persona: per questo è importante che l’elaborazione del progetto coinvolga il soggetto89,

l’educatore-tutor e l’assistente sociale. Tutti i soggetti coinvolti si ritrovano periodicamente per monitorare e verificare l’andamento del percorso. Il tutor sociale, come lo definisce Gnocchi, è una risorsa per le altre figure professionali perché “incontrando l’utente nel proprio ambiente di vita, [...] ha l’opportunità di osservare il soggetto in una situazione dove le misure di difesa sono minori e l’utente è più esposto a eventi che lui stesso non può controllare o nascondere […]. L’informalità e la maggior quantità di tempo a disposizione per parlare permettono all’utente d’approfondire i propri racconti e di caricarli di significati”90.

Secondo Gnocchi inoltre occorre promuovere la progettazione e la programmazione degli interventi educativi in un’ottica di prevenzione e non di emergenza e tenere conto di alcune questioni-interrogativi:

1. la rappresentazione sociale del disagio: da questa rappresentazione infatti dipende il tipo di intervento (custodialista, assistenziale o educativo) nei confronti della persona in situazione di disagio. Gnocchi propone di “formare operatori pedagogici della mediazione. Lavorare, in altre parole, con l’obiettivo di riconnettere le rappresentazioni sociali agli interventi sociali nella prospettiva della responsabilità educativa”91;

2. il venir meno di una responsabilità educativa diffusa: nei confronti dei soggetti deboli, di

88 R. Gnocchi, Pedagogia del disagio adulto, op. cit., p. 209.

89 Questa modalità di lavoro promuove la partecipazione attiva del soggetto e ha una funzione educativa, in quanto

prospetta un itinerario ordinato e consequenziale e richiede il rispetto del patto.

90 R. Gnocchi, Pedagogia del disagio adulto, op. cit, p. 220. 91 Idem, p. 183.

quelli che Bauman (2005) chiama “rifiuti umani”, c’è una sempre più diffusa delega educativa agli specialisti del bisogno che operano in “strutture-contenitori dei soprannumerari”. Di fronte alla frammentazione dell’esistenza, all’individualismo, alla provvisorietà degli impegni, a un futuro a breve termine occorre promuovere da un lato un agire educativo condiviso e dall’altro la responsabilità morale verso l’altro sofferente. 5.3.5 Strumenti per l’allargamento del campo dell’esperienza

Sono innumerevoli le tecniche, le strategie e le didattiche che possono essere utilizzate per produrre quell’allargamento del campo dell’esperienza che permette il cambiamento, di seguito ne prenderò in esame alcune incontrate nei miei studi e nei servizi visitati.

L’esperienza della bellezza

“L’interpretazione artistica della realtà, la trasformazione del mondo, il canto della ribellione, l’esaltazione di un pensiero che muta il malessere in poesia, la rabbia in protesta, l’aggressività in proposta”92, tutta l’arte possiede questa forza creatrice. Secondo Bertolini, l’educazione

estetica - dall’incontro con il bello naturale, all’arte, alla costruzione di cose belle e all’introiezione della categoria di bellezza e del giudizio estetico - può fornire uno sguardo inedito sulla realtà esteriore e interiore, valorizzare il contributo personale ai processi di significazione del mondo e del sé, portare all’acquisizione della capacità di riconoscere la bellezza, di fruirne e di costruirla. “Porta infine a cogliere la profonda relazione fra oggetto e soggetto che sottende ogni esperienza cognitiva, a riconoscere lo sfondo intersoggettivo di ogni sapere, porta alla tensione utopica verso il superamento dell’esistente”93.

Anche la musica, come mostra l’opera del musicista José Antonio Abreu in Venezuela, può cambiare l’esistenza aprendola alla ricerca della bellezza e ridare nuovo senso a giovani vite ferite dalla violenza e dal degrado. Il metodo da lui creato 32 anni fa a Caracas si chiama FESNOJIV (Fundación del Estado para el Sistema Nacional de las Orquestas Juveniles e

Infantiles de Venezuela) e prevede la precoce pratica orchestrale (già a cinque anni) al posto della

lezione individuale e il far precedere la pratica allo studio della teoria; oggi questo metodo è presente nei quartieri popolari di tutto il Venezuela e coinvolge migliaia di bambini e adolescenti, che provengono da diverse classi sociali, ma che si sentono uguali nella passione per la musica. Abreu è convinto che la musica classica possa essere suonata in una dimensione popolare e che l’educazione musicale possa essere uno strumento di sviluppo in grado di dare speranza e

92 A. Gramigna, M. Righetti, op. cit., p. 126. 93 Ibidem.

un’alternativa alla povertà e alla delinquenza: come ha spiegato in un’intervista l’orchestra è una “comunità che si costituisce con l’obiettivo di concertarsi per generare bellezza”94 e in cui si

impara l’amicizia, la solidarietà, il rispetto e l’armonia.

Il Teatro dell’oppresso (Tdo)

Particolarmente indicato per coinvolgere l’adulto emarginato risulta il “Teatro dell’Oppresso” che si ispira alla pedagogia della coscientizzazione di Freire. Padre del Tdo è il regista e attore brasiliano Augusto Boal che ha lavorato con i poveri delle campagne e dalle favelas dell’America Latina, per poi approdare negli anni ’70 in Europa, dove ha scoperto altre forme di oppressione e di povertà. Il Teatro dell’oppresso può assumere diverse forme (giochi-esercizi, forum, teatro-immagine, teatro-giornale...) ma la sua specificità sta nel richiedere sempre la partecipazione attiva degli spettatori: “poiché l’emarginato è sempre un oppresso, ci sono buone ragioni per credere che possa essere coinvolto in questo gioco liberatorio, o quantomeno riconoscersi quale portatore di una diversità non priva di ansie di riappropriazione. Il valore più alto però, dal nostro punto di vista pedagogico e non di esperti teatrali, consisterebbe forse nel rovesciamento completo dell’azione scenica: una compagnia di emarginati, che sia riuscita a formarsi con esperienze apprezzabili e forte motivazione, recita la propria condizione e il conduttore, capocomico esperto della marginalità, tenta di convincere un pubblico di cosiddetti “normali” ad entrare in scena, a prendere il posto di chi quella situazione la vive tutti i giorni. Quando questo accadrà, se non è già avvenuto, lo scambio delle parti […] si insinuerà nella mente di chi ha appreso la scoperta della dignità esistenziale e conoscitiva di ogni esperienza”95.

L’educazione al lavoro

Chi vive in condizione di disagio sociale può avere verso il lavoro un atteggiamento di rifiuto, oppure di sfiducia e distacco; occorrerebbe allora un’educazione al lavoro come “saper fare”: “acquisizione di abilità attraverso le quali esprimere le proprie potenzialità, la creatività, le curiosità di lettura del mondo. Lavoro artistico-artigianale, dunque, esercitato individualmente ma anche per gruppi, all’interno dei quali scambiare solidarietà ed esprimere progettualità”96,

passare dalle conoscenze alle competenze, imparare a risolvere problemi concreti e quotidiani. Per chi vive una condizione di emarginazione temporanea, ad esempio disoccupati e i cassaintegrati, possono essere utili i corsi di formazione professionale, ma per strappare il

94 Dal sito: http//:www.ilcamminodellamusica.it/dblog/articolo.asp?articolo=104 (consultato il 14 Gennaio 2011) 95 A. Gramigna, M. Righetti, op. cit., pp. 136-137.

marginale dalla noia e dalla passività di una sopravvivenza fatta di stenti, Demetrio (1996a) propone dei laboratori permanenti sul territorio, come terreno d’incontro per i cittadini provenienti da vissuti diversi e difficili.

I laboratori di controinformazione

Occorre informare, coscientizzare e dare voce a chi solitamente rimane inascoltato. “È necessario tenere in vita la parola che viene dal basso e non passa attraverso il computer, la parola di tante povertà vecchie e nuove, che altrimenti andrebbe dispersa e dimenticata, mentre è importante che diventi, nella riflessione adulta, strumento di crescita e cambiamento”97.

I percorsi di Ricerca Azione98.

La Ricerca-azione, teorizzata da K. Lewin negli anni ’40, è un processo che mira al cambiamento di pratiche, comportamenti, situazioni con il coinvolgimento degli attori come soggetti - e non oggetti - della ricerca in ogni sua fase (definizione del problema, disegno di ricerca, metodologie, verifica, diffusione dei dati…). Questa metodologia di ricerca parte dalla necessità di trovare e provare sul campo le risposte atte a migliorare la qualità sociale di un intervento e riconosce anche ai soggetti che chiedono l’aiuto degli esperti protagonismo, saperi e competenze da condividere.

La narrazione autobiografica

Duccio Demetrio ci insegna che lo scrivere di sé è un mezzo autoeducativo, “il pensiero autobiografico, anche laddove si svolga in un passato personale doloroso di errori o occasioni perdute, di storie consumate male o non vissute affatto, è pur sempre un ripatteggiamento con quanto si è stati”99. Per chi vive ai margini raccontarsi può essere molto difficile e doloroso, ma

può rappresentare anche una liberazione, un passaggio e, nella misura in cui non solo si riordinano i ricordi, ma si compiono delle scelte per il proprio futuro, può suscitare il desiderio di riscatto sociale.

Il principio di speranza

Secondo Freire la pedagogia degli oppressi non può non essere una pedagogia della speranza; chi

97 Idem, p. 149.

98 Una teorizzazione completa si può trovare negli studi di René Barbier (cfr. R. Barbier, La ricerca-azione, Roma,

Armandio, 2007).

vuole misurarsi con l’educazione dei marginali deve farsi portatore di un messaggio che vada oltre la visione stereotipata, immobilista e colpevolizzante, oltre l’evidenza della mancanza, oltre la situazione presente per infondere la carica positiva di un ideale, con spirito utopico e profetico: la speranza è un bisogno, la speranza ci insegna che ogni uomo ha bisogni e saperi e possiede una propria dignità da salvaguardare100.

Outline

Documenti correlati