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Nel XIX secolo la disoccupazione era ritenuta la causa principale della povertà e nell’immaginario il povero era l’operaio Piuttosto che intervenire sul mercato del lavoro s

Grafico 3.3: indice di rischio di povertà per fasce d’età

50 G. Iorio, op. cit. 51 Idem, p. 154.

Di seguito affronterò nello specifico quali sono le caratteristiche della povertà di bambini, giovani e anziani.

I bambini

Da definizione sono poveri i bambini che vivono in famiglie al di sotto della linea di povertà, assoluta o relativa. Dalle ricerche sappiamo che negli ultimi 40 anni è aumentato il numero dei bambini poveri, anche nel mondo ricco, soprattutto in Gran Bretagna e negli USA: Denver in Colorado, città che ho visitato nella mia ricerca di dottorato, è attualmente in cima alle classifiche di incidenza della povertà infantile in America. La percentuale di bambini poveri in USA è più alta che in molti altri paesi a sviluppo avanzato a causa dei problemi nel mercato del lavoro, per gli insufficienti benefici della rete di intervento sociale e per fattori demografici, quali le numerose separazioni-divorzi e l’alta percentuale di bambini nati da madri adolescenti e fuori dal matrimonio. Nonostante le riforme del welfare e le iniziative di supporto alle famiglie povere (sussidi, TANF, stipendio minimo, pranzi gratis a scuola, MEDICAID, PRWORA...) la guerra alla povertà lanciata dal Presidente Johnson non è ancora conclusa.

Secondo i dati dell’ECHO (European Community Household Panel) tra il 1996 e il 2001 il rischio di povertà infantile è rimasto stabile intorno al 20% nei paesi UE, mentre è aumento in tre paesi dell’Europa del Sud tra cui l’Italia (25%). In Italia nel 1995 il numero di bambini minori di 14 anni che viveva in famiglie povere era del 15%, al Sud del 26% (questo fenomeno è da collegarsi alla crescita della povertà nelle famiglie numerose) e secondo i dati elaborati dal Centro di Ricerca Innocenti dell’Unicef53 nel 2000 l’indice di povertà infantile del Sud Italia era

quattro volte quello del Nord. Anche oggi secondo i dati Eurostat la povertà infantile italiana rimane alta, al di sopra della media europea (20%): il 23% dei poveri è costituito da minori e questa fascia di popolazione detiene l’incidenza di povertà più alta, superando addirittura gli anziani54.

Secondo i dati dell’ultimo EU-SILC (2007) si tratta per lo più di bambini che: • vivono in famiglie mono-genitoriali o con più di tre figli;

• sono figli di coppie giovani (per la relazione tra l’età dei genitori e gli stipendi); • sono figli di genitori di origine straniera e in particolare provenienti da paesi non UE; • sono figli di madri disoccupate o vivono in famiglie in cui un solo componente lavora; • hanno genitori con basso livello di istruzione;

53 Report Card 7, Centro di Ricerca Innocenti dell’Unicef, Bambini nei paesi ricchi, 2007; scaricabile dal sito:

http://www.unicef.it/flex/FixedPages/IT/Pubblicazioni.php/L/IT/Item/56/frmIDCategoria/1/frmIDArgomento/0 (consultato il 25 Maggio 2010).

54 Ministero del Lavoro, della salute e delle Politiche Sociali, Rapporto Nazionale sulle strategie per la protezione

sociale e l’inclusione sociale, Novembre 2008; scaricabile dal sito: http://ec.europa.eu/employment_social/spsi/ docs/social_inclusion/2008/nap/rapporto_naz_incl_prot_sal_2008_2010_it.pdf (consultato il 28 Maggio 2010).

• vivono nel Sud Italia.

Anche gli ultimi dati Istat sulla povertà assoluta sottolineano una maggior incidenza per le famiglie con più figli, specie se piccoli, con genitori con basso livello di scolarizzazione e un lavoro manuale.

La povertà influenza molti ambiti della vita dei bambini: salute, sviluppo socio-cognitivo ed emotivo, aspirazioni, immagine di sé, rendimento scolastico, comportamenti a rischio, prospettive di lavoro. Daniela Del Boca del CHILD - Collegio Carlo Alberto Dipartimento di Economia dell’Università di Torino - alla conferenza “Child poverty in the EU”, tenutasi a Bruxelles il 17 Novembre 2009, ha sottolineato inoltre la relazione tra la povertà infantile e i fenomeni dell’abbandono scolastico e del lavoro minorile. In Italia, specialmente al Sud, esiste secondo la ricercatrice una povertà culturale che porta alcune famiglie a non investire sull’educazione dei figli e molti ragazzi vedono nell’entrata precoce nel mondo del lavoro lo strumento per rispondere ai bisogni economici della propria famiglia: secondo i dati Istat 2002, l’80% dei bambini lavoratori tra i 7 e i 10 anni appartiene a famiglie a rischio di povertà.

Vivere in povertà nei primi anni di vita, soprattutto se per periodi prolungati, può causare problemi a livello di sviluppo fisico e psichico e, limitando l’accesso ai servizi (educazione, salute…), porre le basi di un’esclusione sociale in età adulta: per questo la lotta alla povertà infantile è uno dei Millennium Goals e uno degli obiettivi principali che l’Unione Europea si è data nel 1996 e che ha ribadito nel 2010, “Anno europeo della lotta contro la povertà e l’esclusione sociale”, affermando nel Poverty Paper che “la prevenzione della povertà nella fasi iniziali della vita è addirittura più importante della stessa lotta alla povertà”.

Per combattere la povertà infantile occorre prima analizzare il fenomeno in tutti i suoi aspetti e per far questo non è sufficiente una misura economica della povertà, serve un approccio multidimensionale: esempio interessante che va in questa direzione è la ricerca dell’Unicef del 2007 sulla povertà infantile in Italia, che non ha tenuto conto solo del benessere materiale, ma anche di altri parametri, quali la salute, il benessere nel sistema scolastico, le relazioni interpersonali, i comportamenti e i rischi, la percezione e la valutazione del proprio benessere.

I giovani

A partire dagli anni ’80 è aumentato il numero dei giovani poveri, oggi i giovani sono la categoria più vulnerabile e la disoccupazione giovanile in tutti i paesi europei è superiore alla media generale. Secondo il Youh Global Report del 2003, basato sui dati raccolti nel 2000, più di duecento milioni di giovani vivono con meno di un euro al giorno e più del doppio con meno di

due euro e il World Development Index, diffuso nel 2004 dalla Banca Mondiale a partire dai dati del 2002, parla di centosessanta milioni di giovani sottonutriti o malnutriti, di più di duecento milioni che vivono con meno di un euro e di più di cinquecento che vivono con meno di due55.

La povertà estrema sembra colpire soprattutto i giovani dell’Asia del Sud e dell’Africa sub- sahariana e in particolare le più svantaggiate sono le ragazze e le giovani donne, ma anche nelle zone più ricche del pianeta esistono sacche di povertà giovanile.

La condizione giovanile in Italia, e in generale nei paesi a sviluppo avanzato, si caratterizza per la compresenza di agio e disagio, di ricchezza e povertà e di una sorta di malessere del benessere: ci sono giovani che traggono benefici della crescita economica, dalla diffusione delle nuove tecnologie e dall’ampliamento della possibilità di viaggiare e di comunicare, giovani che godono dei passi in avanti compiuti nel campo della medicina, del diritto e dell’istruzione, ma anche giovani esposti alla flessibilità e alla disoccupazione, giovani che vivono in povertà, che scelgono la strada come rifugio dalle violenze o dalla disgregazione familiare, che sono esclusi dal benessere e dall’istruzione, che non hanno un lavoro o sono sfruttati, che sono vittime della violenza, dell’Aids o dei conflitti armati, giovani cresciuti troppo in fretta e giovani cresciuti in recinti reali e virtuali, giovani soli in un mondo competitivo e violento che li rende tali e in famiglie in cui non c’è dialogo, giovani che cercano rifugio nella droga, che giocano con la morte per sentirsi vivi, giovani che fuggono dalla politica, ma anche giovani che si impegnano nel sociale e nel volontariato... il problema, secondo il sociologo Ilvo Diamanti è proprio quello di riuscire a definire i giovani come generazione, come entità sociale definita da una certa età e dai rapporti con le altre generazioni, per questo parla di “generazione invisibile”56:

1. perché pochi: quasi tutti figli unici, figli di genitori disillusi, privi di passato e di futuro, bravissimi ad adattarsi al presente adottando la strategia della reversibilità, da adolescenti bruciano le tappe, ma poi rimangono più a lungo in famiglia con la complicità dei genitori;

2. perché prediligono la sfera del privato, la famiglia e le piccole associazioni, (forse anche perché in questa fase di crisi e delusione generalizzata è difficile coltivare passioni e sogni se non in privato) e perché invece dell’opposizione aperta, scelgono di sottrarsi alla vista altrui o di costruire zone franche;

3. ma anche perché gli adulti non li vogliono vedere, perché le questioni che essi segnalano con la loro presenza e con il loro modo di agire suscitano disagio nel resto della società57.

Elementi comuni alla maggior parte dei giovani italiani sembrano essere la scontentezza nei

55 United Nations - Department of Economic and Social Affairs, Youth Global Report, 2005, p. 32. 56 I. Diamanti, “Invisibili per forza” in La generazione invisibile, Milano, Il Sole 24Ore, 1999, p. 14. 57 Idem, pp. 22-23.

confronti della scuola, la minor importanza attribuita al lavoro rispetto alla generazione precedente e la sua strumentalizzazione ai fini del consumo e dell’autorealizzazione. Da una ricerca di Eures58 condotta sugli adolescenti e i giovani studenti romani risulta che i ragazzi tra i

15 e i 20 anni ogni mese tra paghette e lavoretti guadagnano 110 euro, quelli tra i 18 e i 20 anni 150 euro (le ragazze un po’ meno), mentre consumano tra i 130 e i 250 euro (le ragazze di più): si tratta di uscite sostenute in larga misura dalle famiglie nel tentativo, forse, di conoscere e guidare la gestione dei soldi in un mercato che vede nei giovani i principali consumatori. Molti giovani vivono invece un nuovo disagio: quello di voler stare dentro la società dei consumi pur non avendo i mezzi economici per farlo. Secondo i dati Istat infatti:

• il 27% dei giovani italiani ha una capacità di spesa inferiore alla media, • il 17% dei minori (quasi due milioni) vive sotto la soglia della povertà,

• il tasso di disoccupazione giovanile nel 2009 ha sfiorato il 28% e chi lavora ha uno stipendio del 35% inferiore rispetto ai colleghi più anziani,

ci sono circa 2 milioni di giovani sotto i 29 anni che abitano ancora con i genitori e non studiano e non lavorano,

• quasi la metà dei senza dimora sono sotto i 37 anni, si tratta di giovani spesso con alle spalle esperienze di tossicodipendenza e povertà di relazioni, molti sono immigrati, in aumento sono anche i casi di indebitamento sia per dipendenza da gioco sia per acquisti rateali affrontati con superficialità.

I giovani sono i più esposti alla precarietà lavorativa dei contratti a progetto e dei lavori atipici: finché i giovani sono in famiglia vivono una situazione di benessere e consumo, hanno molto di più che nel passato, ma tutto si esaurisce nel breve periodo, perché il futuro che li attende è incerto, problematico e fa paura, sia per quanto riguarda il lavoro, sia per la casa, sia per le relazioni. È caduta la speranza di poter preparare ai propri figli un futuro migliore: il 53% degli italiani rimane tutta la vita nel ceto sociale di nascita, il 15,3% scende di una classe rispetto a quella dei genitori.

“Essere certi di non avere assolutamente nulla da dire e niente da fare fa paura poiché rappresenta l’identificazione con la morte, è anzi essere morti prima del tempo. Tutto è morto se durante l’adolescenza muore il futuro”59. Questa perdita di futuro genera la consapevolezza di

vivere un ruolo sociale senza valore e quindi le conseguenze sono la perdita dell’autostima e della dimensione progettuale e il vuoto sociale. La povertà di futuro, la precarietà lavorativa,

58 G. Godio, “Le povertà giovanili” in Dimensioni Nuove, Elledici, Torino, Febbraio, 2006.

59 G. Pietropolli Charmet, Un nuovo padre. Il rapporto padre-figlio nell’adolescenza, Mondadori, Milano, 1995, p.

l’alto costo degli affitti sono tutti elementi che incidono sul fenomeno dell’allungamento del periodo adolescenziale e il ritardo dell’uscita dalla famiglia, del matrimonio e della nascita del primo figlio.

Gli anziani

I paesi industrializzati, e l’Italia in particolare, sono paesi “anziani”: l’allungamento della vita media e la riduzione della fecondità hanno fatto aumentare il peso percentuale delle persone con più di 64 anni. L’aumento dell’aspettativa di vita è senz’altro un indice di sviluppo, ma cosa sappiamo della qualità di vita degli anni dell’anzianità? Malattia, perdita dell’autosufficienza, solitudine e povertà possono rendere gli anni “regalati” dal progresso un beneficio molto pesante da portare.

Gli anziani sono una delle categorie più esposte al rischio abitativo e anche se da un lato l’immagine dell’anziano clochard che chiede l’elemosina ai bordi delle strada non è più rappresentativa del fenomeno dell’homelessness e se sono altre oggi le età più a rischio di povertà, dall’altro lato la povertà continua a colpire anche gli anziani, magari in forme più nascoste, nella solitudine della propria casa. In Italia sono 1.601.000 le persone con più di 64 anni che vivono in condizione di povertà60 e sono soprattutto donne; il rischio di povertà tra gli

over 65 varia infatti rispetto al genere, come mostra il grafico sottostante61:

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