• Non ci sono risultati.

Nel XIX secolo la disoccupazione era ritenuta la causa principale della povertà e nell’immaginario il povero era l’operaio Piuttosto che intervenire sul mercato del lavoro s

Grafico 3.3: Il rischio di povertà degli anziani secondo il genere

3.6.4 Povertà e città: le povertà urbane

“Viviamo nell’era della città. La città è tutto per noi - ci consuma, e per questo noi la glorifichiamo” (Ookome Okome)83.

Il contesto urbano è stato studiato fin dagli albori della sociologia: pensiamo a Weber, Rimmel, Booth, Rowntree, le social survey inglesi in cui è molto presente il binomio povertà-città, la scuola di Chicago e i suoi studi sulla disorganizzazione sociale dovuta all’insediamento degli immigrati, ad esempio lo studio di Park sui rifiuti umani delle città americane.

Negli ultimi anni sono aumentati gli studiosi che “sostengono la tesi che lo sviluppo del capitalismo su scala globale è correlato a nuovi rischi di povertà”84, con ripercussioni

sull’organizzazione fisica della città, sulla composizione etnica e sociale della sua popolazione e sulla sua economia: secondo Balbo85 la città è quindi escludente, ma non esclude di per sé, ma

proprio perché è oramai inserita nei meccanismi di liberalizzazione e privatizzazione del mercato globale.

In seguito alla crescente polarizzazione occupazionale e alla disuguaglianza economica: “la crescente instabilità delle carriere lavorative, l’aumento dei lavori informali e mal pagati, il declino, l’instabilità e la debolezza della famiglia nucleare fondata sul matrimonio e dei sistemi di solidarietà parentale, la crisi finanziaria dei programmi di assistenza pubblica, il livello elevato di isolamento sociale nelle grandi città fanno aumentare sia il rischio di trovarsi nell’area della

81 Idem, p. 232.

82 M. Mellino, “Da Dien Bien Phu a Clichy sous Bois. Le Banlieus fraancesi tra ghetti e postcolonie” in M. Callari

Galli (a cura di) Mappe urbane: per un’etnografia della città, op. cit., p. 199.

83 M. Davis, Il pianeta degli slum, Milano, Feltrinelli, 2006, p. 11. 84 G. Iorio, op. cit., pp. 163-164.

povertà economica sia il rischio che, dentro o fuori di questa, si vengono a costituire dei circuiti viziosi inarrestabili di emarginazione grave e esclusione sociale”86. La città promette ricchezza

e produce povertà: la crescita delle megalopoli si accompagna infatti a quella della povertà che in essa vi abita e ne sono un esempio gli slum, le bidonville che crescono nel continente africano, come in quello americano o in Oriente. Si stima che nei prossimi dieci anni nei 600 km di terra africana tra Benin City e Accra ci saranno più di 60 milioni di abitanti, sarà la più vasta area di concentrazione della povertà, e in Asia Bombay potrebbe raggiungere “una popolazione di trentatré milioni, anche se nessuno sa se concentrazioni di povertà così gigantesche siano biologicamente o ecologicamente sostenibili”87. L’urbanizzazione in Africa, Asia e America

Latina è frutto della crisi debitoria degli ani ’70 e degli aggiustamenti strutturali imposti dal Fondo Monetario Internazionale e dalla Banca Mondiale, che hanno causato un eccedenza di manodopera emigrata dalle campagne alle città in un periodo di tagli, svalutazione monetaria e diminuzione della richiesta di posti di lavoro: “l’iperindustrializzazione, in altre parole, è trainata dalla riproduzione della povertà e non dall’offerta di posti di lavoro”88.

Lo studio The Challenge of Slums89 ci rivela in realtà che non tutti gli abitanti degli slum sono

poveri e che il numero dei poveri urbani che vivono nei centri degradati e sulle strade delle città è più alto: in realtà i dati sulla povertà degli slum sono spesso volutamente sottostimati dai governi, quindi non è facile avere dei numeri precisi. Secondo Mike Davis, il prezzo di questo inarrestabile sviluppo urbano è da un lato l’invasione della campagna - gli abitanti delle zone rurali sono invasi dalla città, si ritrovano immersi nelle bidonville della prima periferia urbana senza aver bisogno di migrare - e dall’altro l’aumento delle disuguaglianze sia interne alle città sia tra città di dimensioni diverse (le città dell’interno e le megalopoli delle coste). “Così le città del futuro, lungi dall’essere fatte di vetro e acciaio […] saranno in gran parte costruite di mattoni grezzi, paglia, plastica riciclata, blocchi si cemento e legname di recupero. Al posto delle città di luce che si slanciano verso il cielo, gran parte del mondo urbano del Ventunesimo secolo vivrà nello squallore, circondato da escrementi e sfacelo”90.

Le megalopoli e gli slum sembrano realtà molto lontane da quella delle nostre città italiane: eppure anche nei nostri centri urbani di medie e grandi dimensioni troviamo il problema dell’emergenza abitativa, nascono file di baracche lungo i fiumi e abitazioni abusive e di fortuna

86 F. Zajczyk, “Emarginazione grave e politiche sociali”, in P. Guidicini, G. Pieretti, M. Bergamaschi (a cura di)

Gli esclusi dal territorio, Angeli, Milano, 1997, p. 199.

87 M. Davis, op. cit., p. 13. 88 Idem, p. 22.

89 Si tratta dell’appendice riassuntiva del Report: DPU/UCL, UN-Habitat, Understanding Slums: Case Studies for

the Global Report on Human Settlements, London, 2003; scaricabile dal sito: http://www.ucl.ac.uk./dpu-reports/ Global_Report (consultato il 17 Marzo 2010).

dentro le città.

Per un’analisi della povertà nelle città italiane interessanti sono gli studi dei sociologi P. Guidicini e G. Pieretti91 sull’esclusione sociale grave: a differenza dei ricercatori della scuola di

Chicago che in America hanno riscontrato una correlazione tra specifiche aree urbane e concentrazione della povertà, nel caso italiano, e bolognese in particolare, l’esclusione sociale nella figura dei senza dimora è presente anche nelle aree centrali a elevata fruizione e abitate dai ceti medio-alti, perché qui i poveri trovano le risorse per sopravvivere. Mi sembra opportuno citare anche gli studi sulla povertà urbana condotti da M. Bergamaschi che ha evidenziato il tema dominante della condizione di emarginazione individuale nell’assenza di reti comunitarie di riferimento: “tali persone infatti si trovano separate dalle comunità di provenienza e prive di una comunità di approdo, senza riferimento a qualche forma di identificazione comunitaria e [..] in una grave situazione di incertezza interpretativa di sé e della realtà circostante, esposte ad una condizione di accresciuta vulnerabilità sociale. [...] L’assenza di legami forti e quindi l’impossibilità da parte del soggetto di costruirsi un quadro di significati preciso, impediscono anche la formazione di una cultura della povertà”92. Questi poveri estremi che vivono nelle strade

delle nostre città sono gli emarginati, persone che “lasciati gli ormeggi della normalità, recisi i legami sociali e interpersonali più significativi, confinati ai livelli più precari della sopravvivenza, senza più dimora fissa né una prospettiva progettuale per il proprio futuro, errano alla deriva entro rotte autodemolitive”93.

La città e in particolare la metropoli è quindi abitata da diverse forme di disagio, per questo a Milano è nato un centro di ricerche, il Centro Studi sulla Sofferenza Urbana, che affronta il tema della povertà urbana estrema e in particolare della sofferenza mentale in un'ottica interdisciplinare (sociologia, antropologia, pedagogia) e interculturale (la rete di ricerca coinvolge metropoli di tutto il mondo). Accanto alla malattia mentale questi ricercatori considerano le condizioni di sofferenza psicologica e sociale causate dalla povertà, la violenza, l’insicurezza, l’abbandono, l’emigrazione forzata, l’esclusione, che con la malattia mentale hanno in comune lo stigma, la discriminazione e la violazione dei diritti e del riconoscimento. Queste persone sono attratte dalla città, che allo stesso tempo offre nascondigli, possibilità di sopravvivenza, relazioni, ma:

• non riconosce il senso prodotto da chi vive ai margini; • produce sofferenze,

91 P. Guidicini, G. Pieretti, Città globale e città degli esclusi, op. cit.

92 Cfr. M. Bergamaschi, “Un’area di incerta povertà: l’asilo notturno”, in P. Guidicini, G. Pieretti (a cura di), I volti

della povertà urbana, op. cit., p. 238.

• offre troppo spesso risposte parziali e frammentate che negano la dimensione collettiva della sofferenza da un lato e dall’altro la soggettività del povero94. Malattia mentale e

fisica, sofferenza psicologica e sociale sono invece nodi di una rete complessa a cui rispondere con interventi integrati, mentre il modello bio-psico-medico dominante preferisce l’ipersemplificazione e crea gruppi di domande da collegare a categorie di risposte predefinite, non sopporta la complessità e favorisce la percezione del soggetto come rappresentante di un’identità unica, esclusiva e separata (il caso clinico, il caso di stress post traumatico...).

Passare dalla città che esclude alla città inclusiva non è solo questione di bonificare abitazioni irregolari e regolarizzare le attività informali, ma soprattutto di equa distribuzione delle risorse, di diritti, di partecipazione, di cittadinanza e di accesso ai servizi senza discriminazioni di genere, età, etnia, religione95.

Outline

Documenti correlati