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Nel XIX secolo la disoccupazione era ritenuta la causa principale della povertà e nell’immaginario il povero era l’operaio Piuttosto che intervenire sul mercato del lavoro s

Grafico 3.3: Il rischio di povertà degli anziani secondo il genere

3. La centralità del soggetto nel percorso di cambiamento: l’ intervento educativo, parte dal qui e ora del soggetto marginale e si basa sulle abilità già possedute, per poterne

5.4 Questioni aperte

Abbiamo individuato in questo capitolo i contorni di una Pedagogia attenta alle povertà che: a) trova le sue fondamenta epistemologiche, teoriche e pratiche:

- nella pedagogia degli oppressi (educazione liberante, dialogica, problematizzatrice e umanizzatrice, protagonismo degli oppressi),

- nella pedagogia della marginalità e della devianza (il margine come resistenza, la strada come luogo educativo),

- nella pedagogia della presenza e dell’incontro e nell’educazione degli adulti di Demetrio (educazione come parte di un sistema di azioni integrate di lotta alla povertà),

- nella pedagogia sociale di don Milani (I care, combattere chi è causa di povertà e dare ai poveri cultura, voce e ruolo sociale, importanza della scuola ed dell’educazione alla cittadinanza),

- nella pedagogia del disagio adulto (corresponsabilità e coinvolgimento proattivo del soggetto);

b) è in dialogo con le altre scienze che studiano la povertà e promuovono interventi per combatterla: sociologia, psicologia, medicina, antropologia;

c) ha nel lavoro di strada, nell’ascolto, nel counseling pedagogico, nell’accompagnamento educativo e nell’allargamento del campo dell’esperienza le sue principali metodologie d’intervento;

d) e ha una doppia finalità: da un lato lavorare con e per i poveri e dall’altro cambiare la società in direzione di maggior solidarietà e responsabilità. Una pedagogia che voglia lottare contro la povertà e mettersi a servizio dei poveri, non può limitarsi a porsi come crocevia e sintesi delle riflessioni sulla vulnerabilità, l’esclusione e il disagio adulto, deve guardare anche ai non-poveri, ai non-marginali, alla società, altrimenti il suo intervento sarà sempre limitato a un solo aspetto

del problema. Quindi se da un lato la pedagogia studia e interviene sulla povertà intesa come una frattura identitaria e relazionale nella vita del soggetto, che ha quindi bisogno di un intervento di sostegno e accompagnamento educativo verso la ricostruzione di una propria progettualità esistenziale, dall’altro lato si rivolge alla politica e alla società civile:

attraverso politiche di prevenzione dell’esclusione e di lotta alla povertà: “se è vero che

le nuove forme di povertà corrono il pericolo di trasformarsi in vera e propria esclusione sociale, tra povertà ed esclusione sociale non vi è coincidenza: la caduta in povertà non solo va prevenuta, per le persone e i gruppi che versano in condizioni di maggior vulnerabilità sociale, ma deve essere oggetto di politiche che evitino per chiunque il passaggio all’esclusione sociale e favoriscano l’uscita dalla condizione di povertà, per chi vi sia. Ecco perché le politiche formative sono determinanti sia per agevolare il reinserimento lavorativo che per fornire strumenti generali di conoscenza e di orientamento”101;

attraverso la sensibilizzazione dell’opinione pubblica e un’educazione ai legami di responsabilità e solidarietà: “il percorso verso una pedagogia della relazione con adulti

in condizione di disagio deve caratterizzarsi per l’obiettivo di riconsegnare una doppia responsabilità: al soggetto e alla comunità. Gramigna e Rigetti (2006) la definiscono “pedagogia solidale”, cioè un’etica dell’intervento educativo volto a cambiare i connotati politici, economici ed educativi del vivere moderno”102.

La pedagogia della povertà quindi “non è la particolare attenzione a una regione [...] dell’esistenza, ma un processo di pubblicazione e richiamo delle esperienze personali e sociali di frammentazione esistenziale”103: la società è il campo d’azione di questa pedagogia sociale che è

tesa alla mediazione e all’advocacy da un lato, alla promozione del soggetto attraverso la rilettura della propria storia e contesto dall’altro e che assume le necessità educative delle persone povere come compito di tutti i cittadini104.

Questo a livello teorico, ma come si declina in pratica l’attenzione della pedagogia alla povertà? Per rispondere a questa domanda ho continuato il mio viaggio di ricerca non più sui libri, ma scendendo sul campo: ho scelto alcuni contesti segnati da diverse forme di povertà e ho intervistato alcuni testimoni privilegiati, persone che hanno avuto un’infanzia povera o vivono

101 W. Rinaldi, op. cit., pp. 79-80.

102 R. Gnocchi, Pedagogia del disagio adulto, op. cit., p. 166. 103 Idem, p. 179.

tuttora in povertà, insegnanti che lavorano in scuole frequentate da bambini e ragazzi poveri ed educatori che lavorano nei servizi per i senza dimora. A partire da ciò che ho osservato e ascoltato mi è stato possibile descrivere alcune buone pratiche educative e tracciare altre possibili vie di riflessione pedagogica e di intervento rispetto al tema della povertà, ma ho anche potuto rendermi conto di come nel passaggio dalla teoria alla pratica il quadro si faccia più complesso. Modelli d’intervento, obiettivi e strumenti così limpidi e convincenti sulla carta si scontrano con le resistenze, le paure, le difficoltà dei soggetti a cui sono rivolti, con l’insuccesso di tanti percorsi e soprattutto con la mancanza o la limitatezza di strumenti e risorse - prima di tutto economiche, ma anche di alloggi, possibilità di inserimenti lavorativi e servizi - a causa della crisi del welfare che, come abbiamo visto nel primo capitolo, coinvolge tutti i paesi europei. Senza politiche abitative che promuovano la costruzione di un numero di case popolari adeguato al bisogno, senza politiche lavorative volte a facilitare il reinserimento nel mercato del lavoro di chi l’ha perso e a garantire stipendi adeguati al costo della vita, senza finanziamenti per i progetti di recupero scolastico dei drop out e di formazione al lavoro o riqualificazione... che senso ha parlare di relazione, ascolto, empowerment, accompagnamento dei poveri?

Il tema delle difficoltà dovute alle risorse sempre più scarse che appiattiscono la progettualità sull’emergenza e aumentano la frustrazione di utenti e operatori ritorna come leit motiv in molte delle interviste agli educatori che operano nei servizi per i senza dimora e i tagli alla scuola e al

welfare hanno già fatto le prime vittime: Chance, uno dei progetti visitati nella mia ricerca, nel

2010, dopo dieci anni di attività per il recupero scolastico dei drop out di Napoli, ha chiuso i battenti... In questo contesto di “welfare povero” e in crisi la riflessione e la pratica educativa per il reinserimento sociale dei poveri sono quindi dichiarazioni d’intenti destinate a rimanere sulla carta e progetti troppo presuntuosi e velleitari, scollati dalla realtà, destinati a non realizzarsi? Gli educatori e gli insegnanti impegnati in questo campo sono inguaribili ottimisti, romantici sognatori, don Chishotte che lottano contro i mulini a vento, vittime di delirio di onnipotenza o di burnout?

È con queste domande che mi sono avventurata sul campo, dove ho trovato invece un grande realismo rispetto alle possibilità e ai limiti dell’intervento educativo nei confronti dei poveri e della società, un forte senso di responsabilità nel fare la propria parte e grande competenza e creatività nel cercare vie alternative e nuove risorse. Penso che le parole con cui Mariagrazia Contini, nell’introduzione al suo Elogio dello scarto e della resistenza, spiega l’impegno della progettualità educativa tra ciò che è e ciò che non è ancora possano descrivere a pieno l’atteggiamento di questi insegnanti ed educatori: “la distanza tra quel che siamo e quello che

“potremmo” o “potremo” essere segnava la strada per l’impegno della progettualità, per l’audacia dell’utopia, ma anche per la pazienza dell’attesa, per lo sguardo empatico rivolto agli altri, in particolare a quelli più in difficoltà”105.

II. In viaggio per ascoltare la voce dei poveri e

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