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la necessità di educare anche gli oppressori: la liberazione parte dagli oppressi, ma per essere efficace deve coinvolgere anche gli oppressori, per questo occorre insegnare a ch

Nel XIX secolo la disoccupazione era ritenuta la causa principale della povertà e nell’immaginario il povero era l’operaio Piuttosto che intervenire sul mercato del lavoro s

Grafico 3.3: Il rischio di povertà degli anziani secondo il genere

3. la necessità di educare anche gli oppressori: la liberazione parte dagli oppressi, ma per essere efficace deve coinvolgere anche gli oppressori, per questo occorre insegnare a ch

detiene potere e ricchezza “che parecchie cose che appaiono come una minaccia ai privilegi, intesi da lui ovviamente come diritti inalienabili, non sono altro che la messa in pratica dei diritti di coloro ai quali fino ad ora ne veniva proibito l’esercizio. L’ “apprendimento” dell’immoralità dei propri privilegi, e quindi della necessità di estirparli, come quello di sfruttare i deboli, di proibir loro di “essere” o rifiutar loro la speranza”37.

5.1.3 La pedagogia sociale di don Milani

Don Lorenzo Milani ha unito alla scelta di Dio e della Chiesa cattolica quella dei poveri, della scuola e dell’impegno sociale38. La decisione di camminare accanto ai poveri e agli emarginati è

strettamente legata al modo di Don Milani di vivere la propria vocazione sacerdotale: infatti il suo consacrarsi a Dio non si è realizzato in un amore universale, ma incarnato, appassionato, personale per i piccoli e i poveri, i disoccupati, gli operai sfruttati della sua parrocchia a cui dice alla fine “ho voluto più bene a voi che a Dio, ma ho speranza che lui non stia attento a queste sottigliezze e abbia scritto tutto al suo conto”39. Pur operando una scelta di classe, non ha aderito

completamente alla lotta operaia e, pur condividendo le principali tesi del marxismo e schierandosi a sinistra, è rimasto estraneo alle aspirazioni politiche dei comunisti italiani: “la scelta sociale e lo schieramento per una certa categorie di gente non si pone su un piano teorico, filosofico, sociologico, non ha radici intellettuali e scolastiche, si sviluppa e si realizza

37 P. Freire, Pedagogia della speranza, Torino, Ega, 2008, p. 218.

38 P. Cristofanelli, Pedagogia sociale di don Milani, Bologna, EDB, 1975.

esclusivamente sul piano pratico”40.

Don Lorenzo ha operato come parroco in contesti segnati dalla povertà:

• a San Donato di Calenzano, dove è stato parroco dal 1947 al 1954, su 300 famiglie solo il 31% possedeva una casa e lo squilibrio economico e soprattutto quello culturale tra i grandi proprietari e i contadini era enorme;

• Barbiana, dove è stato mandato nel 1954, era un paesino molto povero, senza luce elettrica né strade, abitato da contadini e operai, persone ingannate e sfruttate dai datori di lavori, dagli affittuari, dagli intellettuali e a volte anche dalla scuola e dai preti.

Un maestro a fianco dei poveri

Mettersi a fianco dei poveri significa per Don Milani combattere chi è causa della loro povertà, perché “combatterlo è l’unico modo di amarlo”41, e affrontare la povertà non vuol dire

dare pane o casa, ma cultura e ruolo sociale: per questo l’impegno di don Milani verso i poveri viene a coincidere con la scuola, come unica alternativa per difendersi dai ricchi, perché:

• “il far scuola apre strade”42, come ha scritto in una lettera a Meucci,

• e “il mondo ingiusto l’hanno da raddrizzare i poveri e lo raddrizzeranno solo quando l’avranno giudicato e condannato con mente aperta e sveglia come la può avere solo un povero che è stato a scuola”43.

A San Donato don Milani ha iniziato l’esperienza di un doposcuola per i ragazzi e una scuola popolare serale per i contadini e i giovani operai, a Barbiana la scuola a tempo pieno è stata la sua principale attività: le due scuole sono diverse (la prima è confessionale mentre la seconda non ha scopi religiosi, la prima è rivolta agli adulti, la seconda ai ragazzi delle medie, la prima è a fianco della scuola statale mentre la seconda si pone in opposizione all’istruzione scolastica ufficiale) ma comune è l’importanza dell’alfabetizzazione come base per la soluzione dei problemi dei poveri, a livello religioso, culturale, sociale e politico, perché secondo don Milani dare parola ai poveri permette loro di raggiungere la parità sociale.

Automatico il riferimento a Freire, tanto che Pacifico Cristofanelli vede in don Milani proprio l’incarnazione della figura dell’educatore radicale descritto da Freire: colui che non impone il suo sapere, ma sceglie il dialogo e offre agli studenti i mezzi per costruire le conoscenze, è

40 P. Cristofanelli, op. cit., p. 50. 41 Idem, p. 54.

42 L. Milani, Lettere di don Lorenzo Milani priore di Barbiana, op. cit. p. 31. 43 L. Milani, Esperienze Pastorali, Firenze, LEF, 1985, p. 105.

convinto delle proprie posizioni, ma rispetta quelle dell’altro, ama ma non è masochista, non si adatta al potere, aiuta l’altro a scegliere in autonomia. Dal confronto tra la pedagogia di Freire e quella di don Milani emergono molte altre somiglianze:

- la comune matrice cristiana,

- la visione del povero come oppresso, - la centralità dell’alfabetizzazione,

- la reciprocità dell’apprendimento-insegnamento, - l’importanza dei giornali e dei mass media,

ma anche un’importante differenza: Freire arriva a una teoria generale dell’educazione, mentre don Milani “pur nei suoi assoluti, pedagogicamente è nella provvisorietà delle circostanze, nella relatività delle prese di posizione, nella fedeltà alla vita particolare”44.

La Scuola di Barbiana

Don Milani, come Paulo Freire, Célestine Freinet, Anton S. Makarenko, Mario Lodi e Albino Bernardini, vede nell’azione educativa un’essenza sociale e politica. Di conseguenza la scuola di Barbiana non è un’istituzione separata dalla vita, ma viene a coincidere con l’educazione e quindi con il divenire e l’essere dell’uomo. La scuola in quanto vita è anche politica, ma apartitica, perché la politica non è un’arte astratta, ma coincide con la vita e perché la scuola si interessa ai problemi degli uomini in quanto cittadini45, non è neutra, prende posizione: “deve

sporcarsi e infangarsi nella società e smascherare i subdoli, consci e inconsci meccanismi usati dal potere per autoconservarsi”46. Per questo motivo posto di riguardo nella scuola di Barbiana è

riservato all’educazione civica, che invece nella scuola ufficiale è quasi sempre trascurata e considerata una materia di serie C, e alla Costituzione, metro e fondamento dell’opera pedagogica di don Milani e anima di Lettera a una professoressa.

Come già sottolineato, pur essendo Milani un sacerdote, la sua scuola di Barbiana è aconfessionale, la religione vi è presente, ma non come dogma, bensì come problema da affrontare e la fede del maestro non è imposta, il Vangelo è uno dei richiami, accanto a Scorate, Gandhi, la Costituzione: “cercasi un fine. Bisogna che sia onesto. Grande. Che non presupponga nel ragazzo null’altro che d’essere uomo. Cioè che vada bene per credenti e atei”47. È anche una

scuola anti-intellettualistica perché gli intellettuali molto spesso usano la cultura e il sapere

44 P. Cristofanelli, op. cit., p. 70.

45 Scrive don Milani della politica: “Il problema degli altri è uguale al mio. Sortirne tutti insieme è la politica.

Sortirne da soli è l’avarizia” (Scuola di Barbiana, Lettera a una professoressa, Firenze, LEF, 1967, p. 14).

46 P. Cristofanelli, op. cit., p. 82. 47 Scuola di Barbiana, op. cit., p. 94.

contro i poveri; anche il maestro rinuncia ad essere detentore del sapere e si riconosce debitore verso i ragazzi a cui insegna, che acquisiscono diritto di parola e di insegnare a loro volta. Non c’è un libro di testo, ma si leggono i quotidiani, si criticano i testi, si ascoltano dischi, si guardano film e soprattutto si scrive.

Il motto della scuola di Barbiana è “I care”, m’importa, mi sta a cuore: la parola, l’istruzione, la cultura sono strumenti per entrare in rapporto con il prossimo, in modo attivo ed altruistico. Aspetti che possono far storcere il naso ai pedagogisti contemporanei sono la condanna della ricreazione, del gioco e delle vacanze, considerate da don Milani perdite di tempo controproducenti: dobbiamo però inserire queste sue affermazioni nel contesto di vita dei ragazzi di Barbiana: “non c’era ricreazione. Non era vacanza nemmeno la domenica. Nessuno di noi se ne dava gran pensiero perché il lavoro è peggio [...] La scuola sarà sempre meglio della merda”48.

La scuola di Barbina è una scuola a tempo pieno, aperta 365 giorni all’anno, 366 negli anni bisestili, ma è a tempo pieno soprattutto perché “coincide con la vita di un gruppo determinato di ragazzi in una situazione storica precisa e perché coinvolge nel suo giudizio tutta la società circostante”49.

Al di là delle differenze rimane tuttora valida l’urgenza di un’istruzione che dia a tutti e soprattutto ai poveri e a chi parte con meno risorse, non solo in senso materiale, saperi e competenze, capacità di espressione, spirito critico, desiderio di conoscenza, cura e rispetto per l’altro, apertura alle differenze, impegno per trasformare la società in una direzione più giusta e solidale.

5.1.4 Demetrio: l’educazione degli adulti per uscire dalla povertà

Il pedagogista Duccio Demetrio già alla fine degli anni ’80 parlava di educazione degli adulti come strumento di lotta contro le vecchie e le nuove povertà e come strategia di politica sociale. Nel testo da lui curato, L’educazione degli adulti contro la povertà (1987), l’educazione viene presentata come “luogo di prefigurazione del cambiamento” e “come riappropriazione di quello che potremmo chiamare un ‘privato-collettivo’. Perché i soggetti, a prescindere dalla domanda esplicita […] parrebbero cercare le fonti educative per sfuggire all’emarginazione e alla solitudine; perché parrebbero voler uscire da un privato ghettizzante per ristabilire un ponte con altri mondi ma, pur sempre, a partire dalla esigenza di riorganizzare il proprio modello di vita, la propria ‘teoria’ della vita a partire innanzitutto dalla propria re-identificazione”50.

Sono tanti secondo Demetrio gli intrecci che legano la riflessione educativa sull’età adulta agli

48 Idem, pp. 12-13.

aspetti non educativi della povertà e della marginalità: le politiche di lotta alla povertà hanno incrociato l’educazione degli adulti, ma in modo parallelo, quando le politiche hanno fatto a ameno dell’educazione, o succedaneo, quando l’enfasi sull’educazione formazione è stata usata come diversivo per distrarre l’attenzione pubblica dai veri bisogni (lavoro, casa, interventi sanitari). “Il momento educativo, sovente, ha trovato sovvenzioni e credito nelle fasi recessive delle politiche socio-economiche per la riduzione delle disuguaglianze materiali e intellettuali; mentre è passato in secondo piano quando, con le loro forze, tali politiche hanno mostrato di essere in espansione e di servirsi dell’educazione (divenuta tout-court formazione) a prescindere da ogni buona intenzione pedagogica”51.

Demetrio parla di povertà come subalternità e dipendenza intellettuale, culturale e funzionale, e mostra come l’educazione degli adulti si sia occupata di povertà emerse (analfabetismo, drop

out, disagio psichico e relazionale, handicap, disoccupazione, immigrazione) e sommerse

(nomadi, stranieri erranti, donne, anziani soli, famiglie monoparentali) allo scopo di riattivare energie, capacità, progetti e assumendo sia una funzione regolativa rispetto alle finalità educative delle politiche di lotta alla povertà sia una funzione tecnica (istruzione, formazione, socializzazione, riabilitazione). La formazione professionale già alla fine degli anni ’80 sembrava la strada da percorrere per aiutare le persone in difficoltà economica e lavorativa a recuperare le abilità di base, mantenere quelle possedute e acquisirne di nuove nell’ottica di un ri-orientamento professionale.

Demetrio individua tre aree di intervento educativo o, come le definisce lui stesso, tre vie: 1. servizi per l’istruzione degli adulti (alfabetizzazione, scuole serali…);

2. servizi per la promozione delle professionalità e la divulgazione scientifica;

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