• Non ci sono risultati.

Nel XIX secolo la disoccupazione era ritenuta la causa principale della povertà e nell’immaginario il povero era l’operaio Piuttosto che intervenire sul mercato del lavoro s

2. I ricoveri: lunghe file per riuscire ad entrare, un tozzo di pane duro e una minestra che solo la fame poteva far mangiare, la possibilità di lavarsi, di riposarsi su un materasso e la

1.7 Prima sosta

Al termine di questo primo percorso abbiamo imparato che le definizioni della povertà cambiano a seconda delle epoche e diversi sono anche gli interventi messi in campo nei confronti dei poveri: distribuzione di denaro e di cibo, leggi repressive, carcere e case di lavoro coatto, educazione popolare, servizi socio-assistenziali… l’educazione è uno degli strumenti che sono stati utilizzati per combattere la povertà, intesa come problema morale, e la scuola e la formazione professionale sono state utilizzate per socializzare i poveri e i lori figli alla cultura maggioritaria attraverso l’educazione al lavoro e ai valori dominanti.

Ma è solo questo lo spazio dell’educazione? Bisogna educare i poveri oppure è la società - che produce le disuguaglianze e nega i diritti fondamentali (tra cui quello dell’istruzione) ancora a miliardi di esseri umani - ad avere bisogno di essere ri-educata? Sono domande ancora aperte, che chiamano in causa non solo politici e amministratori che si occupano del welfare, ma anche insegnanti ed educatori.

Approfondimenti

Scheda n. 1. La Chiesa cattolica e i poveri oggi

“Tu non senti il grido dei poveri! e sai perché? Perché per te, non fa troppo freddo: tu hai la pancia piena, bevi bene, mangi bene, indossi più abiti, e spesso stai vicino al focolare. Tu non pensi più lontano, corpo bene riempito, anima consolata!” (Omelia di Bernardino da Siena)

In questo capitolo abbiamo visto quanto grande sia stata l’influenza del pensiero cristiano nel modo di guardare i poveri e di dare loro assistenza. Le ripercorro brevemente in questa scheda per poi approfondire il ruolo della Chiesa cattolica oggi: si tratta infatti di una voce ancora molto presente, soprattutto a livello nazionale, nei dibattiti su diversi temi, tra cui quello così attuale della povertà e ritengo quindi importante parlarne.

• A partire dall’Editto di Tessalonica (380 d.C.), quando Teodosio dichiarò il cristianesimo religione dell’Impero, gli spazi d’azione della chiesa nella città si ampliarono e il suo impegno assistenziale “fu uno dei modi più evidenti nei quali si espresse la presenza cristiana nel contesto urbano” (V. Paglia, 1994, p. 85).

L’influenza della Chiesa ha avuto il suo apice nel periodo medievale, dove troviamo diversi modi e pratiche rispetto alla povertà: l’elemosina come dovere morale dei ricchi verso i poveri, i vescovi come protettori dei poveri considerati tesoro della chiesa, la creazione di ospizi, la distribuzione di cibo, la fuga evangelica dal mondo dei monaci, i movimenti pauperistico-evangelici e la scelta della povertà di S. Domenico e di S. Francesco che invitavano la Chiesa, corrotta dal potere e dalla ricchezza, a convertirsi alla povertà. I Francescani stessi però si divisero sul significato della povertà e non tutti gli ordini mendicanti furono ben accolti dalla chiesa che li soppresse nel Concilio di Lione (1274).

• Tra il XIV e il XVI secolo si susseguirono carestie, epidemie, ondate di poveri che affollavano le città, con rivolte, come quella guidata da Muntzer, “teologo della guerra dei contadini ed eroe tragico dei tempi moderni, di fatto incarnò l’aspirazione profonda dei poveri a una vita più degna, unendo assieme predicazione evangelica e rivolta sociale” (V. Paglia, 1994, p. 247). È in questi secoli che la chiesa perde il monopolio dell’assistenza e che la povertà diviene problema della città. Non sono mai mancate però le figure di cristiani, laici e religiosi, impegnati nel servizio ai poveri, pensiamo ad esempio a Vincenzo Depaul e le sue Figlie della Carità.

Nel XIX secolo la chiesa reagì all’avanzata dello stato laico con un crescente conservatorismo: “secondo questa visione, che portava la Chiesa ad opporsi a ogni tentativo di rovesciamento della struttura sociale, diventava logico che i poveri dovessero rassegnarsi alla loro condizione” (V. Paglia, 1994, p. 357). In Francia nacque un socialismo a carattere religioso e anche in altri paesi la questione operaia era al centro della riflessione della Chiesa (Ketteler, Lacordaire, Ozanam, Magret) e si svilupparono numerose iniziative del mondo laico (Ozanam e i visitatori dei povero) e religioso (don Bosco, don Comboni, don Mazza, don Orione, madre Cabrini e Scalabrini).

Il Concilio Vaticano I del 1869, doveva trattare il tema della povertà come problema sociale, ma la precoce chiusura dei lavori a causa della guerra franco-tedesca e dell’occupazione di Roma ha lasciato il tema in sospeso fino a Papa Leone XIII, che con la Rerum Novarum istituisce la dottrina sociale della chiesa: “Dopo aver preso le distanze sia dal socialismo sia dal liberalismo, il Papa ricorda l’intoccabilità del principio della proprietà privata ma anche l’obbligo di provvedere alla realizzazione del bene comune e alla tutela dei più deboli” (V. Paglia, 1994, p. 379). L’enciclica del Papa dette vigore e sostegno a molte iniziative di laici e religiosi impegnati accanto a i poveri e agli operai (Harmel, Chevrier, Charles de Foucald).

Pio XI nella Quadragesimo Anno ha affermato il principio della giustizia sociale: la distribuzione delle ricchezze per il bene comune. Molti cristiani cercano di farsi vicini ai poveri (preti operai in Francia, i Piccoli Fratelli di Charles de Foucald, don Mazzolari, don Milani).

L’opera caritativa dei cristiani inizia a rivolgersi al Terzo Mondo, ma negli anni ’60 ritorna il tema della povertà anche nei paesi ricchi.

Ripercorrendo la storia della chiesa troviamo innanzitutto un paradosso: da un lato la povertà è presentata come via della salvezza, libertà dal potere materiale, strada maestra per il Regno dei cieli, dall’altro la miseria materiale e morale è uno scandalo, è una schiavitù da combattere attraverso l’elemosina e l’aiuto fraterno. Vittorio Nizza, direttore della Caritas Italiana afferma: “la povertà, quale condizione spirituale ed esistenziale di beatitudine, requisito imprescindibile per la sequela cristiana; essa tuttavia, non è mai in contraddizione con l’esigenza, altrettanto imprescindibile per il discepolo, di liberare l’uomo dalla povertà come miseria”77.

Tuttavia il percorso intrapreso dalla Chiesa nel corso dei secoli, attraverso la predicazione della povertà evangelica e la lotta della miseria tramite la carità, si caratterizza per una profonda e mai sanata contraddizione: quella di predicare la povertà, ma di non essere povera! Pensiamo al lusso quasi regale regale in cui vivevano in papi e vescovi nel medioevo, pensiamo alla compravendita delle indulgenze, pensiamo ai secoli di commistione del potere religioso con quello temporale e alla connivenza della Chiesa con il potere e la ricchezza presente ancora oggi, pensiamo al giro di soldi e di proprietà gestite dal Vaticano, o ai bottoni d’oro e alla scarpe Prada di Papa Benedetto XVI... Lo scandalo della ricchezza della chiesa è attualmente motivo di forti critiche sia dall’esterno che dall’interno del cattolicesimo.

Allo stesso tempo negli ultimi anni la riflessione della chiesa sulla povertà del mondo e sulla propria povertà è stata notevole, anche se rispetto ad altri temi - come l’opposizione all’aborto, alle coppie di fatto e ai matrimoni gay ad esempio – l’enfasi e l’eco mediatica sono state sicuramente minore. Non è mai venuto meno invece l’impegno concreto di laici e religiosi per alleviare le sofferenze dei poveri: pensiamo ad esempio a Madre Teresa di Calcutta, ad Alex Zanotelli, volti di una chiesa missionaria che si fa ultima con gli ultimi, povera con i più poveri; pensiamo a don Luigi Di Liegro fondatore e anima della Caritas diocesana di Roma, che ha dato del tu ai poveri e ha dedicato tutta la sua vita a “una carità che tende a liberare le persone dal bisogno e quindi a renderle protagoniste della propria vita”78 e pensiamo alle Caritas

77 V. Nizza, “Impegno evangelico responsabilità condivisa” in Scarp de’tenis. Il mensile della strada, n. 138, anno

diocesane e parrocchiali che in tutta Italia e nel mondo portano avanti, in collaborazione con gli altri servizi cittadini, questa carità (mense, centri di ascolto, centri di informazione per stranieri,percorsi per uscire dalla stratta…) che non è intesa come elemosina, ma come giustizia e questione di diritti; pensiamo alla comunità di Sant’Egidio e alle sue opere educative e caritative; pensiamo alle Case della Carità nate dalla spiritualità di don Mario Prandi e dalla sua volontà di mettere al centro della comunità i più piccoli e poveri, specialmente i malati e i disabili; pensiamo a don Mazzi e alla Papa Giovanni XXIII, a don Ciotti e al Gruppo Abele… l’elenco è veramente lungo, segno di una forte presenza della Chiesa nella realtà dell’assistenza ai poveri.

Secondo Raniero La Valle79 il Vaticano II è per i cristiani oggi il luogo da cui parlare della povertà: “il

Concilio è stato il luogo e il momento del rinnovamento della nostra fede, e non c’è alcun tema della vita cristiana, e anzi umana, che oggi potrebbe essere affrontato e compreso come se il Concilio non ci fosse stato”80. Ribadisce che la Chiesa è specialmente dei poveri: “una Chiesa che cammina tra gli uomini, povera

di tutto, forte unicamente nel nome del risorto è quella che vuole Papa Giovanni” (V. Paglia, 1994, p. 417- 418). Il Cardinal Lercaro ha ribadito che “il mistero di Cristo nella Chiesa è sempre stato ed è, ma oggi lo è particolarmente, ilmistero di Cristo nei poveri… Non si tratta di un qualunque tema, ma in un certo senso è l’unico tema di tutto il Vaticano II” (Lercaro G., Per la forza dello spirito. Discorsi conciliari del card. Giacomo Lercaro, Bologna, 1984, p. 113). La Valle ricorda che oltre al Cardinal Lercaro, anche altri vescovi avevano richiamato il tema della povertà, già nella discussione sulla riforma della liturgia, che avrebbe dovuto manifestare la povertà della Chiesa; inoltre presso il Collegio belga aveva cominciato a riunirsi un gruppo di vescovi e teologi, presieduto dal cardinale Gerlier e animato dal vescovo di Galilea, allo scopo di sviluppare e di portare al centro del Concilio la questione della povertà.

Solo due dei testi del concilio trattano in modo particolare questo tema: a) la Lumen Gentium (paragrafo 8):

“Come Cristo ha compiuto la redenzione attraverso la povertà e le persecuzioni, così pure la Chiesa è chiamata a prendere la stessa via per comunicare agli uomini i frutti della salvezza. Gesù Cristo «che era di condizione divina... spogliò se stesso, prendendo la condizione di schiavo» (Fil 2,6-7) e per noi «da ricco che era si fece povero» (2 Cor 8,9): così anche la Chiesa, quantunque per compiere la sua missione abbia bisogno di mezzi umani, non è costituita per cercare la gloria terrena, bensì per diffondere, anche col suo esempio, l’umiltà e l’abnegazione. Come Cristo infatti è stato inviato dal Padre «ad annunciare la buona novella ai poveri, a guarire quei che hanno il cuore contrito» (Lc 4,18), «a cercare e salvare ciò che era perduto» (Lc 19,10), così pure la Chiesa circonda d’affettuosa cura quanti sono afflitti dalla umana debolezza, anzi riconosce nei poveri e nei sofferenti l’immagine del suo fondatore, povero e sofferente, si fa premura di sollevarne la indigenza e in loro cerca di servire il Cristo”.

78 Dal sito: http:/ / www.fondazione-diliegro.it (consultato il 28 Febbraio 2010).

79 Raniero La Valle: giornalista, politico e intellettuale italiano, uno dei più grandi esperti del Concilio Vaticano II

a cui ha partecipato come cronista.

80 Le citazioni di Raniero La Valle sono tratte dal suo discorso, “Povertà e Concilio”, tenuto al Convegno “Studiare

b) decreto Ad Gentes (paragrafo 5):

“Questa missione continua, sviluppando nel corso della storia la missione del Cristo, inviato appunto a portare la buona novella ai poveri; per questo è necessario che la Chiesa, sempre sotto l’influsso dello Spirito di Cristo, segua la stessa strada seguita da questi, la strada cioè della povertà, dell’obbedienza, del servizio e del sacrificio di se stesso fino alla morte”.

Afferma La Valle “sul piano simbolico si ebbe il dono da parte di Paolo VI dell’anello del Concilio, sicché tutti i vescovi potevano dimettere gli anelli preziosi che portavano; si ebbe il dono della tiara di Paolo VI ai poveri, ma qui il significato era piuttosto la rinunzia del Papa al triregno, cioè all’idea di regnare sul cielo, sulla terra e sugli inferi; ci fu alla fine del Concilio una lettera di 500 vescovi in cui essi si impegnavano ad una vita sobria e povera, anche nei segni esteriori; sul petto dei vescovi cominciarono ad apparire croci di legno al posto delle croci d’oro; anche il cardinale Lercaro portò per molto tempo dopo il Concilio una croce di semplice metallo che io gli avevo portato da Gerusalemme. Ma al di là di questo, sembrò che non ci fosse molto di più”. Sembra quindi che sulla povertà il Concilio sia stato carente, che di tutti i grandi temi che il cardinale Lercaro ha portato in Concilio, quello della povertà sia stato il meno accolto, che il Concilio non avrebbe risposto adeguatamente alla questione dei poveri né avrebbe preso sul serio il tema della povertà della Chiesa. In realtà secondo La Valle i problemi sono sorti dal considerare la povertà solo dal punto di vista economico e sociale, aspetti su cui la chiesa ha poco potere di intervento, e dal confrontare i risultati del Concilio con il radiomessaggio di Giovanni XXIII del 11 settembre 1962: non si è tenuto conto che dicendo che la chiesa era dei poveri non voleva discriminare tra poveri e non poveri, infatti il apa ha parlato di chiesa “di tutti” e “particolarmente” dei poveri e “quello che ha fatto il Concilio è stato precisamente di rispondere alla povertà di tutti, non solo dei poveri, e soprattutto alle povertà più radicali di cui nessuno parlava”. Secondo La Valle.queste povertà sono:

• quella che gravava sul mondo per il fatto di non essere amato dalla Chiesa

• quella che gravava sugli uomini a causa di una antropologia pessimistica, secondo cui l’uomo sarebbe stato sfigurato e rovinato nella sua stessa natura a causa del primo peccato;

• quella per la quale si sosteneva che nessuno potesse salvarsi senza passare fisicamente attraverso la Chiesa romana e i suoi sacramenti;

• quella che consisteva nella negazione all’uomo della libertà umana: la libertà religiosa e la libertà di coscienza erano state negate dalla dottrina cattolica, in quanto unica depositaria della Verità.

Conclude La Valle: “Si deve dire che con il ripensamento di queste dottrine e tradizioni non solo la Chiesa ha preso cura delle più radicali povertà umane, ma essa stessa ha fatto un gesto di straordinaria povertà. […] Perché tutto questo significava per la Chiesa rinunciare al proprio monopolio spirituale, rinunziare a presentarsi come unica depositaria e dispensatrice della grazia di Dio, come l’unico sportello del cielo aperto sulla terra. Voleva dire, in una parola, rinunziare al potere, non più al potere temporale, come era avvenuto dopo il Concilio Vaticano I (e Dio sa quanto era stato difficile), ma al potere spirituale”.

socialis (n. 42): “oggi, attesa la dimensione mondiale che la questione sociale ha assunto, l’amore preferenziale per i poveri, con le decisioni che esso ci ispira, non può non abbracciare le immense moltitudini di affamati, di mendicanti, di senza tetto, senza assistenza medica e, soprattutto, senza speranza di un futuro migliore”. Questo amore preferenziale è testimoniato da molti vescovi e sacerdoti, in particolare in America Latina (Mons. Romero tra tutti) e dai tanti gruppi di volontariato nati nel dopo concilio. Alla povertà Papa Giovanni Paolo II ha dedicato ampia parte del suo Messaggio per la Giornata della Pace del 1993: “Diventa sempre più grave nel mondo un’altra seria minaccia per la pace: molte persone, anzi, intere popolazioni vivono oggi in condizioni di estrema povertà. La disparità tra ricchi e poveri s’è fatta più evidente, anche nelle nazioni economicamente più sviluppate. Si tratta di un problema che s’impone alla coscienza dell’umanità, giacché le condizioni in cui versa un gran numero di persone sono tali da offenderne la nativa dignità e da compromettere, conseguentemente, l’autentico ed armonico progresso della comunità mondiale”. Il papa invitava ad abbandonare una visione dei poveri come parassiti, peso o scarto della società per riconoscere invece il loro “diritto di partecipare al godimento dei beni materiali e di mettere a frutto la loro capacità di lavoro, creando così un mondo più giusto e per tutti più prospero”.

Gli ha fatto eco anche Papa Benedetto XVI che ha dedicato al tema della povertà il suo discorso del 1 Gennaio 2009 intitolato Combattere la povertà, costruire la pace. “Già il mio venerato predecessore […], aveva sottolineato le ripercussioni negative che la situazione di povertà di intere popolazioni finisce per avere sulla pace. Di fatto, la povertà risulta sovente tra i fattori che favoriscono o aggravano i conflitti, anche armati. A loro volta, questi ultimi alimentano tragiche situazioni di povertà”. Il papa invita a guardare alla povertà nel contesto della globalizzazione, cioè nella consapevolezza di essere membri di un’unica famiglia umana in cui dovrebbero regnare sentimenti di fraternità e responsabilità. Questo sguardo ampio sulla povertà ce ne fa cogliere, accanto agli aspetti materiali, quelli immateriali, “ad esempio, nelle società ricche e progredite esistono fenomeni di emarginazione, povertà relazionale, morale e spirituale: si tratta di persone interiormente disorientate, che vivono diverse forme di disagio nonostante il benessere economico. […] Non dimentico poi che, nelle società cosiddette «povere», la crescita economica è spesso frenata da impedimenti culturali, che non consentono un adeguato utilizzo delle risorse”, ma soprattutto ci porta a legare il tema della povertà a quello dei diritti: “Resta comunque vero che ogni forma di povertà imposta ha alla propria radice il mancato rispetto della trascendente dignità della persona umana. Quando l’uomo non viene considerato nell’integralità della sua vocazione e non si rispettano le esigenze di una vera «ecologia umana», si scatenano anche le dinamiche perverse della povertà”: il ricorso all’aborto per frenare la crescita demografica, la diffusione dell’AIDS e di altre malattie infettive, la crisi della famiglia e le conseguenze sulla povertà infantile, le spese per gli armamenti invece che per il benessere della popolazione, la crisi alimentare... Benedetto XVI invita a cercare nuove forme per lottare alla povertà: la solidarietà globale. “La globalizzazione elimina certe barriere, ma ciò non significa che non ne possa costruire di nuove; avvicina i popoli, ma la vicinanza spaziale e temporale non crea di per sé le condizioni per una vera comunione e un’autentica pace. La marginalizzazione dei poveri del pianeta può trovare validi strumenti di riscatto nella globalizzazione solo se ogni uomo si sentirà personalmente ferito dalle ingiustizie esistenti nel mondo e dalle violazioni dei diritti umani ad esse connesse. La Chiesa, che è «segno e strumento dell’intima unione con Dio

e dell’unità di tutto il genere umano», continuerà ad offrire il suo contributo affinché siano superate le ingiustizie e le incomprensioni e si giunga a costruire un mondo più pacifico e solidale”. Ma accanto a questa povertà da combattere, c’è una povertà da scegliere: la solidarietà e la sobrietà, come valori evangelici e universali. Il Papa si rivolge in conclusione tutti gli uomini perché vivano la fraternità e la solidarietà reciproca: “Ad ogni discepolo di Cristo, come anche ad ogni persona di buona volontà, rivolgo pertanto all’inizio di un nuovo anno il caldo invito ad allargare il cuore verso le necessità dei poveri e a fare quanto è concretamente possibile per venire in loro soccorso. Resta infatti incontestabilmente vero l’assioma secondo cui «combattere la povertà è costruire la pace»”.

E proprio alla solidarietà ha fatto appello l’Arcivescovo di Milano, Dionigi Tettamanzi, l’anno scorso nella sua omelia per nella messa della notte di Natale: “Anche nella crisi d’oggi […] la solidarietà non risponde solo a bisogni puntuali, bensì costruisce una società più giusta, più equa. È via irrinunciabile per poter sperare ancora nel futuro, per uscire dalle pesanti difficoltà presenti. A condizione che la solidarietà non sia il gesto episodico di alcuni, ma una “sinfonia” condivisa”81. Segno e strumento di questa solidarietà è il “Fondo

Famiglia – Lavoro” da lui costituito per venire incontro alle persone in difficoltà per la perdita del lavoro. L’arcivescovo di Milano è consapevole che l’aiuto dato attraverso il Fondo è solo una “goccia nel mare delle necessità” ma ne sottolinea la primaria valenza educativa non per i poveri ma per le comunità cristiane, in

Outline

Documenti correlati