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I.4 Approssimarsi alla povertà

1. Lo sguardo storico sulla povertà

1.2 Il medioevo: povertà, elemosina e salvezza

È a partire dal medioevo che il povero assume un ruolo sociale più definito, come ci mostrano in particolare gli studi di Mollat (1982) e di Geremeck (1986). Secondo i due storici, tra i più importanti studiosi dell’epoca medievale, l’assenza di diritti sul suolo e la dipendenza alimentare di molti contadini sono state le basi su cui si è fondata l’organizzazione feudale della società. In seguito a carestie, epidemie e disastri naturali, poveri, masse di vagabondi e malati inondavano le città in cerca di elemosina o di un potente a cui sottomettersi in cambio di aiuto: la povertà era quindi strutturale alla stessa organizzazione economica della città. In quest’epoca si distingueva tra i pauperes, i ceti inferiori, e gli indigentes, cioè i mendicanti e i vagabondi; in generale il povero era associato al malato, tanto che i primi ospedali fungevano da ospizi.

Nel medioevo gli atteggiamenti nei confronti dei poveri e le dottrine sul fenomeno della povertà si basavano sull’interpretazione delle Sacre Scritture: come già sottolineato, nei Vangeli la povertà è un valore spirituale e viene esaltata la scelta volontaria di rinunciare ai beni materiali, in quanto segno di umiltà e di abnegazione sull’esempio di Cristo. Gli ordini religiosi poveri e mendicanti, nati tra il IX e il XIII secolo, facevano proprio questo invito rinunciando al mondo e alla sua ricchezza (in questo periodo si era sviluppata l’economia mercantile e l’uso del denaro) per vivere pienamente il Vangelo: scriveva Domenico nel 1208: “abbiamo rinunciato al secolo e abbiamo dato ai poveri quanto era in nostro possesso. […] abbiamo deciso di essere poveri sì da non avere alcuna preoccupazione per il nostro domani e non ricevere da nessuno oro, argento o cose simili”14. Gli fa eco Francesco, che nel suo Testamento scrive: “al tempo della mia vita

peccaminosa niente mi disgustava come vedere dei lebbrosi. Fu il Signore che mi spinse ad

13 V. Paglia, op. cit.

andare verso di loro. Io lo feci e da quel momento, tutto si cambiò per me tanto che trovai dolce e naturale ciò che prima mi era sembrato penoso e insuperabile. Poco dopo abbandonai il mondo definitivamente”15. Francesco fece della povertà la sua sposa e la scelse come via maestra per

incontrare Cristo, presente nei poveri e nei sofferenti: “la povertà non era tanto un rifiuto dei beni mondani, quanto un gesto di amicizia e fraternità: bisogna cercare attraverso la povertà l’amicizia con i poveri”16.

Questi fautori di una povertà volontaria non hanno nulla in comune con gli indigenti dal punto di vista dei valori, eppure come nota Geremek, “la somiglianza dei segni esterni della loro condizione, del loro modo di vestirsi e di comportarsi fa sì che la santità dei primi venga trasferita ai secondi. L’eroismo della rinuncia, presentato in parte come modello - anche se quasi irraggiungibile -, in parte come mezzo di salvezza, suscita un risveglio della misericordia di cui usufruiscono anche i mendicanti di professione e i poveri in generale”17. Il cristianesimo

medievale esaltava quindi anche la povertà materiale e considerava la misericordia nei confronti dei poveri, espressa nella pratica dell’elemosina, un dovere dei singoli, della collettività, della Chiesa: “l’elemosina costituisce uno strumento per la redenzione dei peccati, e perciò la presenza dei poveri nella società cristiana determina la realizzazione del progetto di salvezza”18.

Immagine 1.1: L. Costa, Elemosina di Santa Cecilia, 1506

(Fonte: http://icozzano.scuole.bo.it/ic/media/attivita/05-06/rinascimento-bo/img/elemosina_cecilia.JPG)

La povertà nella società medievale era quindi considerata un fatto naturale, voluto da Dio, ed era guardata come un elemento positivo: per i poveri perché vivevano in una condizione di vita vicina alla perfezione evangelica, per i ricchi perché potevano salvarsi esercitando il dovere della carità. Quest’epoca ha esaltato quindi la generosità del ricco e la rassegnazione del povero,

15 Idem, p. 208; cfr. Francesco, Il testamento, 1226. 16 Idem, p. 210.

17 B. Geremek, La pietà e la forca: storia della miseria e della carità in Europa, Roma, La Terza, 1986, p. 28. 18 Idem, p. 9.

condannando al contrario l’egoismo nel primo e la ribellione nel secondo.

Il medioevo ha riconosciuto ai poveri un posto e un ruolo nella società19 e questo può sembrare

un aspetto positivo, soprattutto se paragonato all’oggi, in cui ai poveri non è riconosciuto il diritto di far parte della società, sono gli scarti, i vuoti a perdere, i rifiuti umani... Non dobbiamo però dimenticare che questo riconoscimento dei poveri nel medioevo era in funzione dei benestanti, il povero era infatti accettato e riconosciuto in quanto “strumento” della salvezza del ricco, e che ritualizzando la carità si è fornito sì un aiuto ai poveri, ma soprattutto una giustificazione alla ricchezza. Inoltre occorre sottolineare che non sempre l’elemosina ricevuta era sufficiente per sopravvivere e in questo caso al povero non restava altro che vendere la propria libertà in cambio della protezione di un ricco feudatario: la schiavitù era quindi considerata una fonte di sicurezza contro la povertà (J.M. De Gérando) e una forma di beneficenza istituzionale (J.J. Montesquieu). Alla fine dei conti, nonostante tutta l’esaltazione della povertà come via di salvezza e l’invito alla carità della Chiesa medioevale, essere povero non era quindi così positivo neppure nel medioevo...

Dopo l’anno Mille, l’espansione demografica in concomitanza a carestie e catastrofi naturali ha portato a esodi di masse di poveri nelle città e frequenti rivolte contro i feudatari: questi eventi hanno contribuito al diffondersi di una concezione più negativa della povertà. È sempre in questo periodo che iniziano le distinzioni tra i poveri e nell’ambito dell’assistenza, forse proprio per cercare di controllare la povertà ed evitare lo scoppio di conflitti e rivolte:

- poveri cum Petro (la povertà del clero) e cum Lazaro (la povertà materiale degli indigenti), - poveri onesti (infermi impossibilitati a lavorare) e poveri disonesti (falsi infermi, poveri

abili),

- la hospitalitas (l’assistenza da dare a tutti) e la liberelitas (l’ elemosina) che, a partire dal tardo medioevo (XIV-XV), si rivolgeva in primo luogo ai poveri vergognosi cioè ai nobili decaduti,

- si iniziò inoltre a distinguere il povero dal malato, il cui spazio di assistenza divenne l’ospedale20.

Secondo O. Capitani (1974), l’affermarsi del mercantilismo e dell’economia di profitto e l’ampliarsi dei latifondi hanno contribuito alla progressiva pauperizzazione delle fasce della popolazione più deboli dal punto di vista economico: l’aumento dei poveri richiedeva nuove misure di controllo e assistenza. Tra il XII e il XIII secolo si è cercato di ordinare la

19 G. Iorio, La Povertà. Analisi storico-sociologica dei processi di deprivazione, Roma, Armando, 2001. 20 V. Paglia, op. cit.

distribuzione delle elemosine (registri dei poveri, segni distintivi) e si sono diffuse opere di carità individuali, non più di patrocinio della Chiesa: ospedali, lebbrosari, ricoveri. L’assistenza ai poveri assume sempre più una funzione di controllo sociale21. Orfani, malati e infermi venivano

stipendiati e assistiti a vita: alcuni poveri, divennero professionisti della mendicità, inventarono tecniche, costumi e strutture simili alle corporazioni. La formalizzazione delle elemosine e la professionalizzazione dei mendicanti “introducono un particolare tipo di equilibrio nella funzione della miseria all’interno della società medievale. Tale equilibrio viene intaccato dalla miseria nella sua dimensione di massa: dalle folle di disgraziati che attingono occasionalmente alle grandi distribuzioni delle elemosine, e che si mantengono in un confine incerto tra miseria e lavoro”22.

In campagna, per i bassi rendimenti agricoli, le frequenti carestie e il sistema di sfruttamento feudale che impediva l’accumulo di scorte e profitti, la miseria era un fatto endemico, mentre in città costituiva la condizione di vita delle classi lavoratrici, in particolare i lavoratori non qualificati, che vedevano a rischio le proprie condizioni di sopravvivenza e spesso pativano la fame. “La pressione demografica, l’insediamento degli stranieri nei sobborghi, il lavoro a domicilio, l’artigianato al di fuori delle corporazioni, sono tutti fattori che indeboliscono l’efficacia dell’intervento delle autorità cittadine e corporative”23 e di fronte alla miseria dei

lavoratori l’ethos della povertà medievale era indifferente e/o inefficace: rimaneva la solidarietà familiare e di vicinato, che però funzionava solo con numeri limitati.

Nel XIV secolo non sono rari i tumulti e le agitazioni popolari, specie in seguito a carestie ed

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