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Povertà assoluta o relativa? Ovvero che cos’è la povertà e chi è povero?

Nel XIX secolo la disoccupazione era ritenuta la causa principale della povertà e nell’immaginario il povero era l’operaio Piuttosto che intervenire sul mercato del lavoro s

3. I numeri e i volti della povertà oltre i dilemmi e le definizioni in campo sociologico ed economico

3.1 Povertà assoluta o relativa? Ovvero che cos’è la povertà e chi è povero?

In ambito sociologico non esiste un’unica definizione di povertà, ma ne troviamo almeno due: • la povertà assoluta: nel 1995 il World Summit on Social Development11 riunito a

Copenhagen ha definito la povertà assoluta come “a condition characterised by severe

deprivation of basic human needs, including food, safe drinking water, sanitation facilities, health, shelter, education and information”12. Questa povertà ha una matrice

materiale e si riferisce a un livello minimo di sussistenza, uno standard di vita sotto il quale è compromessa la capacità-possibilità di sopravvivenza di un qualsiasi individuo in una qualsiasi società. Tale livello minimo può essere stabilito in termini di reddito o di consumi: dopo aver definito i bisogni essenziali per una vita dignitosa, viene stilato un paniere di beni e risorse che ne permettono il soddisfacimento e si procede infine a stabilire il valore monetario di tale paniere;

la povertà relativa: è definita in relazione alle condizioni di vita medie di uno specifico contesto in un determinato tempo (Townsend P., 1974, in Wedderburn D.) e si determina quindi nel confronto tra il reddito del nucleo familiare o della singola persona e quello medio della popolazione. Secondo la definizione dell’European Council13 del 1975:

“people are said do be living in poverty if their income and resources are so inadequate

10 A. Spanò, La povertà nella società del rischio, Franco Angeli, Milano 1999.

11 Per maggiori informazioni consultare il sito: http://www.un.org/esa/socdev/wssd/index.html (consultato il 15

Marzo 2010).

12 Traduzione: “Una condizione caratterizzata da una severa deprivazione dei bisogni primari, cibo, acqua potabile,

servizi sanitari, salute, casa, educazione e informazione”.

13 Per maggiori informazioni consultare il sito:

http://ec.europa.eu§/emplyment_social/spsi/docs/social_inclusion/final_joint_report_2003_en.pdf (consultato il 20 Marzo 2010).

as to preclude them from having a standard of living considered accepted in the society in which they live. Because of their poverty they may experience multiple disadvantages through unemployment, low income, poor housing, inadequate health care and barriers to lifelonlearning, culture, sport and recreation. They are often excluded and marginalized from participating in activities (economic, social and cultural) that are normal for other people and their access to fundamental rights might be restricted”14.

Essendo una povertà legata al contesto non è facile fare comparazioni tra i diversi Stati, può accadere infatti che in paesi complessivamente poveri il tasso di povertà relativa sia inferiore rispetto a paesi più ricchi e che in questi ultimi siano considerati poveri persone che in paesi complessivamente poveri sarebbero benestanti.

Le prime ricerche sociologiche sulla povertà, ad esempio quella di Booth nel 1889, hanno adottato uno standard di povertà assoluto, ma il criterio si è rivelato fin da subito arbitrario; per questo nel 1901 Rowntree ha proposto l’approccio biologico basato sul concetto di sussistenza come efficacia fisica, tuttavia neppure la sua linea di povertà primaria (la somma minima per garantire la sussistenza) è sfuggita alle critiche di arbitrarietà e di non generalizzabilità. Successivamente si sono diffusi approcci relativi, che consideravano la povertà in relazione ai modelli di vita e di consumo della famiglia e dell’individuo medio. Townsend, nelle ricerche del 1974 e del 1979, ha introdotto i concetti di “risorsa” (al posto di “reddito”) e di “stile di vita” (al posto di “consumo”), inoltre ha portato all’attenzione del pubblico la presenza di sacche di povertà nei paesi ricchi. Anche questo approccio ha però dei limiti, dovuti in particolare all’identificazione della povertà con la disuguaglianza: infatti pur essendo correlate, come afferma Sen, non sono la stessa cosa. Negli anni ’80 tra gli studiosi ha prevalso la scelta di approcci assoluti, che avevano il pregio da un lato di consentire la costruzione di categorie di poveri basate su una definizione omogenea di povertà e dall’altro lato di ottenere l’attenzione dei poteri istituzionali e dell’opinione pubblica.

Nelle ultime ricerche condotte dall’Unione Europea si è scelta invece una misurare relativa della povertà, attraverso strumenti quali la linea di povertà relativa e l’indice di rischio di povertà, che verranno presentati nel prossimo paragrafo. Nella pratica attuale italiana, i servizi operano adottando un modello di povertà relativa, mentre a livello di studio alcuni autori tornano a

14 Traduzione: “Si definiscono povere le persone il cui reddito e risorse sono talmente inadeguate da precludere

loro il raggiungimento degli standard di vita considerati accettabili nella società in cui vivono. A causa della loro povertà possono sperimentare disagi, disoccupazione, basso reddito, case povere, inadeguato sistema sanitario e ostacoli all’apprendimento lungo tutto l’arco della vita, cultura, sport e divertimento. Essi sono inoltre esclusi ed emarginati dalla partecipazioni ad attività (economiche, culturali, politiche) che sono normali per altre persone e il loro accesso ai diritti fondamentali potrebbe essere limitato”.

parlare di povertà assoluta o povertà hard, caratterizzata da situazioni oggettive e meccanismi intrappolanti e cronicizzanti.

Entrambi i concetti fanno riferimento a una visione “risorsista” della povertà, per cui le risorse possedute da una persona corrispondono al suo benessere, ma come sottolinea Sen questa equivalenza non tiene conto che nella conversione dei beni in benessere intervengono altri fattori, quali le capacità, il potere, la libertà degli singoli, per cui dal punto di vista delle differenze interpersonali la povertà assoluta appare anch’essa relativa15. D’altra parte come

afferma lo stesso Sen “una deprivazione relativa nello spazio del reddito, può produrre una deprivazione assoluta nello spazio delle capacità”16.

Il prof. Micheli17 evidenzia i rischi sia dell’approccio assoluto sia di quello relativo, dal

momento che in entrambi i casi si tratta di definizioni “estensionali” della povertà: si procede per generalizzazione e categorizzazione e si perde la singolarità e la specificità delle situazioni di povertà. La Fio.psd non ritiene che esista una netta distinzione tra povertà assoluta e relativa18 e

secondo alcuni autori la scelta tra povertà relativa o assoluta costituisce in realtà un falso dilemma, perché non sono incompatibili: ad esempio Pieretti ha introdotto il concetto di “povertà assoluta a livello locale” (1993), che ha il vantaggio di superare sia i limiti di un approccio relativo - che rischia di esaurirsi all’interno del contesto a cui si riferisce - sia di quello assoluto - che annulla invece l’importanza del contesto.

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