ANALISI SITUAZIONALE ESPLORATIVA E CAMPO DI INDAGINE
2. L'Analisi Situazionale di sfondo
In che direzione deve andare la nostra ricerca sociale, in quanto sforzo scientifico, per accrescere in modo innovativo la conoscenza necessaria ad elaborare nuove soluzioni tecniche e politiche utili a governare la complessità della questione sociale odierna? Per trovare una risposta a questa domanda abbiamo deciso di condurre un'indagine esplorativa a partire da una serie di testimoni significativi appartenenti ai campi del welfare e del lavoro. L'analisi delle testimonianze raccolte ha avuto lo scopo di osservare la crisi del welfare e del lavoro attraverso lo sguardo di uomini collocati in una posizione sociale privilegiata rispetto ai fenomeni in questione. Siamo dunque partiti dagli uomini per indagare la società, trattando però questioni che dalle dinamiche della società ci consentissero in un secondo momento di produrre inferenze sugli uomini stessi. Per questo motivo, il metodo d'indagine adottato è stato quello della Grounded Theory (GT). «Per
Grounded Theory si intende quella teoria sociologica che nasce dai dati della ricerca empirica. Si tratta cioè di una teoria che viene costruita dagli studiosi nel corso dell'indagine sul campo e sulla base degli elementi emersi durante lo svolgimento dell'analisi» (Strati, 1997, p.125). Nello
specifico, abbiamo tratto profitto dalla variante costruzionista proposta da Adele Clarke. La sociologa statunitense propone una versione post-modernista e più articolata dell'approccio GT: la
Situational Analysis (AS). L'analisi situazionale, si pone in una continuità metodologica rispetto alla
GT, «[…] ad integrazione del classico approccio grounded», infatti «…]per ciò che concerne le
operazioni di codifica dei dati, la Situational Analysis si rifà completamente alle procedure tracciate dalla GT nel 1967»45. Il punto di partenza della Clarke è il mutamento epistemico indotto
dal postmodernismo, per cui per cogliere la complessità mutevole del reale e per superare le sacche dell'irriflessività della GT, la Clarke pone ampia enfasi sulla situazione nel suo complesso, cioè sull'analisi degli: «elementi chiave, materiali, discorsi, strutture e condizioni che la caratterizzano» (Clarke, 2005, pp. xxii). Siccome le condizioni della situazione sono nella situazione stessa (Clarke, 2005), la gerarchizzazione ecologica della GT, secondo cui gli attori e le loro azioni sono inseriti in un costrutto di matrice condizionale multi-livello, non restituisce realisticamente la complessità ed 45 Clarke, A., 'Additional FAQs for the Situational Analysis website', http://www.situationalanalysis.com/faq.htm
il grado di interconnessione del reale (De Gregorio, Lattanzi, 2011). In questo modo, l'analisi situazionale supera la dicotomia macro-micro, soggettivo-oggettivo per guardare ai fenomeni sociali non più in chiave multidimensionale, ma inter-dimensionale, attraverso la costruzione di una
matrice situazionale (Clarke, 2005): «[…] i dati si considerano congiuntamente prodotti (co- costruiti) attraverso la negoziazione e la messa in comune dei significati attribuiti agli eventi» (De
Gregorio, Lattanzi, 2011, p.22).46 Per questi due motivi, l'AS ci è sembrata la metodologia migliore
per realizzare una ricerca grounded, che facesse cioè emergere direttamente dai testimoni significativi le risultanze empiriche necessarie a tracciare un ulteriore orizzonte di ricerca (Tab.1).
Tab. 1) Diagramma del processo analitico LIVELLO DI
ASTRAZIONE CONCETTUALIZZAZIONE
TESTIMONI SIGNIFICATIVI 1° Enunciati/paragrafi/parole
CODIFICA APERTA 2° Sub-categorie (Atlas.ti → codes)
CODIFICA ASSIALE 3° Categorie (Atlas.ti → families)
CODIFICA SELETTIVA 4° Categorie superiori (Atlas.ti → super-families)
Dunque, si è esplorata un'area d'indagine che abbracciasse sia i testimoni delle politiche del lavoro, sia quelli delle politiche sociali.47 In particolare, è stato necessario stabilire quali sarebbero
46 Le mappe situazionali prevedono due diagrammi cartografici distinti: la mappa situazionale caotica/disordinata e la mappa situazionale ordinata (Clarke, 2005). La prima include tutti gli elementi emersi, umani e non umani, materiali e simbolici individuati, sia dai testimoni che dall'analista, cioè dalla loro trama relazionale oggettivizzata nell'intervista stessa. La seconda, risponde alla domanda su quali siano le questioni fondamentali che sono veramente importanti per gli obbiettivi della ricerca (Clarke, 2005). Perciò, la mappa ordinata diventa il momento in cui il ricercatore si mette in gioco e, con la sua sensibilità teorica opera le scelte inclusive che lo porteranno ad ordinare in categorie i dati. Oltre ad aderire perfettamente alle fasi di codifica aperta ed assiale, le mappe situazionali non rappresentano certo il prodotto finale di uno studio, ma uno stimolo per un livello successivo di analisi (Clarke, 2003). Infatti, le mappe possono essere considerate come strumenti fluidi che individuano negoziazioni, riposizionamenti, aggiunte ed elisioni e che trovano nel criterio della saturazione, come nella GT, la discriminante per stabilire la loro completezza o meno. Il terzo passaggio nell'uso delle mappe, che attraversa e supera la codifica selettiva, consiste nel mettere in relazione tra loro gli elementi della mappa ordinata. Le relazioni stesse divengono così dati significativi, e la loro costruzione avviene semplicemente attraverso un meticoloso lavoro di connessione grafica di tutti gli elementi individuati, descrivendo la relazione tra loro esistente in modo ipotetico-induttivo, anche grazie all'uso di alcuni operatori logico-booleani (inclusione, esclusione, co-occorrenza).Attraverso questo processo, tutti gli elementi dell'indagine sono stati messi in relazione (background teorico del ricercatore, dati oggettivi della situazione, testimoni e testimonianze). Ciò, al fine di produrre una trama teorica che indirizzasse la ricerca verso nuove e più approfondite fasi, ma in modo coerente e radicato nella realtà della situazione considerata; in cui micro e macro, soggettività e mondo oggettivo concorrono a produrre la stessa realtà sociale.
47 Al fine di ottenere attraverso le interviste una serie di interpretazioni sulla realtà sociale che fossero indicative di una situazione, è stato necessario individuare attori sociali posti in condizioni privilegiate di osservazione. Si è così deciso di interpellare quegli attori che si trovano oggi a ricoprire posizioni sociali esclusive rispetto ai campi del lavoro e del welfare nelle unità geopolitiche prese in considerazione. In questo senso, si è provveduto a distinguere 4 taxa che rappresentassero altrettante prospettive d'analisi: politici, tecnici-amministrativi, rappresentanti relazioni industriali e studiosi. Specificamente, per ciò che concerne i politici, si è cercato di dar voce agli amministratori direttamente impegnati sul territorio nel disegno e nell'implementazione delle politiche del lavoro e del welfare. Il gruppo dei tecnici-amministrativi, invece, si è rivelato il più nutrito, non solo per la varietà degli uffici deputati alla gestione delle politiche in questione, ma anche per soddisfare un desiderio di conoscenza profonda e multidimensionale che abbracciasse le differenti prospettive con cui, sopratutto in Italia, il mondo del lavoro e del welfare state si trovano ad essere amministrati e diretti. Dunque, si è deciso di parlare con l'Istituto Nazionale della Previdenza Sociale, principale erogatore delle provvisioni di protezione al reddito, con gli uffici delle politiche decentrate per la gestione della forza lavoro, i Centri per l'Impiego e con i servizi sociali. Inoltre, si è tentato di
state le dimensioni che le domande avrebbero dovuto oggettivare in una narrazione. Così, sono state condotte 21 interviste basate su 3 dimensioni d'indagine tese a rappresentare a) l'individualità e le
sue interazioni, b) i mutamenti oggettivi del campo d'indagine e c) le relazioni sociali tra questi due.48 Dunque, l'individuo nelle sue pratiche ed aspirazioni quotidiane poste in relazione con gli
altri significativi, il cambiamento dell'ambiente principale in cui queste pratiche e relazioni hanno luogo (il mondo del lavoro e del welfare) ed, infine, il connubio tra individualità, interazione sociale e mondo del lavoro per delineare meglio le nuove modalità di produzione del valore. Ogni dimensione, inoltre, ha preso corpo attraverso alcuni concetti-guida, che hanno ispirato la stesura della batteria di domande. Definite le dimensioni da scandagliare ed i concetti con cui operativizzarle, ci si è trovati di fronte alla delicata questione di dover inquadrare un oggetto di ricerca che rappresentasse la sintesi del campo d'indagine welfare-lavoro in modo trasversale alle dimensioni assunte. Al fine di incentivare testimonianze innovative dal punto di vista del pensiero soggettivo, quindi cercando di evitare il rischio di una sorta di respons set pre-codificato in osservatori così calati nel proprio ruolo istituzionale, si è scelto un argomento non solo trasversale ma anche inconsueto dal punto di vista della quotidianità lavorativa dei nostri testimoni. Un argomento che unisce e supera i classici nodi tematici del bisogno (per ciò che concerne il regime di welfare) e del diritto/dovere al lavoro (per ciò che attiene al mondo della sfera produttiva): la
redistribuzione della ricchezza. Inoltre, se la situazione diviene l'unità di analisi fondamentale
dell'approccio interpretativo e, la presenza del ricercatore dentro la ricerca è un fattore ineliminabile, la co-costruzione dei risultati attraverso la negoziazione semantica tra intervistato ed intervistatore pone la necessità della comune appartenenza situazionale. Ovviamente, lo spazio fisico dell'indagine, oltre ad essere culturalmente ed oggettivamente accessibile all'analista, avrebbe anche dovuto possedere le principali caratteristiche di un contesto socio-economico post-fordista. A questo proposito, sono state scelte le provincie di Modena e Reggio-Emilia sia per la loro struttura economica e sociale sostanzialmente omogenea, sia per la loro aderenza euristica ed accessibilità pratica. Invece, per ciò che afferisce alla prospettiva temporale dell'indagine, le interviste sono state condotte nel minor tempo possibile, non solo per ottimizzare l'economia della ricerca, ma sopratutto per mettere gli intervistati nella più simile condizione situazionale, cioè affinché questa non potesse essere turbata da eventi o cambiamenti significativi a livello socio-economico. Così, tra tutti i limiti oggettivi di una ricerca auto-condotta, le testimonianze sono state raccolte nell'arco di 40 giorni circa, a partire dalla fine del mese di Gennaio 2013, fino agli inizi di Marzo dello stesso anno.
La situazione socio-economica tratteggiata dall'analisi delle testimonianze può essere all'incirca così riassunta: ci troviamo in uno stato di transizione, sempre più rapida, da un modello economico manifatturiero ad alta intensità di manodopera ed in grado di consentire una tensione fornire una voce che provenisse non soltanto dall'alto di certi ruoli istituzionali, ma che giungesse anche da tecnici dirittamente impegnati sul campo, privi di responsabilità dirigenziali, come l'impiegata INPS o il sindacalista FIOM. Per quanto riguarda poi la costituzione del gruppo dei rappresentanti delle relazioni industriali, si è voluto sia cogliere il contributo di alti dirigenti regionali, per avere un maggiore sguardo riflessivo del sindacato sulle questioni d'indirizzo generale, sia provare a coprire il ventaglio delle svariate posizioni politiche in cui questo campo è frammentato (dalla Cgil, fino ai rappresentanti della piccola impresa, CNA). In ultimo, il gruppo degli studiosi ha tentato di racchiudere un quadro multidisciplinare che travalicasse i rigidi confini delle analisi mono-disciplinari con cui spesso si studiano i fenomeni del lavoro e del welfare. A questo scopo, sono state sottoposte a tutti gli intervistati le stesse domande, anche se magari non afferivano propriamente al proprio ambito, ponendoli così nella condizione di realizzare uno sforzo euristico e cognitivo, oltreché di inscenare una sorta di confronto interdisciplinare indiretto. 48 Senza addentrarci nelle vischiose acque della epistemodicea tra approcci standard e non-standard alla ricerca sociale
(Ricolfi, 1997, Marradi, 2007, Niero, 2008), è importante chiarire quale sia stata la tecnica adottata per condurre le nostre interviste e, sopratutto, la concezione antropologica e sociale che vi soggiace (Sormano, 1996). Si è scelto di adottare il modello estrattivo complesso (Sormano, 1996), riconoscendo la necessità di considerare l'intervistato come un interprete della propria esperienza. In quest'ottica, il modello estrattivo complesso è sembrato il più adeguato a rispondere alle esigenze di un intervista processuale, in cui i testimoni significativi si sono fatti interpreti privilegiati di una certa prospettiva sociale, e la loro riflessività creativo-immaginativa è stata stimolata dall'argomento della ricerca e dall'interazione con l'intervistatore. L'operativizzazione del modello estrattivo complesso è stata ottenuta attraverso la tecnica dell'intervista semi-strutturata faccia a faccia (Corbetta, 2003).
sociale ed istituzionale verso la piena occupazione, ad un modello a bassa intensità di manodopera altamente qualificata, in cui la produzione segue sempre più la domanda ed il valore di senso (simbolico) supera sempre più il valore d'uso, per cui gli elementi culturali, relazionali ed affettivi giocano un ruolo fondamentale all'interno dei nuovi processi di produzione ed accumulazione della ricchezza. Questo mutamento paradigmatico ha messo in crisi anche gli assetti istituzionalizzati per la gestione dei rischi e dei bisogni sociali, identificati e calibrati sul precedente modello produttivo. Oggi infatti siamo in presenza di nuovi rischi e nuovi bisogni che stentano a trovare risposte efficaci. Tutto ciò è stato narrato in modo corale e polifono dai nostri testimoni, e condensato nel codice interpretativo <impedimento dell'economia della conoscenza>. In effetti, grazie all'adozione di un approccio d'analisi olistico è emerso come l'<impedimento dell'economia della conoscenza> sia generato da un basso livello di integrazione sociale e funzionale. In particolare, le testimonianze dei nostri intervistati hanno fatto affiorare le difficoltà e le problematicità sistemiche a livello di cooperazione e coordinamento produttivo e ri-produttivo, oltre che le preoccupanti questioni dell'esclusione e dell'emarginazione sociale. A questo, si è accompagnato un costante e comune riconoscimento dell'inesorabile riduzione del reddito disponibile e della sua diseguale distribuzione tra le varie fasce sociali. I nostri testimoni in tutto questo hanno poi intravisto un significativo abbassamento della coesione sociale, in termini di riconoscimento identitario e materiale, di condivisione di una comune coscienza collettiva e, quindi, di una convivenza civile a ridotta conflittualità. Dunque, gli intervistati hanno ritenuto, ognuno dalla propria posizione e con i propri interessi, che il fenomeno codificato come <impedimento dell'economia della conoscenza> possa e debba essere necessariamente contrastato attraverso l'aumento e la valorizzazione del capitale culturale, oggettivato ed incorporato, e del capitale sociale di ogni individuo e comunità. Infine, la trama dell'intervista ha fatto emergere due approcci antropologici opposti ma molto significativi: uno che guarda alle manifestazioni empiriche trattate in un ottica umanista, per cui gli individui vengono visti come ontologicamente capaci di agire anche senza l'impulso di forze o bisogni eteronomi (umanisti), mentre l'altro legge nei comportamenti soggettivi una razionalità materialistica ontologicamente prevalente, sicché l'agire umano sarebbe, in ultima analisi, sempre mosso o dal bisogno o dal calcolo opportunistico (materialisti).
A questo punto, si è deciso di incrociare la narrazione costruita attraverso l'AS con le variabili individuate dai testimoni privilegiati circa le variazioni che potrebbero essere prodotte da un eventuale politica di redistribuzione della ricchezza tramite trasferimenti diretti in cash (vd. Fig.3). Così, è stato possibile ottenere un frame analitico in base al quale sviluppare una serie di ipotesi empiriche di ricerca.
Fig.3) - Incrocio grafico tra variabili ed esiti dell'AS
Tra le ipotesi più significative possiamo riportare le seguenti: Che impatto avrebbe una Match d/o e propensione al lavoro
Lavoro nero/Criminalità Razionalizzazione sistema welfare Ruolo Servizi Sociali
BASSO LIVELLO
INTEGRAZIONE SOCIALE RID. POSS. ECONOMICHE
BASSO GRADO COESIONE SOCIALE
CENTRALITA' CAPITALE CULTURALE E SOCIALE
Povertà
Tempo libero/att. Extralavorative Salario/Costo del lavoro Potere Contrattuale Coerenza biografica Rappresentanza Derespons. Istituzionale/Merc. Universalità Cura Esclusione/Inclusione Cultura Formazione Relazioni sociali
maggiore disponibilità di reddito sulla propensione al lavoro degli attori sociali e, quindi, sulla capacità di incontro tra domanda e offerta di lavoro? Che relazione si instaurerebbe tra una maggiore disponibilità di reddito e tasso di criminalità? Che impatto avrebbe una maggiore disponibilità di reddito sulle dinamiche del lavoro nero? Che ruolo potrebbe giocare una maggiore disponibilità di reddito in una riconfigurazione efficace ed efficiente del sistema di welfare? Come si ridefinirebbe il ruolo dei servizi sociali in presenza di una maggiore disponibilità di reddito che li solleverebbe da prese in carico improprie dovute alla mera necessità economica? E, dunque, che impatto sul rischio di povertà e sui tassi di povertà relativa ed assoluta? Quali dinamiche salariali si instaurerebbero? E, sopratutto, si affermerebbe un potere/diritto di 'scelta' del lavoro? Se si, con quali esiti sulla contrattazione delle relazioni industriali e sui tassi di rappresentatività sindacale? In presenza di una maggiore disponibilità di reddito si agevolerebbe la costruzione di biografie esistenziali più coerenti e meno precarie? Quale l'impatto quantitativo e qualitativo sulla cura di sé?
E sulle relazioni sociali? Forse una maggiore disponibilità di reddito favorirebbe una maggiore
inclusione degli attori sociali? E come impatterebbe sule pratiche culturali formali ed informali degli stessi?
Alla luce di queste possibili inferenze ipotetiche, la domanda che nasce spontanea è la seguente: esse sono verificabili? Le relazioni tra variabili individuate possono essere verificate studiando un caso o producendone uno artificialmente? In questo senso, la ricerca delle risposte si collocherebbe all'interno del paradigma scientifico neo-positivista, utile a ricercare le variazioni significative di un caso o di una serie di essi rispetto ad un eventuale gruppo di controllo. Ebbene, ma dove poter trovare una redistribuzioni diretta di denaro su larga scala, magari anche svincolata dalle classiche condizionalità laburiste, che possa essere studiata dal punto di vista delle dinamiche e dei fenomeni sociali? Le politiche redistributive certamente non mancano ma la loro infinità eterogeneità e complessità le rende difficilmente comparabili dal punto di vista geografico, culturale e sociale. Inoltre, le esperienze di trasferimenti diretti esistenti si basano tutte sempre e comunque su criteri di controllo (means test) o di condizionalità sulla libertà di agire dei beneficiari; ciò non consente certo di guardare alle eventuali trasformazioni fenomeniche da un punto di vista macrosociale e complessivo, dato che gli interventi redistributivi sono tendenzialmente circoscritti, condizionali e residuali. Ebbene, tutto ciò è vero fino a che rimaniamo all'interno del paradigma neopositivista. Guardando alle ipotesi emerse da un'angolatura socialmente pragmatica, possiamo leggere le domande empiriche formulate come “problemi sociali”. Il problema dell'emarginazione sociale, della disoccupazione, dell'inoccupazione, del moral-hazard ecc. Abbandoniamo dunque la prospettiva ipotetico-deduttiva per abbracciare quella pragmatista.49 Chi parla di pragmatismo nelle
scienze sociali entra nel caotico campo della sociologia micro-interazionista ed interpretativa. Quella sociologia che: «…] guarda il soggetto umano e che considera il mondo sociale come
costruzione di coscienza umana e dell'azione umana. Si oppone sia alla dura immagine strutturale della società prospettata dai durkheimiani, sia al materialismo della teoria del conflitto. Alla rigida predicibilità della scienza contrappone la fluidità e la ricchezza di significati dell'umanesimo»
(Randall, 1996, p.171). Dunque, la prospettiva d'analisi dell'interazionismo simbolico ci consente di adottare uno sguardo neo-comprendente e costruzionista della realtà sociale (Randall, 1996, Niero, 2008). Una tradizione teorica vasta, che va da Peirce a Mead, da Garfinkel a Goffman, passando per Schütz, Berger e Luckmann, solo per citare alcuni dei maggiori esponenti. Una tradizione così vasta, che apre ad ampi spazi di manovra intellettuale ed euristica, fornendoci anche un bagaglio tecnico e metodologico più articolato rispetto a quello positivista. Perciò, guardando alle ipotesi individuate da un angolatura pragmatista, possiamo domandarci piuttosto “come” le persone costruiscano la propria realtà? Nello specifico, proprio quella realtà in base a cui agiscono o re- 49 «[…] chi non vuole rinunciare ad anteporre delle categorie epistemologiche alla base della ricerca, e sostiene che
vi sia un paradigma fondativo a sostegno del mix qualità/quantità [adotta una] posizione tradizionalmente antimetafisica della scuola filosofica pragmatista dei Peirce, James, Dewey (Menand, 2001). Chi si rifà a questa posizione parte non tanto dagli a-priori dottrinali o teorici, ma dal problema » (Niero, 2008, p. 47)
agiscono alla crisi dei sistemi di protezione sociale e alle trasformazioni del mondo del lavoro?
Quale sia l'insieme di simboli e di significati che esse elaborano, impiegano e condividono per interagire tra loro? E, quali siano le conseguenze empiriche di tutto ciò all'interno del campo pragmatico disegnato dalla contemporanea questione sociale?