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Soggetto I soggetti sono dei conferitori di senso, dotati di capacità e competenze riflessive in grado di apprendere

TRA PRAGMATICA E CONVENZIONI SOCIALI: L'EPISTEMOLOGIA DELLA RICERCA

4. Il senso morale collettivo nei rapporti post-fordisti di reciprocità materiale

Proprio come l'EC intende descrivere le operazioni di giustificazione con cui il processo morale si manifesta in generale, per poter studiare le dinamiche trasformative, noi tenteremo di fare lo stesso per quello che riguarda la sfera del welfare redistributivo. In questo senso, anche nella sfera della redistribuzione il soggetto può essere pienamente considerato come un agente morale, dotato delle competenze logico-cognitive per attribuire senso alla realtà circostante tramite un processo pratico di giudizio, con cui è in grado di ordinare e modificare la realtà stessa. Dunque, anche noi consideriamo la razionalità dell'attore come un esito dell'interazione tra fattori oggettivi e soggettivi, pratiche e dispositivi, criteri di giustizia e oggetti in situazione. Perciò, proponiamo di coordinamento sociale nella sfera del welfare redistributivo come un momento di particolare incertezza, quello che Boltanski e Thévenot chiamano il momento della prova. «La prova è proprio

quel momento in cui le pretese degli attori e qui, nello specifico, le loro pretese di giustizia, si confrontano con la realtà e in cui, appoggiandosi su dei dispositivi, spesso istituzionalizzati, queste pretese possono essere considerate come fondate o non fondate» (Boltanski, 2005, p.25). La

sequenza spazio-temporale in cui avviene il confronto è il momento in cui gli attori introducono nell'ordine oggettivo delle cose il proprio ordine di regole, il quale governa la costruzione di un'argomentazione ben fondata per la risoluzione di una disputa il cui esito non è mai scontato. Infatti, le persone e gli oggetti possono perdere i significati che hanno a seconda delle situazioni, o fallire in determinate prove nell'arco della loro vita. Questo produce un cambiamento delle loro qualità comunemente riconosciute (Boltanski, Thévenot, 2006). Quando dei soggetti si confrontano sulle questioni del se sia giusto redistribuire la ricchezza, a chi sia più giusto redistribuirla e di come sia meglio farlo, possiamo dire che essi si trovano in un momento di prova, il cui esito è incerto. In questi momenti, non solo le argomentazioni migliori, ma anche le disposizioni oggettive in termini di condizioni sociali ed oggetti materiali giocano un ruolo fondamentale nell'esito della disputa, cioè sulla possibilità di trovare un accordo. L'accordo è però fragile e momentaneo, soggetto all'inevitabile mutare delle cose, per questo può essere sempre rimesso in discussione (Boltanski, Thévenot, 2006). Le rappresentazioni sociali di cui fanno uso i vari soggetti nella situazione agiscono come convenzioni, che assurgono a principi che implicitamente guidano il coordinamento dell'azione. Queste convenzioni sono in grado di stabilire delle equivalenze, di fare dei paragoni, di

soppesare il valore, cioè l'importanza, tra gli esseri in relazione durante la prova (Boltanski, Thévenot, 2006). Questa operazione di confronto tra più elementi nella situazione è chiamata nel lessico dell'EC 'messa in equivalenza'.

Perciò, nel corso di una disputa tra due soggetti che cercano un accordo sul chi e sul come redistribuire una certa quantità di ricchezza, entrambi faranno appello consciamente a quei criteri di giustizia con cui ordinano il mondo e, sopratutto, con cui qualificano gli esseri umani e gli oggetti.74

Dalla letteratura, poi, noi sappiamo che le convenzioni, a cui questi criteri possono essere ricondotti in termini di rappresentazioni sociali, hanno l'effetto di stabilizzare e generalizzare le forme delle associazioni mentali, assicurando che tutti gli elementi nella situazione siano qualificati (Cfr. Boltanski, Thévenot, 2006, pp. 140-141). E proprio la qualificazione è la condizione necessaria per poter valutare oggetti e soggetti e determinare in che modo e quanto essi siano importanti, travalicando la contingenza della situazione. Qui risiede tutto il potere cristallizzante delle categorie. Scegliere di assegnare del denaro ad un povero perché storpio, o perché particolarmente prolifico, piuttosto che attribuirlo ad un disoccupato o ad un tossico significa qualificare dei soggetti o delle condizioni con dei criteri di giustizia che, richiamandosi a delle convenzioni (una particolare rappresentazione sociale della povertà, della famiglia, del lavoro o della tossicodipendenza, ecc.), non solo ne determinano il grado di importanza nella disputa, ma ne demarcano lo status sociale agli occhi degli altri nel corso del tempo. A dimostrazione di ciò, basti pensare che durante i momenti di prova i processi di giustificazione, in cui il senso morale viene esplicitato, sono caratterizzati da un'elevata intensione concettuale. Per cui, sarà compito del ricercatore individuare e descrivere i principi che caratterizzano le convenzioni. Spesso, infatti, le persone «[...] si

riferiscono solamente alle qualificazioni degli stati di grandezza, o agli oggetti e ai soggetti che sono presenti» (Boltanski, Thévenot, 2006, p.141). In questo modo, le convenzioni sono racchiuse

nelle qualificazioni, o negli stati di grandezza, che divengono attributi qualificativi dei soggetti e degli oggetti. Loro proprietà che durano nel tempo e che, a loro volta, fungono da operatori di equivalenza nel processo morale di giustificazione. L'ampia letteratura sulla devianza e sui processi di stigmatizzazione descrive in profondità la dinamica di questo fenomeno (su tutti, si pensi a Foucault, Mary Douglas e Goffman).

Poter riconoscere le operazioni di giustificazione e le loro dinamiche trasformative non è affatto semplice. Questo perché il ricercatore entra in un campo di studio in cui deve essere in grado di separare i propri giudizi di valore da quelli dei soggetti studiati, oggettivando le categorie di analisi rispetto a quelle del suo campione. La difficoltà, in tutto questo, sta proprio nel fatto che sia lo scienziato sociale che le persone hanno delle buone e giuste ragioni e che, per applicarle, utilizzano le stesse competenze razionali (cioè morali). Ciò che diverge, ovviamente, sta nel modo con cui lo fanno. In questo senso, non possiamo che essere d'accordo con la metodologia olistica con cui l'EC riabilita il ruolo delle giustificazioni morali fornite dagli attori sociali. Inoltre, per poter indagare le operazioni di giustificazione di questi ultimi è importante riuscire a sospendere inizialmente l'uso della logica causa effetto, tipica della razionalità con cui, in occidente almeno, vengono operate le messe in equivalenza. Come Boltanski e Thévenot suggeriscono, l'approccio euristico weberiano che separa il momento dell'interpretazione da quello dell'analisi delle cause è controproducente nello studio del processo di giustificazione. Infatti, nella razionalità morale causa ed effetto sono sovrapposte, si richiamano vicendevolmente. Ciò che giustifica è anche giustificato e viceversa. Ad esempio, le qualificazioni dell'essere poveri, o disoccupati, in un processo riflessivo di messa in equivalenza (rispettivamente con il non essere poveri o l'essere occupati) richiamano le categorie di povertà e di disoccupazione sia per giustificare qualcosa (ad esempio l'attribuzione di una misura di aiuto), sia per produrre ciò che è giustificato (e.g. la povertà o la disoccupazione 74 Facciamo notare che ciò che è implicito può essere anche conscio, ma ciò che è inconscio non può essere anche esplicito. Per esempio, in una discussione l'idea che il sole sia al centro dell'universo può essere implicita, ma conscia nelle menti degli interlocutori. Invece, al contrario, se la condizione di innamoramento non è ancora al livello di coscienza, la persona innamorata non espliciterà mai ciò che prova perché non sa di provarlo.

come fenomeni sociali). In questo senso, descrivere le operazioni di giustificazione che i soggetti mettono in pratica, non consiste solamente nel ricostruire i loro ragionamenti logici, ma anche nel portare alla luce i principi e le convenzioni sociali su cui questi si basano.

Capire i processi con cui la competenza morale agisce impone di non cercare fin da subito delle evidenze empiriche che rispondano al nesso causa-effetto. Piuttosto, per riconoscere e dettagliare le pretese di giustizia dei nostri attori dobbiamo guardare alle loro giustificazioni con uno sguardo diverso, in cui ciò che dicono e fanno sono sia il prodotto di affermazioni ed azioni passate, sia i produttori di affermazioni ed azioni future. Questa è la logica della razionalità come esito processuale di una lunga serie di cause ed effetti che si confondono e si sommano nella mente dell'individuo, e che danno forma alle sue giustificazioni. Solo dopo aver riconosciuto le operazioni di qualificazione ed averle adeguatamente descritte, cioè solo dopo aver imparato quali sono gli esseri o le cose che importano, saremo forse in grado di comprenderne la dinamica trasformativa ed fattori determinanti. In questo senso, non possiamo che concordare con Boltanski e Thévenot quando affermano che: «Le situazioni naturali si presentano a tutti allo stesso modo. Questo è ciò

che gli conferisce la loro forza cogente» (Boltanski, Thévenot, 2006, p.147). Solo il momento della

prova è in grado di rivelare i principi di equivalenza che ordinano il mondo agli occhi dell'attore. La qualità ultima, la vera natura delle cose appartiene alle situazioni e non ai gruppi sociali (Cfr. Boltanski, Thévenot, 2006, p.216). Per questi motivi, l'epistemologia della nostra ricerca sostanzialmente si riconosce in quella delineata dall'EC e, in particolare, nella sociologia pragmatica di Boltanski.

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