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Raccolta ed Analisi dei dat

Capitolo 8 ANALISI TESTUALE

8. La lettura del Bisogno di Reciprocità all'interno dei diversi ordini di grandezza

Nelle giustificazioni fornite dai nostri attori, abbiamo visto come il bisogno dell'esistenza di una forma di reciprocità in presenza di RdE, si manifesti principalmente attraverso delle convenzioni selettive o condizionali, che supponiamo abbiano la funzione di garantire una forma di controllo rassicurante sull'esito incerto della futura relazione. Ed è proprio la sicurezza uno dei principi di giustizia più importanti che caratterizzano l'ordine condizionale e selettivo, insieme all'equità e al lavoro come fine in sé. Ebbene, ci domandiamo da che cosa i nostri attori vogliano essere rassicurati? Per capirlo dobbiamo congiungere il senso morale che i principi di giustizia dell'ordine condizionale e selettivo esprimono al loro campo d'azione, o meglio, al loro mondo comune. La redistribuzione nella sfera delle risorse primarie abbiamo visto come possa essere considerata una pratica che richiama l'aspetto materiale della sopravvivenza nei rapporti sociali di dare/avere. E la garanzia della sopravvivenza, è anche uno dei principi di giustizia emersi. Per un essere naturalmente sociale come è l'uomo, la sopravvivenza è storicamente e biologicamente legata alla cooperazione, all'interazione, ed alla reciprocità. Tuttavia, anche alla luce delle teorie del debito primordiale, avanziamo l'ipotesi che il senso profondo del perché la reciprocità sia una necessità nella sfera materiale dei rapporti di dare/avere della redistribuzione, vada ricercato a cavallo di due bisogni naturali dell'essere umano: la preoccupazione per la conservazione della propria vita e la

necessità di attribuire significati alla realtà. Con questo, non intendiamo fondare una spiegazione

della reciprocità materiale e delle sue funzioni, anche perché il nostro materiale empirico non è né stato tarato su questo obbiettivo, né è in grado di sostenerlo adeguatamente. Tuttavia, non possiamo non notare come anche la nostra analisi del senso morale, ci conduca verso una sorta di scavo semantico, di archeologia del significato che sta alla base del legame che unisce la reciprocità e la dimensione materiale. In questo senso, le modalità di distribuzione delle risorse materiali per la sopravvivenza e la natura dell'ordine sociale sarebbero intimamente connesse. L'attribuzione di un significato alla necessità di reperire le risorse naturali (raccogliendo, cacciando, coltivando, producendo e, in una parola, lavorando) sarebbe così profondamente intrecciata al modo con cui il loro reperimento viene organizzato. Da qui l'importanza del concetto di giustizia per gli esseri umani come nesso e filo conduttore tra l'ordine sociale, l'organizzazione del lavoro che ne deriva, e la reciprocità materiale dei rapporti di dare/avere.111 Un nesso che l'idea di un RdE universale ed

incondizionato sembra portare alla luce, e che la sperimentazione della Mag6 ci ha dato modo di osservare attraverso lo studio del senso morale degli attori che con questa idea si sono voluti cimentare nella pratica.

La giustizia è un concetto polisemantico ed eterogeneo, sottoposto alle inclinazioni dei diversi contesti socio-culturali e spazio-temporali. Il suo elevato grado di astrazione lo ha reso adattabile e versatile lungo i secoli della storia umana. Ovviamente non è questo il luogo in cui poter studiare questa nozione morale così complessa. Ciò che ci interessa, è far notare come ad essa nella sfera dei rapporti materiali si accompagni storicamente nei raggruppamenti umani quasi sempre una modalità di declinare il nesso tra dimensione simbolica e sfera materiale nella redistribuzione delle risorse, tra il tentativo di fondare un perché l'uomo sia soggetto alla faticosa contingenza della necessità e l'organizzazione del lavoro che serve ad affrontarla. Lo studio del senso morale che caratterizza la relazione tra attori sociali all'interno del mondo comune della redistribuzione va proprio in questa direzione. Lo studio della genesi del nesso tra elementi simbolici ed elementi materiali dell'esigenza della reciprocità sicuramente necessita di un altro tipo di ricerca più approfondito. Per quello che ci riguarda, invece, il nostro studio è in grado di gettar luce sul modo con cui questa esigenza si manifesta moralmente. L'analisi esplorativa delle giustificazioni e del senso morale degli attori può infatti rivelarci quale forma abbia assunto (almeno in un particolare contesto socio-culturale) il 111Come accennato in precedenza, si pensi alla trasfigurazione antropomorfa della dea greca Nemesi, la quale presiede non solo alla distribuzione delle risorse naturali, ma lo fa operando una giustizia divina sugli uomini, separando i meritevoli dai non meritevoli.

legame tra aspetti simbolici e materiali della reciprocità all'interno di ordini di grandezza diversi. Nel nostro caso, quale forma assume questo legame in un ordine di grandezze selettivo e condizionale? Ed in un ordine di grandezze incondizionale ed universale? Per quello che riguarda il primo ordine, quello condizionale, abbiamo visto come l'insicurezza, la richiesta di equità e la

centralità della forma lavoro possano riassumere l'insieme del tipo di principi di giustizia su cui si

regge l'equilibrio nel mondo comune della redistribuzione, quando questo è connotato da relazioni naturalizzate fondate sull'ordine e la separazione. In questo caso, abbiamo visto come si manifesti nelle convenzioni dei nostri attori una sorta di meccanismo di individualizzazione a-priori della responsabilità dell'esito della relazione di reciprocità. Nel momento in cui i vincoli materiali legati alla sopravvivenza vengono meno, gli attori si trovano a dover fare i conti con l'incertezza, con il rischio di rottura della relazione o di una sua assenza. Così, come forma di risposta a questo rischio, essi si avvalgono di convenzioni in cui il futuro beneficiario viene preventivamente visto come un potenziale colpevole della rottura del rapporto di reciprocità.

Questo approccio può essere letto come una modalità funzionale di distinzione tra me e

l'Altro. Infatti, dal punto di vista soggettivo, possiamo ipotizzare che colui che da tenda

naturalmente a distinguersi da colui che riceve, per proteggersi dal rischio della non restituzione o della non reciprocità. Del resto, abbiamo notato come nel nostro caso la reciprocità della relazione sia un'esigenza espressa a priori dai donatori, cioè ancora prima di fare esperienza delle effettive conseguenze che un legame redistributivo libero e paritario porterà con sé. Così, distinguendosi dall'Altro, il soggetto donatore si cautelerebbe dal potenziale fallimento del coordinamento all'interno del mondo comune della redistribuzione della ricchezza materiale. Tuttavia, come sappiamo, produrre una distinzione è la prima operazione da compiere per poter poi mettere in atto una qualsiasi forma di controllo relazionale. Dunque, potremmo affermare che il bisogno di sicurezza individuale, legato alla necessità dell'esistenza della reciprocità, stia alla base delle numerose distinzioni ed operazioni di controllo tipiche del mondo comune della redistribuzione. Il criterio della condizionalità, in questo senso, può essere visto come la risposta preventiva ad un rischio percepito soggettivamente, e che è sempre e comunque solamente potenziale. La selettività, invece, può essere letta come una disposizione con cui i soggetti individualizzano aprioristicamente il tipo di individuo a cui attribuire la responsabilità dell'eventuale fallimento della relazione. Le condizioni in un rapporto redistributivo, infatti, sono sempre stabilite per prevenire i problemi che l'Altro potrebbe causare, mai per anticipare quelli che potremmo provocare noi stessi. Si è forse mai sentito qualcuno, sia in un confronto privato che in un dibattito pubblico, sostenere la necessità di individuare delle condizioni di assegnazione di denaro pubblico per evitare il rischio che un giorno lui stesso possa approfittarne indebitamente? In un qualsiasi dibattito sulle questioni della redistribuzione, chi parla utilizza i criteri della selettività e della condizionalità (e quindi i principi di giustizia che ad essi possono essere ricondotti) quasi sempre come parametri utili a stabilire il giusto rapporto redistributivo all'interno della comunità, come se gli stati di bisogno, di indigenza, di disoccupazione, di indolenza, di frode, ecc. riguardassero sempre e solo gli Altri e mai sé stessi. Né in questa sperimentazione, né in nessun luogo politico di discussione e progettazione abbiamo mai sentito affermare: “è bene imporre questo o quest'altro vincolo perché un giorno potrei

infrangerlo io; potrei essere io il povero, il disoccupato, il bisognoso, il deviante”.

Anche in letteratura, l'analisi del denaro come forma sociale ha portato alla luce come il rischio sia connesso all'elemento fiduciario. Per Luhmann il denaro è un G.o.D. (Generator of Diversity), cioè un medium generalizzato di interscambio che, non condizionando il proprio uso a niente, rende ogni azione possibile per chi lo possiede (Martignani, 2009). Ed è da questa potenzialità del denaro che prende vita la questione tra libertà sostanziale (libertà di) e libertà formale (libertà da) sollevata dal sociologo inglese Geoffrey Ingham. In questo senso, il denaro porta su di sé il peso della sfida tipica della modernità, in cui i soggetti esperiscono quotidianamente le contraddizioni relazionali insite nel passaggio da forme di fiducia personali, ad forme di fiducia impersonali. Ed abbiamo già visto come il concetto di denaro sciolto da ogni vincolo che

contraddistingue il RdE rappresenti un artificio che fa emergere con forza queste contraddizioni morali. Il rischio, la fiducia, la libertà ed il controllo divengono così gli elementi fondamentali che caratterizzano il rapporto redistributivo mediato dal denaro. Dunque, questi elementi sono essenziali anche per comprendere il modo con cui l'esigenza della reciprocità si manifesta all'interno di un dato ordine morale. La libertà potenziale che il denaro del RdE porta con sé comporta un elevato tasso di fiducia impersonale che in alcuni dei nostri soggetti ha costituito un rischio molto grande per l'esigenza di reciprocità che contraddistingueva il loro modo di percepire il mondo comune della redistribuzione. Questo rischio si è perciò esplicitato in giustificazioni che esprimevano un bisogno di sicurezza e rassicurazione sugli esiti del rapporto redistributivo in presenza di RdE. L'insicurezza che un denaro ab-solutus porta con sé, come è quello del RdE, colpisce i soggetti direttamente al cuore del rapporto tra la dimensione simbolica e quella materiale delle reciprocità. Il precario equilibrio tra il senso che l'uomo attribuisce al lavoro che deve svolgere nella perpetua lotta contro la necessità e la legittimazione dell'ordine sociale su cui poggia l'organizzazione che si è dato per svolgerlo entra in crisi. Ad un livello talmente impersonale come quello che contraddistingue i rapporti redistributivi odierni, la sola possibilità che i bisogni primari legati alla sopravvivenza possano essere soddisfatti senza la garanzia esplicita di una forma di reciprocità ha gettato alcuni attori in uno stato di insicurezza tale da rende anche solo l'idea di un RdE inimmaginabile e profondamente ingiusta.

“Non so se continuerò la sperimentazione. Non mi convince più perché non sono convinto di voler/riuscire a dare il RdE a qualcuno di cui non ho fiducia o simpatia [...]” V3

“Mi è stato molto difficile vedere il reddito come un diritto...a tutti poi, compresi i ricchi, dividere i redditi a categorie di bisognosi o ancora spartire i soldi con tipo quelli che cazzeggioni si vogliono comprare una batteria musicale cosi per godersi la vita, senza progettualità. Si ho fatto fatica, forse perché ho sempre avuto una concezione del lavoro legata al dovere, legata alla fatica di fare qualcosa. […].” (Daniela), Focus 2

Da questo punto di vista, l'insicurezza trova risposta in una forma di protezione legata ad un senso morale ben preciso, le cui convenzioni appartengono ad un ordine di grandezze condizionale e selettivo.112 In questo senso, la condizionalità e la selettività rappresenterebbero gli elementi

morali con cui alcuni sociali si proteggerebbero dal rischio di una relazione redistributiva sciolta da vincoli, rispondendo alla contraddizione moderna tra fiducia impersonale e personale nel mondo comune della redistribuzione. Le componenti simboliche e materiali che connotano l'esigenza umana della reciprocità in questo mondo verrebbero così mantenute in un equilibrio garantito da un senso morale fondato sulla selettività e la condizionalità. Il mondo comune della redistribuzione governato da un ordine di grandezze condizionale e selettivo presuppone così il raggiungimento del benessere collettivo attraverso la costituzione di relazioni naturalizzate sulla differenza e sull'ordine, sul selezionare le responsabilità altrui e sull'ordinarne le condizioni dell'agire sociale all'interno di quello stesso mondo. Un agire che per questo diviene il modo socialmente riconosciuto (investment formula) di ottemperare ai propri doveri (o di dirimere le proprie colpe), nella comune lotta per la sopravvivenza. Questo tipo di ordine, dunque, tenderebbe a fornire una risposta al bisogno di sicurezza e garanzia relazionale attraverso la messa in opera di principi di equivalenza che giustificano una strategia di redistribuzione della ricchezza materiale fondata su una doppia modalità organizzativa del coordinamento sociale in questo mondo comune: distinguere ed

ordinare. Questa strategia mette in moto una delle due proprietà caratteristiche dell'essere umano

che Boltanski e Thévenot hanno individuato: la necessità di differenziare ed ordinare il mondo sociale. In questo modo, possiamo dedurre come il mondo comune della redistribuzione e, più in 112Si noti come anche l'etimologia latina del termine protezione, indichi un'azione preventiva tesa ad evitare qualcosa che ancora si deve verificare. Proteggere, infatti, deriva dal composto pro- (avanti, prima) tegere (coprire). vd. (Olivieri, 1961).

generale, la sfera della divisione sociale del lavoro, venga ad essere regolato principalmente dalla capacità umana di produrre associazioni mentali basate sulla distinzione e l'ordine. Ebbene, noi sappiamo anche che ordinare la realtà sociale distinguendo con delle categorie gli esseri umani porta alla costruzione di gruppi sociali che vengono percepiti come naturali, cioè le cui caratteristiche oggettive divengono attributi distintivi dei soggetti che ne fanno parte (Bourdieu, 1983, 2005). Del resto, a ben vedere, storicamente la lotta per la sopravvivenza attraverso la divisione del lavoro sociale è stata condotta proprio tramite la legittimazione di ordini sociali costruiti sull'affermazione delle differenze tra gli uomini. Queste differenze sono poi, per lunghi periodi, state ritenute 'naturali'. Per esempio, la schiavitù per millenni ha rappresentato uno dei modi di organizzare la divisione del lavoro sociale e di garantire la sopravvivenza delle comunità umane, semplicemente distinguendo ed ordinando gli esseri appartenenti a quelle stesse comunità. Oppure, ricordiamo anche la forma storica di intervento sociale delle workhouses e delle case di correzione, in cui tutti coloro che vi erano rinchiusi erano naturalmente incapaci di provvedere a sé stessi o naturalmente affetti da bassi istinti che li conducevano all'accattonaggio ed alla povertà (Foucault, 2005, Kazepov-Carbone, 2007, Ferrera, 2006). Senza qui citare l'abbondante letteratura che descrive quale fosse storicamente, e fino almeno ai primi del XX° secolo, la considerazione sulla natura umana dei contadini, degli operai, ecc. Ovviamente, questi sono solo alcuni degli esempi più noti di come l'esigenza ordinatrice tipica dell'uomo, si sia potuta manifestare a livello istituzionalizzato nel corso della storia umana. Tuttavia, non è per ora nostro interesse addurre analisi critiche di stampo tipologico sulle modalità con cui le proprietà della natura umana hanno preso forma nel corso dei secoli. Al contrario, quello che ci preme sostenere è che esista una forma

elementare di interpretazione e regolazione della reciprocità tipica del mondo comune della

redistribuzione, che è possibile rendere manifesta attraverso lo studio del senso morale.113 Una

forma che, probabilmente, offre una risposta ben precisa all'esigenza di reciprocità che gli attori sociali hanno, attraverso la combinazione delle componenti simboliche e materiali della reciprocità stessa.

9. Forme elementari ed approcci antropologici al mondo comune della redistribuzione

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