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Raccolta ed Analisi dei dat

GLI APPROCCI ANTROPOLOGICI AL MONDO COMUNE DELLA REDISTRIBUZIONE

1. Premessa

Nel capitolo sull'analisi testuale abbiamo ipotizzato che esistano almeno due forme elementari di interpretazione e regolazione della reciprocità materiale: una forma distintivo-gerarchica ed una di somiglianza-paritaria. Con la prima, gli attori sociali tenderebbero maggiormente a differenziarsi e ad usare delle gerarchie per stabilire chi ha diritto ad accedere al cerchio della redistribuzione, con quali priorità e sotto quali condizioni. Alla seconda forma, invece, sono riconducibili tutte quelle modalità di espressione dell'agire sociale fondate sull'immedesimazione, sulla percezione di una comune appartenenza e sulla pariteticità delle relazioni. A queste due forme abbiamo ricondotto i due approcci antropologici all'Altro generalizzato emersi durante l'analisi dell'esperienza della Mag6 sul RdE: un approccio distintivo ed un approccio egualitario. La lettura che abbiamo dato di questi approcci è che, adottando uno sguardo distintivo verso l'Altro, il bisogno di reciprocità nella sfera materiale dei rapporti sociali trovi risposta attraverso una differenziazione tra le figure del

datore e del ricevente. Questa differenziazione sarebbe funzionale a proteggere il datore dal rischio

intrinseco alla relazione redistributiva, di assenza o di fallimento della restituzione. Al contrario, un approccio egualitario, ci offre un'altra visuale del rapporto redistributivo. L'insicurezza insita nella relazione viene affrontata attraverso un movimento di identificazione e di fiducia, in cui l'Altro, prima che come un problema, come un pericolo o come un rischio, è percepito come una risposta, un'opportunità o un investimento. Così, chi adotta questo approccio si protegge dal rischio intrinseco ai rapporti di reciprocazione materiale dando primariamente credito all'Altro generalizzato, in una sorta di relazione di fiducia sociale a fondo perduto. Il portato simbolico e morale del denaro del RdE ha giocato un ruolo fondamentale nel far emergere questi due approcci. Ebbene, nella pratica in cosa possono essere riconosciuti questi due approcci? Analizzarli significa individuare delle sfere di significato in cui le disposizioni normative soggettive influiscano sulla formazione del giudizio personale nel mondo comune delle redistribuzione. Questi approcci in quali dimensioni si traducono nella vita quotidiana? Quali sono le aree di senso che gli attori sociali utilizzano per formarli e dar vita alle proprie opinioni? E, sopratutto, tra gli attori che adottano un approccio piuttosto che un altro, esistono delle differenze oggettive in termini di risorse economiche, culturali e sociali? Esistono delle caratteristiche che contraddistinguono chi fa uso di un approccio distintivo rispetto a chi, invece, impiega un approccio? Questo capitolo è dedicato alla ricerca di una prima risposta a queste domande sulla base dei dati ottenuti nel questionario.

2. Gli approcci antropologici: il tipo distintivo ed il tipo egualitario

Per trovare una risposta alle precedenti domande abbiamo scelto di osservare il concetto di approccio antropologico al mondo comune della redistribuzione da due prospettive profondamente interconnesse: a) il giudizio soggettivo sulla natura umana e b) le convenzioni personali sui

beneficiari. Per decifrare operativamente ciò che intendiamo per approccio antropologico, abbiamo

pensato al modo in cui ognuno di noi concepisce e/o percepisce l'Altro generalizzato. Così, abbiamo considerato importante sia ciò che i nostri intervistati pensano dell'essere umano in generale, sia al come lo percepiscono nel campo della redistribuzione della ricchezza. In termini più semplici, siamo partiti dalla considerazione che si accetti di dare qualcosa a qualcuno solo quando se ne ha

una qualche idea sulla sua natura, sia dal punto di vista delle qualità generali che ognuno di noi attribuisce alla specie umana, sia di quelle particolari che assegna ad un certo gruppo sociale. Grazie a questa idea, infatti, crediamo che gli attori sociali siano in grado di fondare il senso della propria azione redistributiva (i suoi motivi), di riconoscerne il beneficiario e, sopratutto, di stabilirne le condizioni su cui si erigerà il rapporto di reciprocazione. Dunque, comprendere il modo con cui ognuno di noi concepisce l'Altro, significa esternare la propria opinione sul chi della redistribuzione. Ciascuno di noi, infatti, più o meno implicitamente, ha un'opinione sull'uomo in quanto tale (se, per esempio, egli sia un essere tendenzialmente buono o cattivo), e su certe categorie di persone in particolare, rispetto al fatto che siano degne di partecipare alla redistribuzione della ricchezza (chi è più meritevole di chi?). Infatti, dietro l'opinione soggettiva, spesso faziosa, sull'esistenza di sistemi di reciprocazione materiale più o meno istituzionalizzati e più o meno generosi (Welfare State), si celano visioni del mondo che, sostanzialmente, sono visioni dell'Altro e delle relazioni socialmente istituite per la suddivisione del lavoro. Ovviamente, la divisione sociale del lavoro è un processo profondo, storicamente situato ed estremamente complesso. Tuttavia, l'analisi del senso morale che scaturisce da un certo tipo di divisione è anche, e sopratutto, una riflessione metastorica e meta-cognitiva sui principi di giustizia e sulle convenzioni che regolano il mondo comune della redistribuzione; inteso proprio come conseguenza della divisione del lavoro stessa. Perciò, abbiamo deciso di provare ad immaginare la descrizione standardizzata dei due approcci antropologici come un intreccio tra il giudizio sulla natura umana dal punto di vista dell'azione sociale, e le convenzioni con cui i nostri intervistati si differenziano dall'Altro beneficiario.

La dimensione più generale, quella sul modo di intendere la natura umana nella sfera dell'agire sociale, è stata operativizzata con l'indicatore dimensionale: giudizio sulla natura umana. La seconda, quella relativa alla visione dell'Altro nel rapporto redistributivo, è stata concretizzata con un indice sulle convenzioni soggettive. Grazie a questi due strumenti concettuali, è stato possibile far emergere i giudizi ed i pregiudizi dei nostri rispondenti sull'idea che essi hanno dell'essere umano e dell'uomo nel rapporto di reciprocazione materiale. Inoltre, è stato possibile operativizzare queste opinioni grazie all'impiego del concetto che sta alla base del RdE: il superamento dello stato di necessità materiale legato al soddisfacimento dei bisogni primari. Ciò, in pratica si è tradotto in una serie di domande chiuse o a scala Likert, in cui i nostri intervistati hanno dovuto esplicitare il loro pensiero in merito al chi della redistribuzione. Dall'analisi delle loro risposte siamo stati in grado di elaborare una sorta di profilo sulle caratteristiche convenzionali e di opinione riguardanti ognuno dei due approcci antropologici, classificando similarità e differenze in base al tipo di significato. L'indicatore giudizio sulla natura umana è stato ottenuto attraverso la ricodificazione di una domanda a risposta chiusa sulla concezione dell'essere umano dal punto di vista del suo comportamento nella sfera materiale. A questo proposito, agli intervistati è stata sottoposta una gamma di risposte a scelta multipla in cui ognuno poteva scegliere al massimo due attributi da assegnare alla propria concezione di uomo. In questo modo, i rispondenti si sono trovati a dover operare una sorta di classificazione dicotomica del modo in cui intendo l'agire dell'essere umano nell'ambito dei rapporti materiali di scambio. Pertanto, è stato definito “negativo” un giudizio sulla natura umana espresso attraverso i seguenti attributi qualificativi: (alla domanda lei pensa che l'essere umano sia […]) pigro, approfittatore, egoista e cinico. Invece, è stato chiamato “positivo” un giudizio palesato attraverso questi aggettivi: attivo, virtuoso, solidale, altruista ed

idealista. Alla luce di questa classificazione, il nostro campione si è spaccato in due: il 48% ha

espresso un giudizio positivo sull'essere umano, mentre il 52% negativo. Quello che però è più interessante notare lo possiamo scorgere dall'incrocio con l'appartenenza alla Mag6. Infatti, notiamo la presenza di una relazione significativa tra i due indicatori (con un χ2 che fornisce un p<0,02), la

quale ci rivela una maggiore predisposizione dei soci Mag6 ad avere un'opinione positiva sul genere umano rispetto ai non soci (tab.20).

Tab.20 – Opinione sul genere umano ed affiliazione

Nel capitolo Storia ed Epistemologia dell'Economia delle Convenzioni, abbiamo visto cosa siano e come lavorino le convenzioni sociali, alla luce di una rinnovata spinta euristica per la razionalità morale. Esse sono rappresentazioni collettive oggettive, cioè categorizzazioni che esprimono una logica interpersonale la quale, seppur non direttamente percepibile con i cinque sensi, esiste nelle menti dei soggetti condizionandone l'azione sociale. Questa logica è il frutto di un accordo tra gli attori sociali, implicito o esplicito, sul come la realtà sia o come debba essere. Così, queste immagini del mondo, delle cose e delle persone, divengono categorie e strumenti mentali per valutare la realtà e coordinare l'interazione; esse giocano cioè un ruolo dirimente nella costruzione sociale della relazione. Anche il mondo comune della redistribuzione della ricchezza, nella sua multidimensionalità tra universo del lavoro e della solidarietà, è costruito e coordinato su delle convenzioni. Per questo motivo, abbiamo ritenuto opportuno indagare l'approccio antropologico che si cela dietro l'uso di determinate categorizzazioni sociali; cioè l'immagine tipica dell'Altro generalizzato che ognuno di noi ha e sulla quale poggia in parte il nostro senso morale. A questo proposito, abbiamo voluto sondare alcune categorizzazioni contemporanee tipiche del dibattito collettivo sul chi e sul come della redistribuzione. Queste categorizzazioni non sono altro che immagini o rappresentazioni stereotipate di certe categorie sociali, alle quali vengono aprioristicamente attribuiti degli attributi e dei comportamenti. Perciò, abbiamo individuato alcuni luoghi comuni classici della nostra cultura occidentale e capitalista riferibili sia a categorie di soggetti, sia all'agire sociale generalizzato dell'essere umano, nel caso fosse sollevato dalla necessità materiale (freedom from want). Le prime richiamano inevitabilmente l'immaginario collettivo di quei gruppi che sono più suscettibili di richiedere/necessitare un sostegno economico perché si trovano ai margini della società, occupando le posizioni economiche e di prestigio sociale più fragili o screditate secondo i canoni morali probabilmente dominanti (cioè i nostri ordini di grandezza). Le categorie imputabili ai pregiudizi sull'agire sociale, invece, le abbiamo operativizzate ricorrendo al sapere collettivo legato alla triade denaro, lavoro, libertà. Infatti, eliminando la dimensione necessaria del lavoro (nel caso in cui i bisogni primari trovassero soddisfazione mediante una garanzia collettiva), è stato possibile suscitare tutta una serie di cliché e preconcetti sul comportamento delle persone. A questo proposito, abbiamo potuto costruire un indice che separasse in due gruppi gli intervistati che dichiaravano di rifarsi ad un certo tipo di convenzioni piuttosto che ad un altro (Indice delle convenzioni).

L'indice è stato costruito grazie a due indicatori dimensionali. Da un lato, abbiamo cercato di raggruppare gli intervistati differenziandoli in base alle proprie credenze sui potenziali beneficiari di aiuti economici. In questo modo, abbiamo costruito un rapporto di indicazione tra intervistati e convenzioni, tale per cui ciascuno di essi avrebbe dovuto esplicitare il merito che ogni categoria di beneficiari dovrebbe avere per poter ricevere un sostegno economico. Nella pratica, dapprima abbiamo chiesto di esprimere in una scala il proprio grado di accordo verso la concessione del sostegno alle seguenti categorie: studenti, disoccupati, inoccupati, giovani, stranieri, disabili,

precari, senza fissa dimora, tossici dipendenti, prostitute, cittadini qualunque (tab.21). Così,

sostenerne altre, ha dimostrato di applicare dei giudizi sulla qualità di certi soggetti piuttosto che di altri, facendo perciò uso di un approccio antropologico distintivo e gerarchico.123 Invece, chi si è

collocato sulle modalità estreme, o a favore o a sfavore di tutti, è stato considerato come colui che prende una posizione di valore utilizzando un'immagine unitaria dell'Altro generalizzato, senza quindi operare differenziazioni di condizione sociale, di status, ecc. Dunque, i rispondenti che prima di tutto hanno pensato all'Altro beneficiario senza utilizzare delle categorie o degli stereotipi di merito hanno mostrato di applicare principalmente un approccio egualitario al coordinamento nel rapporto redistributivo.

Dall'altro lato, inoltre, abbiamo indagato una seconda dimensione morale, chiedendo agli intervistati di esprimere il loro giudizio su alcune affermazioni comuni che richiamassero indirettamente l'etica lavorista e condizionale quasi certamente dominante nel mondo comune della redistribuzione. Anche in questo caso, si è chiesto di esplicitare il grado di accordo verso alcune asserzioni riguardanti il rapporto tra il comportamento umano in caso di libertà dal bisogno e: la necessità del lavoro, la brama di denaro (l'auri sacra fames weberiana), l'uso del tempo e la capacità prendersi cura di sé stessi e dell'altro.124 Dopo aver unito le modalità estreme di risposta (per

nulla+poco; abbastanza+molto), abbiamo ottenuto due gruppi di intervistati. Nel primo gruppo, abbiamo collocato coloro che, in caso di libertà dal bisogno, attribuiscono al comportamento dell'Altro generalizzato degli atteggiamenti socialmente sanzionati. Questo tipo di risposte esprime una visione dell'altro prima di tutto negativa, tracciando una netta demarcazione tra le aspettative che si hanno sul proprio comportamento e su quello altrui in caso di libertà dalla necessità.125 Un

simile approccio, che vede prima di tutto nell'Altro generalizzato il rischio che si comporti in modo deplorevole, svela l'uso nel modo di pensare dell'intervistato di una modalità distintiva e gerarchica. Al contrario, nel secondo gruppo, abbiamo posto coloro che hanno fornito opinioni favorevoli sulla possibilità che, in una situazione di libertà dal bisogno, l'Altro generalizzato assuma un comportamento socialmente lodevole o comunque positivo. Questa presa di posizione ha messo in luce la loro capacità di non rifarsi in primo acchito a convenzioni e luoghi comuni probabilmente dominanti per giudicare il possibile comportamento di Alter. In questo senso, essi non hanno fatto uso di un approccio distintivo, poiché è più ragionevole che abbiano pensato all'Altro proprio come penserebbero a loro stessi. Le risposte positive e meno scontate rendono più verosimile il fatto che gli intervistati includano anche la considerazione di sé stessi nelle opinioni espresse, dimostrando così di non eseguire nelle loro menti delle operazioni dissociative. Infatti, fornendo in prima battuta un giudizio positivo sulle aspettative che hanno verso l'Altro, è plausibile che essi non abbiano creato differenziazioni di valore con la percezione che avrebbero di sé nella medesima situazione. Differenziazioni che, invece, l'opinione comune tende a tracciare, attribuendo connotati negativi e pregiudizievoli verso la generalizzazione del comportamento di alcune categorie. A questo punto, potremmo sintetizzare quanto detto in una battuta: è sempre più facile dare la colpa agli altri che a sé stessi!

Dunque, l'aggregazione di questi indicatori, ci ha poi consentito di costruire un unico indice in grado di mostrare quanti rispondenti abbiano fatto uso di convenzioni presumibilmente dominanti 123Al contrario, chi si è collocato solo sugli estremi della batteria, cioè ha dichiarato la necessità di sostenere tutti o di non sostenere nessuno, ha fatto uso di un approccio antropologico egualitario, in cui le differenze di status sono relativizzate e superate in una concezione paritaria che assegna il diritto ad un sostegno al reddito o a tutti o a nessuno. Ciò, rimanda anche all'importanza di osservare la precedente dimensione sul senso della redistribuzione e della ricchezza.

124Le affermazioni somministrate su cui gli interpellati hanno dovuto esprimere il proprio grado d'accordo (per nulla/poco/abbastanza/molto): L'essere umano lavora solo se costretto, sollevato dal problema della sussistenza l'uomo si lascerebbe andare all'indolenza, rifletterebbe meglio su come impiegare il proprio tempo, darebbe meno importanza al denaro, dedicherebbe più tempo alla cura si sé e dell'altro, agirebbe più in base alle proprie idee che ai propri istinti.

125Questo tipo di ragionamento è sostenuto da una facile deduzione: difficilmente chi attribuisce un giudizio negativo al comportamento degli altri in una certa situazione si percepisce come loro; cioè pensa che potrebbe comportarsi alla loro stregua in una situazione simile.

(applica doxa) e quanti, invece, di convenzioni minoritarie o alternative (non applica doxa).126

Poiché chi fa uso di determinate convenzioni tende ad operare distinzioni tra sé e l'Altro, e chi invece impiega convenzioni alternative o non dominanti tende in un primo momento a non operare distinzioni sostanziali. Per questo motivo, prima di procedere con l'analisi abbiamo voluto sincerarci di che tipo di legame fosse presente tra l'essere soci Mag e la probabilità di usare convenzioni dossastiche. Perciò, abbiamo osservato che, a fronte di un campione in cui ben il 75,8% degli intervistati applica una forma di giudizio convenzionale presumibilmente dominante, l'appartenenza alla base sociale della Mag6 non appare come un fattore significativamente discriminante nell'uso di un certo tipo di convenzioni piuttosto che di un altro (tab.22).

Tab.21 – Grado di accordo verso un sostegno economico alle seguenti categorie sociali

126Il termine doxa, di derivazione aristotelica, è stato sdoganato nel dibattito sociologico dalla teoria del dominio bourdieusiana. Il suo significato etimologico è quello di opinione comune. Ed è in questo senso che qui ce ne siamo serviti per etichettare le modalità delle proprietà rilevate. Tuttavia, nell'interpretazione delle evidenze, vi faremo di nuovo riferimento anche dal punto di vista esplicativo.

Tab.22 – Appartenenza alla Mag6 ed uso di convenzioni presumibilmente dominanti/non

dominanti

A questo punto, abbiamo sostanzialmente ottenuto due diversi indicatori con cui poter rilevare le differenti dimensioni in cui abbiamo declinato il concetto di approccio antropologico nel mondo comune della redistribuzione (giudizio sulla natura umana ed indice delle convenzioni). Ora, il nostro interesse è riuscire a capire quali intervistati possano essere ricondotti ad un approccio antropologico distintivo, e quali ad uno egualitario. Fatto ciò, infatti, saremo in grado di descrivere alcune delle loro caratteristiche sulla base delle variabili sociali, economiche e culturali individuate nel capitolo precedente. Dunque, per poter scindere il nostro campione in due gruppi da analizzare, abbiamo deciso di servirci di una tecnica di analisi multivariata: la cluster analysis (Marradi, 2005, Corbetta, 2003,Di Franco, 2005). Con questa tecnica non abbiamo compiuto un'analisi a sé stante, finalizzata ad ottenere un'interpretazione dei dati definitiva. Ce ne siamo serviti piuttosto per costruire un'altra variabile intermedia utile a consentirci di effettuare degli incroci bivariati con altre proprietà. Dunque, data la natura categoriale delle nostre due variabili di partenza e la numerosità campionaria, abbiamo deciso di applicare una tecnica di analisi dei gruppi non gerarchica definita

cluster analysis two steps (Norusis, 2012, Trobia, 2005, Cerbara, Iacovacci, 1998). L'obbiettivo di

questa procedura è quello di assegnare i casi della nostra matrice ad un numero ristretto di gruppi o tipi, massimizzando l'omogeneità tra i casi collocati al loro interno (Di Franco, 2005). Con questo tipo di tecnica è possibile stabilire a priori il numero di gruppi da creare nella tipologia. Questa soluzione è quella che si è sposata meglio con gli obbiettivi della nostra indagine, permettendoci di scindere il campione in due classi: coloro che applicano un approccio distintivo e coloro che ne applicano uno egualitario (Fig.20).127 Infatti, questa tecnica d'analisi non produce dei dati di realtà

(dei gruppi realmente esistenti da poter essere percepiti con i cinque sensi), ma ci aiuta a creare delle classificazioni che costituiscono degli ideal-tipi analitici; per cui sta poi al ricercatore utilizzarle e valutarle come meglio crede nello studio dei fenomeni (Ibidem). L'omogeneità/eterogeneità tra i casi viene valutata proprio per mezzo di incroci ripetuti tra i singoli casi appartenenti alle due variabili con cui abbiamo deciso di circoscrivere il concetto di approccio antropologico nel mondo comune della redistribuzione (giudizio sulla natura umana, indice delle convenzioni). A questo punto, grazie anche alla potenza del software statistico utilizzato, siamo stati in grado di ottenere molto rapidamente una nuova variabile che sintetizzasse la dicotomizzazione dei nostri intervistati in due tipi. Incrociare le nostre due variabili di partenza ha significato poter classificare coloro che hanno un giudizio negativo sulla natura umana insieme a coloro che applicano convenzioni probabilmente dominanti in un unico tipo: il tipo distintivo, cioè colui che adotta un approccio antropologico discriminante e gerarchico al mondo comune della redistribuzione. Invece, coloro che hanno espresso un giudizio positivo sulla natura umana e che hanno fatto uso di convenzioni minoritarie (non dominanti) sono stati classificati come: tipo

egualitario, ovverosia coloro i quali si servono di un approccio antropologico paritario ed olistico

(di un comune sentire) nei confronti dell'Altro generalizzato. Il nostro campione è risultato così composto in prevalenza da intervistati con un approccio sostanzialmente distintivo (73,5%), a fronte 127 Segnaliamo in parallelo i lavori condotti da Forsé Michel, in cui il sociologo francese da vita ad una tipologia

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