EPISTEMOLOGIA DELL'ECONOMIA DELLE CONVENZION
3. Da Durkheim a Hirschman ed oltre Bourdieu: L'epistemologia della sociologia pragmatica dell'EC
Come sappiamo, il primo ad indagare con intenzione scientifica la relazione tra sfera normativa e dimensione cognitiva è stato Ėmile Durkheim con la teoria dei fatti sociali. Ogni fatto che la società esprime, un rito collettivo piuttosto che un certo tipo di comportamento, è caratterizzato da tre componenti: normativa, emotiva e cognitiva. La dimensione normativa, le regole incorporate nei fatti, emerge nelle situazioni concrete che la oggettivano agli occhi dei soggetti, producendo modalità condivise di provare emozioni e di conoscere e riconoscere il comportamento altrui (Durkheim, 1912). Secondo Durkheim sono le categorie il mezzo attraverso cui il processo cognitivo collega le norme sociali, le emozioni ed il livello intersoggettivo. «Alla
base dei nostri giudizi, esiste un certo numero di nozioni essenziali che dominano tutta la nostra vita intellettuale; si tratta di quelle che i filosofi, da Aristotele in poi, chiamano le categorie dell'intelletto […] Esse corrispondono alle proprietà più universali delle cose. Sono come la robusta cornice che racchiude il pensiero; […] Esse sono come l'ossatura dell'intelligenza. […] le categorie sono di origine religiosa [e per questo sono] cose sociali, prodotti del pensiero collettivo. […]» (Durkheim, 1912, trad. it. 2005, pp.59-60). Le categorie godono di uno status sui generis che
le rende del tutto differenti, in contenuto e funzioni, dalle rappresentazioni individuali. La relazione che si instaura tra categorie, intese come rappresentazioni collettive, e le visioni individuali, siano esse opinioni, credenze o valori, è specificatamente processuale. «Le rappresentazioni collettive
sono il prodotto di un'immensa cooperazione che si estende non solo nello spazio, ma anche nel tempo; per dar loro vita, molteplici spiriti diversi hanno associato, mescolato combinato le loro idee e i loro sentimenti; lunghe serie di generazioni vi hanno accumulato la loro esperienza e il loro sapere» (Durkheim, 1912, trad. it. 2005, p.66). Ecco il processo durkheimiano di formazione
delle categorie normative della vita sociale, che le porta ad essere contemporaneamente sia una classe di oggetti, sia una procedura di conoscenza.
Quello che euristicamente affascina Boltanski ed i convenzionalisti, ma al contempo li distanzia da Durkheim, è riassumibile nel seguente passaggio delle Forme Elementari: «[le
categorie] esprimono i rapporti più generali che esistono tra le cose; superando in estensione tutte le altre nozioni, esse dominano tutti i particolari della nostra vita intellettuale. Se dunque, in ogni istante, gli uomini non si accordassero su queste idee essenziali, se non possedessero una concezione omogenea del tempo, dello spazio, della causa, del numero, ecc., ogni accordo, e quindi ogni vita comune, diverrebbe impossibile tra le intelligenze. Perciò la società non può abbandonare
le categorie al libero arbitrio dei singoli senza abbandonarvisi essa stessa. Per poter vivere, essa non ha soltanto bisogno di un certo grado di conformismo morale; essa non può fare a meno anche di un minimo di conformismo logico. Per questa ragione essa fa sentire tutta la sua autorità sui suoi membri per prevenire i dissidi. […] Per questo motivo, quando anche nel nostro intimo cerchiamo di liberarci da queste nozioni fondamentali, sentiamo che non siamo completamente liberi, che qualcosa ci oppone resistenza in noi e fuori di noi» (Durkheim, 1912, trad. it. 2005,
p.67). Ciò che è importantissimo studiare per l'EC è proprio il fatto che gli uomini in ogni istante della loro vita sociale si accordino, ed è compito dello scienziato capire quali competenze vengono usate e come. L'ordine sociale dipenderà anche da queste competenze e dalle modalità con cui si estrinsecano. Il giudizio morale durkheimiano, invece, è partecipe della stessa natura del sacro. Le cose morali durkheimiane sono incommensurabili,non sono oggetto di equivalenza fra di esse (Durkheim, 1996a). In realtà, per l'EC l'accordo è proprio il frutto della messa in equivalenza fra principi morali diversi. Dunque, vengono prese le distanze dall'eccesso di forza esplicativa che Durkheim attribuisce alla categoria come prodotto sociale totalmente autonomo rispetto al libero arbitrio individuale. Un conformismo logico che non lascerebbe spazio alla soggettività di essere analizzata come fattore rilevante nella produzione dell'agire sociale, e che invece trasformerebbe un altro dei suoi elementi, quello della volontà generale, in un dogma esplicativo universale. «Così,
nella sociologia di Durkheim, […] la conflazione riduttiva dei due livelli – quello dell'essere morale collettivo e quello dell'individuo – è implicata dal realismo sociologico dei fenomeni collettivi ed è accompagnata dalla metamorfosi di un principio di accordo (la volontà generale) in una legge che si applica a tutte le persone. Durkheim mette da parte tutte le difficoltà teoretiche sviluppando un sistema esplicativo basato sull'assunto che le persone (più o meno consciamente) internalizzino – come fattore cogente o determinante – il principio della filosofia politica che gli consente di entrare in relazione con gli altri e di raggiungere un accordo collettivo (Boltanski,
Thévenot, 2006 p.29)».
Allo stesso modo Boltanski e Thévenot sono molto critici nei confronti della prospettiva opposta, quella dell'individualismo metodologico. Una prospettiva che gli economisti in particolare elevano a modello esplicativo ed a-prioristico della realtà, postulando un'unica razionalità, quella utilitaristica, nella spiegazione del comportamento. L'interesse individuale finirebbe così per essere l'unico fattore che l'economia riconosce nella spiegazione dei fenomeni sociali. Una prospettiva sicuramente troppo restrittiva per comprenderne l'intrinseca complessità. «[Gli economisti] non
sono consapevoli del principio generale comune che è fissato nelle leggi positive che nascono dalla loro disciplina. Uno può riconoscere questo principio assoluto nella proprietà che gli attori economici condividono: loro sono guidati dall'interesse o dal bisogno. [In questo senso] i beni del mercato giocano nella legge economica esattamente lo stesso ruolo che la coscienza collettiva gioca nella sociologia di Durkheim» (Boltanski, Thévenot, 2006, p.30). Così, per i nostri autori,
sociologia ed economia sarebbero accomunate da uno stesso artificio concettuale, l'elevare a legge universale un principio analitico, che ne inficerebbe il livello di affidabilità scientifica: «[...]
possiamo riconoscere la stessa struttura di base (un principio generale convenzionale che tiene insieme le persone), lo stesso naturalismo centrato sulla stessa trasformazione (il principio generale che diventa una legge positiva), sia che il sistema esplicativo sia fondato sul fenomeno collettivo, sia sull'individualismo di mercato» (Boltanski, Thévenot, 2006, p.31).
L'aver smascherato l'artificiosità e la faziosità degli approcci collettivistici e meramente individualistici dell'azione, consente a Boltanski e Thévenot di recuperare la profondità esplicativa degli altri elementi che caratterizzano la realtà sociale. Ad esempio, grazie alla conoscenza del lavoro dello storico Edward P. Thompson, Boltanski è stato in grado di riconoscere l'importanza del legame esistente tra azione, strutture sociali e dimensioni culturali. Legame che lo storico americano ha felicemente sintetizzato nell'espressione economia morale. Egli infatti, dimostra attraverso la ricerca storiografica come i fenomeni di rivolta delle classi popolari nell'Inghilterra del '700 non fossero causate solamente dal bisogno o dall'interesse. Lungi dall'accostarsi al
riduzionismo economicistico, Thompson mostra invece come: «[...]queste rimostranze agivano
all'interno della concezione popolare che definiva la legittimità o l'illegittimità dei modi di esercitare il commercio, la molitura del frumento, la preparazione del pane, ecc. E che questa concezione a sua volta era radicata in una consolidata visione tradizionale degli obblighi e delle norme sociali, delle corrette funzioni economiche delle rispettive parti all'interno della comunità, che, nel loro insieme costituivano 'l'economia morale' del povero. Un'offesa contro questi principi morali, non meno di un effettivo stato di privazione, era l'incentivo abituale per un'azione immediata» (Thompson, 1981, in Borghi e Vitale, 2006, p.23).
Nella formazione del pensiero di Boltanski, l'importanza della componente culturale è rafforzata ed approfondita dall'attenzione verso gli insegnamenti di altri due grandi autori: Max Weber e Albert O. Hirschman. L'EC condivide con l'eredità weberiana importanti posizioni metodologiche. Infatti, come fa notare Gilles Raveaud (2008), Max Weber costituisce un significativo supporto per le teorizzazioni socio-economiche eterodosse, come l'EC. La metodologia weberiana richiede che l'azione sociale venga compresa attraverso l'interpretazione del senso dell'azione dal punto di vista soggettivo (verstehen), per poi spiegarne la causalità solo in un secondo momento (erklären). Perciò, la spiegazione diventa così intimamente connessa all'interpretazione scientifica che il ricercatore da delle vere intenzioni dell'attore. Un'altra affinità con l'eredità di Weber è rinvenibile nella similitudine tra i concetti di ideal-tipo e di convenzione (Diaz-Bone, 2011). Tuttavia, le convenzioni a cui l'EC si riferisce non sono una mera costruzione scientifica come l'ideal-tipo, ma una realtà oggettiva che caratterizza la logica con cui agiscono i soggetti. Per questo motivo, l'approccio distintivo tra cause e conseguenze tipico della spiegazione weberiana tende a sfumarsi nell'EC. «Non siamo soddisfatti, per esempio, dall'uso della nozione di
'legittimazione', che, nell'ottica del lavoro di Max Weber, tende a confondere la giustificazione con l'inganno rifiutando i limiti del coordinamento e richiamando un relativismo di valori» (Boltanski e
Thévenot, 2006, p.37). Nella critica mossa alla nozione weberiana di legittimità, che viene ridotta ad una legittimazione a posteriori di un rapporto di dominazione (Boltanski, 1990), è possibile capire come per l'EC l'interpretazione dell'attore non sia solo una conseguenza, ma al contempo anche una causa dell'azione. La critica a Weber si inserisce nella critica più generale al concetto di
spiegazione causale, che avrebbe contribuito a ridurre la ricerca della sfera morale a ad una
questione di etica. Il legame causale che intercorre tra i referenti dei fenomeni non è direttamente osservabile con i cinque sensi. Esso è una supposizione a cui si attribuisce un certo grado di plausibilità, cioè la capacità di essere giudicati più o meno convincenti (Marradi, 2007).66 questa
natura stipulativa ed astratta del concetto di causazione ci avrebbe mantenuti distanti dal riconoscere a fondo l'importanza della morale e dei giudizi degli attori nella spiegazione dell'azione sociale perché morale e giudizi non sono percepibili con i sensi. Questa impercettibilità ne ha automaticamente decretato la capitolazione difronte all'esigenza esplicativa dettata dall'imperativo dell'imputazione causale da ritrovare in elementi oggettivi e percepibili. L'EC prende posizione contro questo predominio del concetto di causazione e contro la riduzione dell'importanza della dimensione morale. In questo senso, la sociologia pragmatica di Boltanski invoca così nella fase analitica un approccio in cui causa ed effetto vengono considerate simultanee. Grazie a ciò viene riabilitata l'importanza scientifica del senso morale del soggetto, senza però rinnegare l'influenza di 66 La riflessione metodologica sul concetto di causazione a cui facciamo riferimento è quella operata dal metodologo Alberto Marradi che, a partire dall'analisi dei concetti weberiani di imputazione causale e di adeguata imputazione alle cause, fa notare come i nessi causali siano stabiliti nella sfera del linguaggio e del pensiero, non riguardano la sfera oggettiva dei referenti. La causazione sarebbe un'operazione creativa dell'uomo, dotata di una natura stipulativa, in cui con un operazione logica si sussume un asserto particolare in uno universale, trasformando la spiegazione in una esemplificazione. «Possiamo vedere il grosso autocarro che passa sopra il ponte, il ponte che crolla, l'ago della bilancia che indica il peso dell'autocarro […] Ma non possiamo percepire con alcuno dei cinque sensi il nesso causale che collega il passaggio dell'autocarro al crollo del ponte [e inoltre, citando Oppenheim (1975)] Quello di causazione non è un concetto osservativo neppure nel senso più largo, ma piuttosto una nozione altamente astratta» (Marradi, 2007, p.69).
forze a lui esterne. Piuttosto, Boltanski e Thévenot guardano alla situazione ed ai suoi fenomeni come ad uno spazio in cui si distribuiscono le cose, gli esseri umani e le categorie normative. Gli elementi che spiegano l'azione sono cosi intimamente connessi in un olismo metodico (Diaz-Bone, 2011) che vede la separazione analitica tra cause e conseguenze non come un dato oggettivo da studiare, ma come una costruzione a posteriori operata dallo studioso.
Proprio in quest'ottica, si inserisce il contributo mutuato dalla teoria dell'azione di un filosofo a cui Boltanski sarà sempre molto legato: Albert Hirschman. La sua prospettiva teorica si configura come 'sequenzialista', in quanto ritiene che l'agire umano si debba studiare scomponendolo in sequenze brevi e discontinue. Secondo Hirschman, all'interno di ogni sequenza gli attori ricercano delle forme di coordinamento che non sono però riconducibili esclusivamente alla tendenza a massimizzare il proprio potere nei confronti degli altri (Hirschman, 1982). Al contrario, ogni sequenza si presenta sostenuta da diversi criteri di coinvolgimento che determinano una pluralità di «regimi di azione», ciascuno caratterizzato da una sua «grammatica». Vedremo più avanti anche l'influenza terminologica che questo filosofo ha esercitato sullo sviluppo della sociologia pragmatica francese. Secondo Hirschman, le grammatiche coincidono con modelli complessi di regole d'azione che il ricercatore costruisce facendo astrazione dall'osservazione empirica, attraverso la comparazione di sequenze d'azione differenti, in cui gli attori ricercherebbero il coordinamento facendo riferimento a dei beni pubblici, cioè da tutti riconosciuti come portatori di un interesse super partes.67 Nel rispondere al quesito wittgensteiniano sul cosa significhi seguire una
regola, Hirschman e Boltanski si rendono conto non solo dell'esistenza di criteri comuni con cui le regole vengono interpretate, ma anche del fatto che questi possono essere metodologicamente individuati attraverso la comparazione tra azioni differenti presenti nella stessa situazione. La ricerca della contraddizione, come vedremo, diverrà un importante elemento nel metodo scientifico dell'EC per poter studiare la capacità interpretativa degli attori.
Grazie a tutte queste influenze, Boltanski e gli altri convenzionalisti sono stati in grado di distaccarsi progressivamente dall'originaria prospettiva di ricerca bourdieusiana. Una prospettiva accusata di essere troppo statica, maggiormente interessata allo studio del peso dei condizionamenti sociali che gli attori subiscono nella riproduzione delle loro traiettorie di vita. Infatti, nella sociologia di Bourdieu i processi di categorizzazione rispondono alla funzione di socializzare gli attori secondo esiti distribuiti e predeterminati dall'intersezione tra le disposizioni soggettive ed oggettive presenti nei campi (Bourdieu, 1980, trad.it. 2003). In questo modo, Bourdieu pone l'accento solo su uno degli aspetti delle categorie. L'elemento durkheimiano che gli interessa è il loro cristallizzarsi, il loro divenire sapere naturale agli occhi degli attori. Boltanski, invece, sottolinea l'importanza di considerare anche il processo di genesi storica e contingente delle categorie, interessandosi al loro aspetto non definitivo e situato. La prospettiva bourdieusiana non lascia molto margine d'azione ai soggetti, ipotizzando un'asimmetria totalizzante tra degli agenti che si illudono di essere liberi ed dei condizionamenti strutturali che invece li sottopongono ad un rapporto di dominio ed alienazione. In un intervista del 2006 Boltanski spiega come nella prospettiva bourdieusiana si trattasse: «d'insistere sul valore della scienza positiva come strumento
di svelamento per accedere alla verità nascosta dalla dominazione» (Vitale, Boltanski, 2006,
p.105). Boltanski fondamentalmente contesta a Bourdieu le restrizioni deterministiche poste dai concetti di campo e di habitus, oltre che alla postura assunta dal ricercatore nei confronti delle persone. Il perimetro euristico disegnato dalla nozione di habitus, intesto come schema mentale strutturato e strutturante (Bourdieu, 2003), e da quella di campo, visto come un arena dotata di logiche proprie e separate (Bourdieu, 2005), non lascia spazio all'incertezza e alla varianza, minando così il senso stesso della parola azione. Boltanski critica dunque l'idea che nei soggetti siano presenti delle strutture disposizionali acquisite che organizzano ed interpretano la realtà al posto loro, e che li portano ad agire sempre allo stesso modo, come dominati o dominanti. Boltanski 67 Cfr. A. Hirschman, Shifting Involvements. Private Interest and Public Action, Princeton University Press,
preferisce valorizzare il concetto euristico di situazione e, quindi, di tutti gli elementi, materiali ed immateriali in essa presenti. Il comportamento degli attori sociali non sarebbe così più influenzato solamente dalla loro origine sociale, ma anche dalla presenza di oggetti e di dispositivi irriducibili alla relazione dominanti-dominati. In questo modo, Boltanski sottolinea la plasticità e l'imprevedibilità dell'attore, mettendo in risalto le sue competenze ed attitudini nel rispondere e nell'adattarsi a situazioni deferenti. (Boltanski, Thévenot, 2006, p.32).
Anche se Bourdieu ha risposto alle critiche di determinismo che da più parti gli sono state rivolte spiegando come l'habitus e il campo in realtà possano concedere agli attori margini di libertà a seconda della presa di coscienza che questi operano nei confronti dei propri condizionamenti strutturali (Bourdieu, Wacquant, 1992), Boltanski vede un rischio troppo alto nella lettura forte e stringente dei risultati di una qualsiasi ricerca empirica che adotti lo struttural-costruttivismo del maestro. Il rischio è che una volta dimostrati i condizionamenti strutturali, il ricercatore sociale si ritenga soddisfatto e non decida di approfondire la conoscenza degli altri elementi presenti nella situazione e del loro funzionamento, perché posto in un distacco ontologico rispetto ai soggetti della sua indagine. Boltanski contesta così l'asimmetria fra il sociologo, detentore della verità, e le persone comuni, alienate da forze che non sarebbero in grado di vedere. Gli scienziati e le persone ordinarie, al contrario, essendo entrambi esseri umani e, quindi, utilizzando processi cognitivi naturalmente simili, avrebbero a disposizione la stessa cassetta degli attrezzi (Vitale, Boltanski, 2006). «Nella vita di tutti i giorni, le persone non sopprimo mai completamente le loro tensioni, e,
come gli scienziati, le persone ordinarie non smettono mai di sospettare, interrogarsi, e sottoporre la loro realtà a delle prove» (Boltanski, Thévenot, 2006, p.37). Il paragone tra lo status dello
scienziato e l'uomo comune, non vuole essere una provocazione o una semplicistica riduzione dei ruoli, ma la constatazione che, a volte, non prendiamo sul serio le logiche e le modalità con cui gli attori affrontano criticamente il mondo. Logiche che, a livello esplicativo, sono le stesse che applica lo scienziato e che, quindi, meritano di essere riconosciute e prese sul serio se si pretende di svolgere uno studio scientifico sul come sono fatti e sul come funzionano gli esseri umani in società.68 Probabilmente, quello che rende sconveniente l'epistemologia di Boltanski e Thévenot è il
loro mettere il dito nella piaga delle contraddizioni delle varie discipline, manifestandone ancora l'odierna incompiutezza. «Non esiste forse un gap primordiale tra la capacità umana di identificare
degli oggetti e lo stabilimento di leggi che le riguardano e che governano la loro comprensione reciproca? Se non mantenessimo questo gap, non ricadremmo in uno stato pre-scientifico della conoscenza, nel quale i valori ed i fatti sarebbero confusi in un unico ordine naturale? E questa confusione non ci condurrebbe necessariamente verso un auto-evidenza di un ordine perenne che esclude la questione dell'accordo, contraddicendo la realtà delle pluralità delle forme di accordo?»
(Boltanski, Thévenot, 2006, p.34). Qui non vi è la mera intenzione di rigettare le situazioni in cui l'accordo è dato per scontato o non necessario, ma si cerca piuttosto di riconoscere e valorizzare l'esistenza delle capacità che gli attori hanno di raggiungerlo. Se per Bourdieu il comportamento di un operaio che votasse un partito conservatore si spiegherebbe attraverso gli schemi mentali acquisiti in famiglia o la mancanza di un capitale culturale tale da farlo rendere conscio della sua condizione sociale, per Boltanski bisognerebbe considerare con attenzione anche le sue giustificazioni. Proprio per capire a quali convenzioni si rifà e da dove esse originino.
Da quanto detto, è possibile riconoscere un'affinità epistemica tra la postura dell'EC e la tradizione etnometodologica, la quale ricerca nella pratica delle situazioni quotidiane proprio quelle forme di riflessività comuni a ricercatore e ricercato. Tuttavia, per Boltanski, il limite dell'etnometodologia risiede nel focalizzare tutta la rilevanza esplicativa nell'immediatezza della situazione. Il rischio, spiega Boltanski, è quello di intendere i soggetti come dei cultural doped, cioè 68 Anche il metodologo Alberto Marradi, nel decostruire il concetto di spiegazione fa notare come il procedimento logico che spiega (la plausibilità con cui si accetta una stipulazione esplicativa, cioè il concetto di causa) è lo stesso impiegato sia dall'uomo comune che dal ricercatore. «[...] non ho fatto distinzioni fra conoscenza comune e conoscenza scientifica, perché a mio avviso quanto detto a proposito delle spiegazioni vale per entrambe le forme di conoscenza [...]» (Marradi, 2007, p.70).
determinanti o da forme incorporate alla Durkheim, o da forme esterne e circostanziali di riflessività che nascono di volta in volta (Boltanski, 1990). L'obiettivo di Boltanski, invece, è quello di cogliere anche le forme stabili di articolazione tra interessi, strategie e giustificazioni ed il legame che esse intrattengono con le istituzioni. D'altronde, «[...] uno dei modi di evitare una lettura
eccessivamente sbilanciata in senso micro-sociologico delle condizioni di coordinamento sociale e