Raccolta ed Analisi dei dat
L'ANALISI STANDARDIZZATA
1. Il concetto di rilevazione adottato in questa ricerca
Per il grande filosofo greco Platone, l'atto della misurazione segna la differenza tra il mondo informe e quello ordinato, tra ciò che non è comprensibile e ciò che può essere afferrato dai sensi umani. Senza poter operare confronti tra gli enti che lo circondano l'uomo non è in grado di conoscere la realtà, per questo motivo ogni tipo di associazione abbisogna di un equivalente, di un metro di paragone attraverso cui operare comparazioni. La misurazione è un particolare tipo di equivalenza che si serve della quantificazione numerica per effettuare un confronto tra oggetti che altrimenti risulterebbero irrelati. Tuttavia, nelle scienze sociali non abbiamo a che fare con oggetti ma con persone. In questo senso, il concetto di misurazione è stato spesso abusato e sopravvalutato in molte delle discipline umanistiche. Infatti, sulla scia delle scienze naturali e del positivismo, si è assistito ad una vera e propria idolatria per la misurazione (Pitrone, 2012). Spesso si è portati a sovrapporre la misurazione all'idea di scienza, producendo la convinzione mentale che misurare equivale a fare scienza. Marradi ci ricorda che del termine misurazione possiamo individuare due significati: la necessità di avere un'unità di misura ed il poter concepire le proprietà come un continuum (Marradi, 1981). In questo senso, siamo in grado di immaginare le proprietà dei soggetti umani come dei continua (siano esse qualità sociali come l'età o valoriali come il patriottismo), ma non potendo queste essere osservate direttamente, non è nemmeno possibile individuare delle unità di misura. L'assenza di una percezione direttamente afferrabile delle proprietà studiate da parte del ricercatore, rende l'atto della misurazione subordinato alla collaborazione dei soggetti studiati. Una collaborazione che per quanto organizzata e standardizzata sarà sempre sottoposta all'arbitrarietà dell'interpretazione individuale. Per questo motivo, più che di misurazione nelle scienze sociali sarebbe più corretto parlare della messa in opera di procedure di rilevazione di informazioni costruite tramite una definizione operativa (Ibidem). Le proprietà che il ricercatore vuole studiare sono costruzioni concettuali che vengono trasformate in variabili grazie ad una definizione operativa che ne sancisce i contorni semantici, affinché esse possano essere rilevate e comunicate, senza però rappresentare in assoluto quell'attributo o quella qualità. Per esempio, quando un sociologo studia la ricchezza o la religiosità di un gruppo di soggetti, egli tramite un certo tipo di procedure coglierà la ricchezza e la religiosità così come da lui (o dalla letteratura) definite. «Di
fondo, i ricercatori mostrano una forte ritrosia ad accettare e riconoscere i limiti gnoseologici che si devono affrontare nel fare ricerca sociale. Limiti che nascono sopratutto dal fatto che i dati che riusciamo a organizzare in matrice nascono dall'interazione tra le decisioni del ricercatore e la porzione di realtà che si investiga, di cui è parte attiva il soggetto indagato» (Pitrone, 2012, p.68).
Lo stesso economista von Hayek ci ricorda che in economia e in tutte le scienze che riguardano dei fenomeni complessi, «gli aspetti quantificabili sono necessariamente limitati e non sempre sono
quelli più rilevanti» (Hayek, 1989, op.cit. in Pitrone, 2012, p.69).
In questo senso, mettere in risalto le differenze tra le procedure delle scienze fisiche e quelle delle scienze umane non significa tuttavia voler rinunciare a esaminare i fenomeni sociali, ma piuttosto «esaltare quel tratto di umiltà e consapevolezza che è elemento costitutivo
dell'atteggiamento scientifico» (Ivi, p.63). Ed è da questa prospettiva che anche in questa ricerca ci
siamo affacciati a quell'universo della conoscenza che Corbetta ha definito paradigma post- positivista (Corbetta, 2003). In un ottica strettamente lazarsfeldiana, avremmo dovuto costruire delle affermazioni logiche da sottoporre a verifica empirica. In altre parole, avremmo dovuto
trasporre i concetti in definizioni operative, sottoponendone le ipotetiche relazioni ad un controllo intersoggettivo standardizzato grazie a delle tecniche statistiche assodate. In realtà, in continuità con le finalità esplorative di questo percorso di ricerca, non solo ci siamo sentiti liberi di scegliere le proprietà più rilevanti, ma le abbiamo rilevate cercando di non assoggettarci al mito della misurazione. Ci troviamo così in accordo con la Pitrone sull'uso del termine 'rilevazione' come espressione utile a denominare tutte le operazioni necessarie a raccogliere gli stati dei soggetti e raccoglierli in una matrice di dati CxV (Pitrone, 2012). Dunque, l'intento di questo capitolo è quello di esporre le procedure che sono state seguite per rilevare la presenza di una possibile correlazione tra alcune proprietà sociali e cognitive da noi ritenute interessanti, ed altre proprietà soggettive afferenti il senso morale del mondo comune della redistribuzione, così come finora emerso. L'idea perciò è di cercare di individuare delle possibili correlazioni tra elementi appartenenti alla stessa natura oggettiva (condizioni sociali e fattori materiali o meccanismi cognitivi), e quelli invece riguardanti il senso morale legato ai due tipi di ordini di grandezze delineatesi durante l'analisi testuale (forme elementari di reciprocità ed approccio antropologico).
Dunque, i concetti morali presi in considerazione sono stati intesi come attributi variabili delle unità di analisi. Questi attributi sono stati operativizzati in indicatori dimensionali che concernono gli atteggiamenti morali dei soggetti analizzati in riguardo al mondo comune della redistribuzione. Infatti, se per atteggiamento intendiamo la readiness for response: «[...] una predisposizione ad
avere un determinato comportamento, a rispondere in un modo particolare verso un attitude object» (Fazzi, 2012), ci rendiamo conto di quanto questo sia assimilabile al senso morale in quanto
forma di razionalità inerente relazioni dotate di valore. Il senso morale che abbiamo indagato finora, non è altro che quella particolare disposizione verso l'interazione con l'Altro generalizzato, che si basa su dei principi di giustizia e sulle convenzioni che li articolano per risolvere ed indirizzare il coordinamento sociale. Lo stato morale interiore del soggetto richiama così la sua particolare inclinazione verso l'Altro, il tipo di attitudine che lo predispone all'azione sociale in un modo piuttosto che in un altro. Il processo morale con cui questa attitudine prende forma e muta è perciò assimilabile, in un ottica standardizzata, alla rilevazione degli atteggiamenti in un dato momento e contesto. In questo senso, ci sentiamo più vicini ad una concezione di atteggiamento di stampo costruttivista che behaviourista, per cui ognuno di noi «forma al momento i suoi giudizi basandosi
sugli elementi di volta in volta resi accessibili dalla situazione [...]» (Pitrone, Pavsic, 2003, op.cit.
in Fazzi, 2012, p.82). Le persone hanno a disposizione non indoli o attitudini pre-esistenti (habitus), ma una serie di informazioni morali e non (materiali-situazionali ad esempio) a cui attingere per formare, di volta in volta, valutazioni contingenti. La stabilizzazione degli atteggiamenti e, dunque, del senso morale concernente un determinato campo o mondo comune, avviene quando sono disponibili in momenti diversi sempre le stesse informazioni o input simili (Fazzi, 2012). Gli elementi a cui di volta in volta i soggetti possono attingere durante un'esperienza morale sono sia immateriali (principi e convenzioni), sia materiali, cioè legati alla situazione (soggetti, oggetti, dispositivi, risorse, ecc.). Inoltre, possiamo legittimamente supporre che le informazioni disponibili al soggetto durante il processo morale non riguardino solamente l'hic et nunc della situazione, ma si estendano nello spazio e nel tempo, richiamando gli elementi materiali ed immateriali che hanno contraddistinto la sua vita. Ad esempio, nella valutazione del peso giocato nel processo morale da una condizione materiale come una buona sicurezza lavorativa, non possiamo non tenere conto della traiettoria di vita del soggetto e, quindi, cercare di capire che peso ha avuto la sicurezza del reddito e del lavoro prima della nostra rilevazione, finanche nell'ambiente familiare di provenienza. È possibile fare lo stesso discorso con i fattori immateriali. Il background esperienziale o familiare di principi di giustizia e convenzioni è strettamente connesso a quello rilevato nel momento dell'indagine, e gioca un ruolo importante nella comprensione del senso morale presente.
Da questa prospettiva, è stato necessario tradurre gli atteggiamenti, intesi come concetti complessi, in concetti più semplici che ci permettessero di rilevarli sui soggetti: le opinioni. Spesso i termini opinione ed atteggiamento vengono usati come sinonimi, intendendo l'opinione come la
manifestazione pubblica e diretta dello stato interiore soggettivo. Ovviamente, ad uno sguardo critico non può sfuggire l'asimmetria tra la corrispondenza di ciò che si dichiara (opinione) e ciò che si pensa (atteggiamento o senso morale). Molti sono i fattori che influiscono sulle dichiarazioni degli intervistati (basti pensare alla trappola della desiderabilità sociale delle risposte), e non sempre essi sono in grado di attingere al proprio stato interiore verbalizzandolo (Niero, 2005, Fazzi, 2012). Il campo degli atteggiamenti è il più difficile da esplorare poiché essi sono spesso complessi e multidimensionali, o riguardano motivazioni implicite al soggetto stesso (Corbetta, 2003). Perciò, le domande sugli atteggiamenti e sul senso morale che incarnano sono tra le più difficili da formulare, per questo soffrono più di altre dell'influenza degli schemi mentali del ricercatore (Pitrone, 2009, op.cit. in Fazzi, 2012). Tuttavia, siccome non abbiamo finalità nomotetiche e non partiamo da ipotesi precise di indagine, possiamo aggirare questa criticità epistemica riaffermando l'intendo di condurre un'esplorazione dell'eventuale correlazione tra elementi materiali ed immateriali nello studio del senso morale. Future indagini più accurate però, dovranno tenere in considerazione il delicato rapporto tra atteggiamento ed opinione, prendendo tutti gli accorgimenti metodologici necessari per ridurre al minimo la distanza tra concetti generali e loro operativizzazione. In questa sede, ci basta perciò aderire alla prospettiva empirica suggerita dal Corbetta: «[...] l'unità di analisi
è l'individuo, il concetto generale è un atteggiamento e i concetti specifici sono delle opinioni. […] L'atteggiamento è dunque una credenza di fondo non rilevabile direttamente, mentre l'opinione è uno dei modi con cui essa emerge alla superficie, ne è cioè un'espressione empiricamente rilevabile. Nella nostra terminologia potremmo dire che l'atteggiamento è il concetto generale, le opinioni ne sono gli indicatori» (Corbetta, 2003, pp.212-213). Dunque, è proprio su questo rapporto
di generalità che la nostra inchiesta morale si è basata per sondare la presenza di eventuali correlazioni tra alcuni elementi immateriali e materiali che pesano sul processo morale, relativamente al mondo comune della redistribuzione della ricchezza.