Raccolta ed Analisi dei dat
Capitolo 8 ANALISI TESTUALE
7. Il trinomio lavoro, denaro e reciprocità: il 'come se' emerso dal laboratorio
Ebbene, siccome il lavoro comunemente inteso come fatica in cambio di denaro è solo una delle possibili forme che nella nostra modernità la relazione materiale dare/avere tra più individui
può assumere, possiamo dedurne che nel momento in cui la componente economica del denaro venga meno, anche il concetto di lavoro subisca una traslazione semantica. In effetti, può sembrare scontato, ma l'essenza e l'esistenza di una comune concezione materiale del lavoro riposa su di un assunto implicito che viene dato per scontato: una forma di reciprocità tra individui ci deve essere. Ed il dovere del lavoro può essere visto come una delle modalità attraverso cui instaurare un vincolo di reciprocità all'interno della più generale divisione del lavoro sociale. Il laboratorio Mag6, tuttavia, ha creato un particolare gioco sperimentale nelle menti dei suoi partecipanti in cui ha costruito nelle loro menti un potente “come se”, che ricorda il concetto di gioco profondo di Geertz (Geertz, 1987). Costruzione che è stata possibile grazie a certi fattori oggettivi che abbiamo messo in luce e, sopratutto, grazie alla componente pratica della sperimentazione. Lungi dal produrre un raffronto improprio tra i meccanismi e le funzioni della forma rituale così come studiata da Geertz, crediamo però sia importante evidenziare come l'aver giocato sul serio a fare i policy makers, abbia dato vita ad una situazione di prova che non ci predica qualcosa direttamente, ma che piuttosto ci
dice qualcosa di qualcosa. Infatti, come il gioco profondo geertziano, essa non ci dice quello che
accade, ma quello che accadrebbe se (Ibidem).
“Ciò che considero ancora più importante, è il pensare 'come se' ci sia il reddito di esistenza, cioè ritenerlo proprio possibile e da questo punto di vista rivedere la propria vita. Pensare 'come se' non è solo qualcosa di mentale, una fantasia fine a sé stessa, al contrario: è un processo che mi coinvolge a livello emotivo ed anche in azioni pratiche quotidiane.” (Licia), R4
Che cosa accadrebbe nella realtà di tutti i giorni se l'elemento denaro fosse disgiunto dalle componenti della necessità e dell'obbligatorietà, che connotano la forma di scambio oggi moralmente dominante nella nostra dimensione pubblica, cioè il lavoro? Nel tentativo di rispondere a questa domanda, siamo portati a ritenere che l'analisi grammaticale abbia fatto emergere l'esistenza di due ordini morali, che ci hanno mostrato la forma profonda di relazione sociale connessa al mondo della redistribuzione materiale: l'esigenza di una reciprocità. Del resto, sono i nostri stessi attori che sentono il bisogno di avere un qualsiasi tipo di ritorno dal potenziale beneficiario (vd. grammatica morale del momento T0). Rimandando al prossimo paragrafo la nostra
interpretazione sul perché esista negli attori studiati questa esigenza, a partire dall'analisi della semantica degli ordini di grandezze di cui si servono, riteniamo importante ripercorrere brevemente ciò che in letteratura è già noto sul legame denaro-reciprocità Questo per sostenere come l'esigenza di una forma di reciprocazione, che qui emerge dallo studio del senso morale, trovi una conferma nell'analisi socio-antropologica sugli aspetti simbolico-culturali del denaro. Ed essendo il RdE l'oggetto centrale nella nostra prova e del nostro affaire, il motore di tutta questa esperienza, non è possibile sottovalutare il ruolo che la sua componente materiale (il denaro) ha giocato su quella morale (i criteri di giustizia dell'incondizionalità e dell'universalità). Dallo studio culturale del denaro emergono sostanzialmente due paradigmi: l'analisi del denaro come merce nello scambio economico (currency/commodity); e lo studio del denaro come relazione sociale (bond) di debito/credito (Martignani, 2009). Molti sono i classici della sociologia (da Marx a Weber, da Simmel a Pareto) che hanno preso in considerazione le funzioni e le peculiarità simboliche e comunicative del denaro. Tuttavia, mentre alcuni autori come Marx e Weber, si sono concentrati sulle sue caratteristiche di medium all'interno del sistema economico; altri come Simmel hanno cercato di metterne in risalto la sua funzione di simbolo sociale. «Uno dei più rilevanti progressi
dell'umanità […] consiste nell'aver stabilito una proporzione tra due grandezze non più in termini di confronto diretto, ma ponendo ogni singola grandezza in rapporto con una terza e considerando le due frazioni ottenute come eguali o diseguali.» (Simmel, 1900, trad. it. 1984, p.218). Simmel è
l'autore che prima di tutti ha messo in luce l'importanza delle caratteristiche extra-economiche del denaro, come elemento incardinato nei processi di riproduzione del sociale anche dopo la frattura operata dalla modernità. Egli individua nella fiducia l'elemento centrale del denaro, inteso come
quel codice astratto che consente la comunicazione e l''integrazione tra le molteplicità di cerchie sociali presenti nelle società altamente differenziate. La sua impersonalità e la sua fungibilità lo rendono il mezzo principale con cui si è trasferita la fiducia verso l'Altro dall'interazione diretta (comunitaria direbbe Tönnies), all'impersonalità, all'Altro generalizzato. «Non soltanto l'economia
monetaria, ma qualsiasi economia poggia su tale fiducia […] Anche il credito economico contiene in molti casi un elemento di questa meta-teorica e lo stesso si verifica nella fiducia che la comunità nel suo complesso ci garantirà controvalori concreti in cambio di segni simbolici con i quali abbiamo scambiato i prodotti del nostro lavoro» (Simmel, 1900, trad. it. 1984, p. 264).
Il denaro è visto come tertium datur, cioè come trasfigurazione della società impersonalizzata, anche da altri importanti autori contemporanei come Coser, Luhmann ed Ingham (Martignani, 2009). Per questi autori, in accordo con Simmel, il possesso di denaro rappresenta la fiducia nella società e nel suo ordine sociale (e, quindi, anche morale). «La sensazione di sicurezza personale
data dal possesso di denaro è forse la forma e l'espressione più intensa e acuta della fiducia nell'organizzazione dello Stato e nell'ordine sociale.» (Ibidem). Anche Luhmann dalla sua
prospettiva funzionalista e sistemica afferma come: «Chiunque abbia fiducia nella stabilità del
valore del denaro e nella continuità di una molteplicità di opportunità di spenderlo, parte sostanzialmente dal presupposto che un sistema funzioni […] Quando la fiducia nel denaro è istituzionalizzata […] viene a crearsi una specie di equivalente della certezza» (Luhmann, 2002,
pp.76-77, op. cit. in Martignani, 2009, p.54). Nel prossimo paragrafo non solo vedremo come la questione della fiducia sia stata essenziale anche per i nostri attori, ma anche in che modo questa si leghi ad un particolare tipo di ordine morale nel mondo comune della redistribuzione. A questo proposito, ci resta da rintracciare nella letteratura l'attendibilità di un altro aspetto del denaro che è emerso dall'analisi della sperimentazione sull'RdE. Infatti, il denaro di cui ci stiamo occupando non è un denaro qualsiasi, ma un oggetto ab-solutus, sciolto cioè da ogni vincolo ed elargito come
diritto. L'assenza della dimensione dell'obbligatorietà richiama il concetto di dono (Mauss, 1924).
L'atto del dono ha una grande importanza sia per chi da, sia per chi riceve; infatti, è la forma attraverso cui si stabilisce un legame tra persone che contribuisce a marcarne l'identità (Maniscalco, 2002). Gli studi sul dono hanno chiaramente dimostrato che il carattere vincolante della reciprocità non fosse legato a questioni di scambio commerciale (così come è stato confermato dalle opere di Lévi-Strauss e Polanyi), ma fosse piuttosto connesso all'aspetto simbolico e sociale. Il dono è infatti un simbolo che attraverso la sua circolazione serve all'affermazione della propria identità e del proprio prestigio all'interno di una interazione sociale. Insomma, il modo attraverso cui far riconoscere l'importanza della propria esistenza all'Altro. Il dono è però una forma dinamica di relazione, infatti, la presenza di un obbligo di contropartita fa si che «Chi non ricambia subisce una
perdita di status o l'ostilità di quanti sono coinvolti nella relazione» (Maniscalco, 2002, p.14).
Anche Titmuss nello studio delle politiche sociali parla di paradigma del dono, riferendosi alle pratiche umane che si pongono come distintive della sfera sociale rispetto a quella economica (Titmuss, 1974). Attraverso l'atto del donare i cittadini esprimono il loro interesse ed il loro impegno verso la comunità. Vedremo in seguito come per Titmuss l'idea di dono vada oltre la necessità del controdono. Per ora, osserviamo come trovi conferma la potenza dell'oggetto denaro nel giocare un ruolo determinate per la costruzione di relazioni naturalizzate di maggiore o minore grandezza, a seconda del tipo di reciprocità richiesta dall'ordine sociale (e morale) vigente. Come detto, questa richiesta altro non è che l'investment formula a cui i soggetti sono sottoposti durante la prova. Nel nostro caso, abbiamo visto l'importanza per gli attori del fatto che inizialmente l'investment formula ed il tipo di relazione naturalizzata nei confronti del futuro beneficiario dipendessero dall'esistenza o meno di una qualsiasi forma di reciprocazione. In questo senso, possiamo notare una sostanziale vicinanza esplicativa tra il ruolo che l'investment formula gioca nel produrre un certo tipo di relazioni naturalizzate e, quello delle forze magiche di cui la letteratura ci parla (hau e mana). Infatti, presso le popolazioni primitive gli oggetti non solo erano personalizzati, ma possedevano una speciale energia sociale che trasmetteva o toglieva precisi significati simbolici
e status sociali (Mauss, 1991). Tuttavia, il paradigma del dono non è sufficiente per comprendere e descrivere appieno tutti i significati profondi che l'oggetto RdE ha fatto emergere durante la prova. Infatti, ci troviamo qui all'interno di un mondo comune ben preciso, quello della redistribuzione, in cui l'elemento materiale della necessità e della divisione del lavoro sono costitutivi. Invece, il classico modello sociale del dono è fondamentalmente legato a bisogni non primari, quali la socialità e l'integrazione sociale (Caillé, 1998, Maniscalco, 2002). Bisogni che anche nelle nostre testimonianze possiamo considerare come effetti assolutamente secondari.
Di particolare interesse, invece, per l'interpretazione che daremo sul perché si manifesti il bisogno della reciprocità nei nostri attori come forma relazionale originale, nel momento in cui il vincolo coattivo del denaro viene meno, risultano alcuni studi sull'origine della moneta. La moneta, infatti, da sempre ha svolto un importante ruolo nella gerarchizzazione non solo dei beni materiali, ma anche degli individui e dei gruppi (Maniscalco, 2002).110 Infatti, nel corso dello sviluppo delle
civiltà sembrerebbe che la comparsa di forme di denaro con la funzione di scambio sia emersa solo in un secondo tempo; «lo scopo iniziale del denaro non sarebbe stato economico e commerciale
[...]» (Ivi, p.20). Secondo un'affascinante teoria antropologica (Rospabé, 1995, in Maniscalco,
2002) la moneta come oggetto sociale sarebbe emersa prima di tutto come mezzo di pagamento del
debito primordiale. Questo debito consiste nella simbolica restituzione di un credito che le potenze
cosmiche (la natura, gli idei, ecc.) vanterebbero nei confronti dell'uomo per avergli dato la vita. La moneta giocherebbe il ruolo simbolico di sostituto delle risorse naturali (animali, beni materiali, persone, ecc.) all'interno dei rituali e degli ordini sacrificali. «Il sacrificio è una sorta di transazione
con la divinità, la cui stabilizzazione quantitativa da parte dei ministri del culto diviene un valore fisso; l'offerta, l'animale sacrificale si trasforma in un mezzo legale di pagamento» (Ivi, p.20). Da
questo punto di vista, risultano molto interessanti tutti quegli studi che rinvengono l'origine della moneta e del denaro, non nel mercato, ma nella sfera del sacro e del religioso (Cfr. Desmonde, 1962, Lhȏte, 1998, in Maniscalco, 2002). In particolare, Berking rintraccia nella moneta il mezzo oggettivo attraverso cui sarebbe avvenuto il passaggio tra la dimensione sacrificale e quella secolare, tra l'economia religiosa e quella politica. Questo autore mette infatti in rilievo un particolare elemento di nostro interesse: «L'emergere della moneta come concretizzazione
universale di forme astratte di pagamento è basata anche sul sacrificio o sulla distribuzione della sua vittima sacrificale [...]» (Berking, 1999, p.70, op. cit. in Maniscalco, 2002). Secondo questa
prospettiva, la distribuzione del cibo sacrale, cioè della carne della vittima (di cui facciamo notare solo in forma di accenno il parallelo con le attuali religioni monoteistiche) avrebbe rappresentato una delle prime forme di circolazione di beni. Questa sorta di primordiale codificazione della redistribuzione viene connessa anche al significato etimologico del termine moneta. Infatti, il vocabolo greco nomisma (moneta) deriva dal lemma nomos (la legge che regola la struttura e l'ordine nella polis), il quale a sua volta condividerebbe la stessa radice poli-semantica del verbo
nemein (di cui la dea Nemesi rappresenta la trasfigurazione antropomorfa) che infatti significa 1- distribuire, 2- prendere, 3- produrre (Cfr. Desmonde, 1962, in Maniscalco, 2002). Sebbene
l'etimologia non sia univoca, quello che vogliamo sottolineare in accordo alle teorie del debito primordiale è la rilevanza della comune dimensione materiale, che contraddistingue tutti e tre i diversi significati del termine moneta. Una materialità che, lungi dal costituire una spiegazione unitaria sull'origine della moneta moderna, rappresenta tuttavia un'interessante forma primitiva in cui rintracciare il senso profondo del bisogno di reciprocità appartenente al mondo comune della redistribuzione emerso attraverso il 'come se' del Reddito di Esistenza.
110Gli studi sulle paleomonete, come quelli di Einzig (1966), mostrano come già in epoca pre- e proto-storica le conchiglie ed altri elementi naturali fossero usati come oggetto-moneta. Tra i più noti ricordiamo le conchiglie cauri del Pacifico o i semi di cacao dell'America del Sud dei Maya (Maniscalco, 2002).