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L‘approccio delle affordance

Capitolo 2. YouTube: partecipazione, fama e relazioni nella video cultura digitale

5. Generi di UGC e generi della fama su YouTube

6.1 L‘approccio delle affordance

―mettere a disposizione‖) sono aspetti funzionali e relazionali di un apparato tecnico, che inquadrano, senza determinare, le possibilità di azione rivolte a un oggetto (Hutchby 2001). Esse sono funzionali nel senso che vincolano – nel doppio significato di permettere e restringere – le interazioni attuabili fra artefatto e utente, e relazionali nel senso che esse diventano percepibili a partire dalle interazioni stesse e quindi contingentemente alla dotazione senso- motoria dell‘utilizzatore. Le affordance di un utensile come un cacciavite, ad esempio, sono legate ai suoi aspetti materiali, i quali però emergono in base a certe caratteristiche corporee, percettive e culturali: la sua materialità permette a chi possiede una mano prensile, di essere usato per svitare una vite o per grattarsi la testa; non c‘è quindi un solo utilizzo iscritto nella sua composizione, ma allo stesso tempo esistono degli utilizzi che gli sono totalmente preclusi, come ad esempio, l‘essere impiegato per raccogliere della minestra al pari di un cucchiaio.

Il termine affordance è stato coniato da James Gibson (1979) all‘interno dei suoi lavori sulla psicologia della percezione. Per Gibson ogni organismo si orienta agli oggetti presenti nel mondo in base alle possibilità che questi offrono all‘azione. Per l‘animale, cioè, l‘ambiente non è percepito primariamente in termini di forme, colori o superfici, ma per mezzo delle ―azioni possibili‖: l‘albero manifesta la sua ―arrampicabilità‖ alle specie che possiedono un apparato senso-motorio che permetta di scalarlo; l‘albero offre quindi a diverse specie diverse opportunità di interazione o affordance. Allo stesso tempo, sostiene Gibson, l‘affordance non cambia liberamente a seconda del bisogno dell‘organismo, così come la commestibilità di una sostanza non muta al variare della fame dell‘animale: ―The observer may or may not perceive or attend to the affordance, according to his needs, but the affordance, being invariant, is always there to be perceived‖ (Gibson 1979, p. 130). Nella concettualizzazione di Gibson l‘affordance è sia persistente che non-univoca: persistente perché è una facoltà che sopravvive alla singola interazione, non-univoca perché non costituisce un‘essenza uguale a se stessa, in quanto ogni interazione la specifica in maniera differente seppur vincolata.

L‘approccio delle affordance è stato popolarizzato nello studio degli artefatti da Donald Norman in The Psychology of Everyday Things (1988), in cui lo psicologo statunitense usa tale termine per indicare come le scelte di design evidenzino una determinata possibilità di interazione rispetto a un‘altra. Egli distingue fra le affordance reali, ciò che l‘oggetto permette di fare, e le affordance percepite, ossia le operazione che l‘utilizzatore percepisce come consentite. Il buon design, secondo Norman, è quello che assottiglia il confine fra le due, rendendo direttamente comprensibile agli utenti l‘azione preferenziale permessa dall‘oggetto.

Ian Hutchby (2001) ricorre invece al concetto di affordance per indicare una terza via fra il determinismo tecnologico e gli approcci afferenti al social shaping of technology (Grint, Woolgar 1997). Se i primi concorrono a delineare delle caratteristiche intrinseche agli artefatti tecnologici che strutturano univocamente gli usi sociali, come l‘idea di Internet quale agente di rottura delle barriere fra nazioni (Friedman 2003), i secondi non riconoscono alcuna caratteristica propria dell‘oggetto tecnico che non sia frutto di un processo interpretativo dell‘uomo. Quest‘ultima posizione è ad esempio quella seguita da Grint e Woolgar (1997), per

cui la tecnologia è né più né meno che un testo, che i produttori ―scrivono‖ con in mente delle letture preferenziali, ma che viene ―letto‖ dagli utenti nella maniera che meglio si allinea ai propri obiettivi. Ad esempio la tecnologia del telefono è stata messa sul mercato con l‘obiettivo di aiutare gli uomini nelle transazioni commerciali e le donne nelle gestione delle faccende domestiche. Dopo che queste ultime hanno però cominciato a leggerla come strumento per la socialità, i produttori hanno ricompreso tale utilizzo nelle proprie strategie di progettazione e vendita. Grint e Woolgar riconoscono in parte che gli artefatti possiedono una propria materialità che influenza gli usi, ma sostengono comunque come le traiettorie evolutive delle tecnologie e i loro effetti sulla società siano prodotti delle interpretazioni di utenti e produttori. Hutchby (2001) critica i limiti di tale impostazione, sostenendo come i set di interpretazioni possibili non dipendano soltanto dagli attori umani, ma siano resi disponibili sulla base delle

affordance possedute dalla materialità degli oggetti. Per quanto un aeroplano possa trasportare

bombe, merci o persone, e un telefono possa essere usato per avere notizie sulla borsa o per chiacchierare con i propri affetti, l‘aeroplano e il telefono non offrono lo stesso range di interpretazioni. Comprendere invece le tecnologie in termini di vincoli materiali, non solo non sminuisce la questione delle rappresentazioni, ma anzi la rende più rilevante. Come sottolinea Hutchby, prendendo in considerazione il fatto che diversi artefatti possiedono diverse

affordance, è possibile soppesare la forza delle successive riconfigurazioni. Prendiamo ad

esempio proprio YouTube. Come avanzano Burgess e Green (2009) malgrado il brand YouTube faccia una notevole uso della retorica della ―community‖, l‘architettura e il design del sito invitano a un tipo di partecipazione individuale piuttosto che collaborativo. Le opportunità di collaborazione fra youtuber devono essere messe in campo dagli utenti stessi o da iniziative speciali coadiuvate dall‘azienda, da soggetti esterni come i network multi canale. La piattaforma in sé non fornisce alcun particolare strumento per costruire video insieme, per correggerne collettivamente i difetti prima della pubblicazione o per facilitare l‘utilizzo di parti di video di altri utenti che lo consentono. Ciononostante le collaborazioni fra vloggger, videomaker e

gamer, sono all‘ordine del giorno, soprattutto all‘interno della community dei poopers.

Utilizzando la lente del social shaping of technology, YouTube risulterebbe come una piattaforma neutra in attesa di connotazioni, per cui gli intenti collaborativi si sono trovati ad un certo punto a divenire una delle sue interpretazioni più forti. Ciò non è errato, ma l‘approccio delle affordance permette di andare più in profondità: l‘aspetto collaborativo è diventato centrale fra gli YouTuber nonostante le affordance del sito non lo favorissero, dovendo quindi ricorrere a tecnologie esterne – gruppi Facebook, forum, wiki – celebrando al contempo l‘identità di YouTube come comunità di pratiche. Il fatto che la collaborazione sia venuta in primo piano malgrado la ritrosia del substrato materiale della piattaforma, indica l‘esistenza di altre forze in azione, come l‘inserirsi di YouTube su preesistenti tradizioni legate alle logiche di produzione mediale do-it-yourself (Jenkins 2009), o il fatto che le neo-celebrità del sito abbiano iniziato a usare la piattaforma in modalità conversazionale.

esse sono: 1) la visione collettiva, 2) l‘evidenziamento, 3) la community e 4) il collasso dei contesti.

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