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YouTube e la cultura partecipativa

Capitolo 2. YouTube: partecipazione, fama e relazioni nella video cultura digitale

3. Il deposito, il canale e la video star: l’evoluzione di YouTube in tre metafore

3.1 YouTube e la cultura partecipativa

Come per tutti i social media le caratteristiche di YouTube sono in continua evoluzione. Nuove funzionalità, design e impostazioni vengono aggiunte mensilmente. Tuttavia, a

15 <http://www.Internetlivestats.com/Internet-users/italy/> 16 <http://vincos.it/2015/07/02/i-siti-video-preferiti-dagli-italiani/> 17 <http://www.webnews.it/2014/06/06/youtube-e-le-nuove-opportunita-per-i-brand/> 18 Ibidem

differenza di un SNS come Facebook, che dalla sua nascita si è assestato abbastanza velocemente sulla funzione di amplificatore delle reti sociali offline, i connotati di YouTube rimangono più laschi. Esso si differenzia a seconda di una vasta varietà di dispositivi, utilizzi, pubblici e stakeholder, per cui vi convivono tranquillamente dualità come quella fra contenuti prodotti dagli utenti e contenuti di seconda distribuzione provenienti da media tradizionali, quella fra un uso di seconda televisione e un uso di piattaforma sociale, fra spirito amatoriale e monetizzazione, fra facilità di partecipazione e nuove forme di gerarchia basate su gorghi auto- alimentanti di visibilità.

YouTube ha rappresentato senza dubbio uno degli esempi più emblematici del web partecipativo. Tramite l‘enfasi sull‘accessibilità dell‘utilizzo, l‘orientamento alla condivisione e il ruolo centrale svolto dall‘utente, la piattaforma ha contribuito a definire i caratteri essenziali di una etichetta inizialmente fosca come ―Web 2.0‖. Essa ha fornito inoltre un‘attualizzazione visibile di quella che Henry Jenkins tratteggia in via potenziale come una cultura partecipativa, ossia come «cultura nella quale i fan e altri consumatori sono invitati a partecipare attivamente alla creazione e alla circolazione di nuovi contenuti» (Jenkins 2007, p. 354). YouTube è infatti composto da numerose operazioni dal carattere partecipativo. Le più esplicite richiedono un tipo di partecipazione deliberata dell‘utente, come il caricamento dei video, il commento, il tagging e la segnalazione dei contenuti non appropriati. Come però segnalano Kessler e Schäfer (2009), esiste anche un livello di partecipazione "implicito", costituito dagli atti di fruizione, i quali, al di là delle intenzioni, strutturano il database dei video:

Ogni interazione con il sito YouTube lascia una traccia nel sistema e diviene quindi una registrazione rilevante per le statistiche che possono essere lette come indicatori di ―popolarità‖. Tali atti di ―partecipazone implicita‖, dei quali molti utenti sono probabilmente inconsapevoli, costituiscono in realtà lo scheletro dell‘intera impresa. La partecipazione, in altre parole, è implementata nel design stesso del software (Kessler, Schäfer 2009, p. 285, traduzione mia).

In tal senso il pubblico di YouTube si avvicina alle figure del prosumer (Toffler 1987, Bartoletti 2009, Boccia Artieri 2012), del creatore diffuso (Gemini 2009) o del produser avanzata da Bruns (2008), ossia quel tipo di utente produttivo che partecipa alla messa in forma della conoscenza condivisa «regardless of whether they are aware of this role» (Bruns 2008, p. 2). Tale apertura di YouTube verso la partecipazione dell‘utente ha dato adito a posizioni contrastanti: da una lato essa è intesa nelle sue potenzialità di sviluppare una nuova cultura popolare connessa, dall‘altro è avversata aspramente quale amplificatore di un dilettantismo privo di meriti.

John Hartley (2009) difende ad esempio il primo punto, sostenendo come YouTube segni un‘estensione quasi-universale della funzione bardica svolta in precedenza dalla televisione. La locuzione ―funzione bardica‖ è stata coniata da Hartley e Fiske (1978), per indicare il ruolo svolto dalla televisione di mediatore fra le istanze della vita sociale e il repertorio di storie, simboli e valori condivisi dai membri della comunità. Se lo sviluppo dell‘industria culturale di massa ha partizionato la capacità umana di narrazione fra i milioni che leggono e le poche

centinaia che scrivono, ora «YouTube allows everyone to perform their own ―bardic function‖. Just grab a harp and sing!» (Hartley 2009, p. 133). Ciò comporta secondo Hartley una interazione positiva fra i generatori simbolici industriali di stampo top-down e i significati

bottom-up prodotti dagli utenti, la quale allarga la produttività generale del sistema della

conoscenza.

Fra le posizioni critiche invece, il cyber-scettico Andrew Keen, si esprime senza mezzi termini rispetto a YouTube dichiarando: «Nothing seems too prosaic or narcissistic for these videographer monkeys. The site is an infinite gallery of amateur movies showing poor fools dancing, singing, eating, washing, shopping, driving, cleaning, sleeping, or just staring into their computers» (Keen 2007, p. 5). In maniera più pacata, ma comunque critica, anche Geert Lovink (2012) ha sostenuto come l‘estetica amatoriale di YouTube non abbia prodotto risultati rilevanti, rimanendo invischiata nella sterile logica stilistica dell‘home video trasposto alla tv:

La scarsa qualità dei video più popolari su YouTube indica con certezza che questa piattaforma non è un terreno fertile per l‘estetica innovativa e finora non ci sono prove di una svolta dialettica dalla quantità alla qualità. È giunta l‘ora di lasciarsi alle spalle il ―reality video‖, che è il livello da candid camera della televisione-spettacolo, per passare a forme nuove e inesplorate di cultura visuale dialogica (Lovink 2012, p. 205).

Tuttavia, sia scettici che ottimisti sono ora costretti a ritrattare il nocciolo del problema, laddove la piattaforma è ora percorsa da una compresenza di numerose modalità di produzione, ognuna definita da un diverso rapporto con il pubblico e con il mercato. Nella storia di YouTube è infatti leggibile il mutamento del significato culturale stesso di partecipazione. La logica

bottom-up di democratizzazione degli strumenti mediali, salutata con favore da numerosi

commentatori quale ri-bilanciamento del potere di rappresentazione fra utenti e soggetti istituzionali di produzione (Boccia Artieri 2005, Benkler 2006, Jenkins 2007, Shirky 2008), ha lasciato via via il campo a un panorama ben più sfaccettato: si va dal video privato indirizzato a una stretta cerchia di amici, al videoclip postato sul canale ufficiale della star internazionale, passando per lo youtuber che inizia la sua attività in senso amatoriale che poi però accede alla monetizzazione sulle visualizzazioni grazie alla partnership con YouTube, fino ad arrivare alle organizzazioni educative e no-profit che distribuiscono video professionalmente realizzati, ma con finalità istruttive e di sensibilizzazione sociale.

Per giostrarci in questo nebuloso panorama possiamo distinguere grossomodo tre fasi che YouTube ha attraversato nei suoi dieci anni di vita, a cui corrispondono tre concezioni della piattaforma che tutt‘ora convivono: la prima fase di YouTube che potremmo chiamare del

deposito o dell‘oblò (2005-2006), una seconda fase in cui la metafora guida è quella del canale televisivo (2007 – 2011) e la fase attuale (2012 - 2015), di cui la figura più rappresentativa è la video star che amplifica la sua fama tramite l‘utilizzo di plurime piattaforme.

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