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Performatività diffusa e pubblici connessi

Capitolo 1. La star e lo zimbello: media, rituale e derisione

4. Lo spazio dei media nel cambiamento del senso della posizione nella comunicazione

4.1 Performatività diffusa e pubblici connessi

All‘interno del cambiamento di senso della posizione nella comunicazione, ―l‘essere pubblico‖ e ―l‘essere per il pubblico‖ si realizzano come condizioni sempre più integrate e coodeterminanti. La visibilità dei contenuti e dei vissuti digitali comporta uno statuto di ―performatività diffusa‖ in cui da una parte l‘agire connesso è osservabile come spettacolo e dall‘altra è lo spettacolo ad essere fruito, costruito e condiviso in maniera connessa. Nei social network, in tal senso, è riscontrabile una spinta all‘estetizzazione del quotidiano, dove il macro- spettacolo monopolizzato dai media di massa e il micro-spettacolo della creatività giornaliera e vernacolare si connettono e confondono in forme inedite (Gemini 2009).

Si tratta di una situazione in cui le tecnologie digitali della comunicazione giocano un ruolo chiave, ma che si pone al contempo in continuità con quel tracciato che prima della loro

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In termini girardiani si potrebbe dire che la rete traccia una ―terza via‖ fra mediazione esterna e mediazione interna. Da una parte tale mediazione ―intermedia‖ permette di volgersi a modelli che prendono il meglio delle due mediazioni, laddove permette di accedere a modelli più ―realistici‖ dei mediatori esterni ma la cui imitazione si espone meno al pericolo della rivalità mimetica rispetto ai mediatori interni. Su un altro versante, tuttavia, lo stesso movimento potrebbe essere letto come una crisi di indifferenziazione fra mediatori esterni ed interni, laddove tutti sono posti sullo stesso piano e quindi soggetti a forme di rivalità meno violente ma al contempo più diffuse di quelle che riguardano la prossimità fisica. Si pensi ad esempio a come chiunque faccia un video su YouTube, dalla popstar all‘adolescente che ha appena cominciato il suo percorso da youtuber, sia potenzialmente in competizione per le stesse views.

venuta aveva portato alcuni a definire la nostra come una ―società performativa‖ (Kershaw 1994). Ciò riguarda il modo in cui numerosi ambiti della società si rivelano maggiormente infusi di qualità teatrali rispetto al passato: dall‘idea del luogo di lavoro come ―palco‖, alla gestione di elezioni, movimenti di protesta, interventi bellici e atti terroristici nei termini della messa in scena, fino ad arrivare all‘ingresso nella semantica del potere politico di parole come ―scenografia‖, ―retroscena‖, ―setting‖, e ―storytelling‖ (Alexander 2011).

Abercrombie e Longhurst (1998) collocano tale condizione di performatività generalizzata nell‘interazione fra due processi stabilitisi entrambi con la modernità: da una parte vi è la concezione del mondo come spettacolo, ossia la tendenza ad assistere agli eventi del mondo sentendosi pubblico; dall‘altra si trova la costruzione narcisistica dell’individuo, ovvero il pensarsi del soggetto come un performer in controllo della propria immagine. Nella contemporaneità il prototipo dello spettacolo viene così a guidare un tipo di sguardo che fa costantemente parte dell‘esperienza degli individui, da cui si produce una pluralizzazione degli stili di interazione fra pubblico e media. Punto di approdo di tale percorso è la comparsa di quella che i due autori definiscono audience diffusa:

Alcuni successive cambiamenti sociali e culturali fondamentali hanno prodotto un tipo molto differente di esperienza dell‘audience, che noi qua denominiamo audience diffusa. Il tratto essenziale di tale esperienza dell‘audience è che, nella società contemporanea, tutti quanti divengono audience tutto il tempo. Essere il membro di un‘audience non è più un evento eccezionale, e nemmeno un evento giornaliero. Piuttosto si tratta di un costituente della vita quotidiana (Abercrombie, Longhurst 1998, pp. 68-69).

Il passaggio del ―essere audience‖ da evento a condizione intrinseca nella quotidianità, compare in successione diacronica dopo altri due tipi di posizione spettatoriale che Abercrombie e Longhurst chiamano simple audience e mass audience. Nelle simple audience fra spettatori e performance c‘è una netta separazione, si assiste allo spettacolo condividendo il suo stesso spazio-tempo, la partecipazione all‘evento spettacolare è attenta e segnata solitamente da una distinzione cerimoniale rispetto all‘esperienza ordinaria. L‘andare al cinema e ai concerti, l‘assistere a eventi sportivi e meeting politici sono tipici casi in cui si manifesta questo tipo di pubblico. Nelle mass audience pubblico e performance sono sia disgiunti attraverso il ruolo che svincolati per mezzo dei media di massa dalla condivisione spazio-temporale; la fruizione si svolge solitamente in spazi privati, anche in maniera disattenta o in funzione di background, come nell‘usuale utilizzo domestico della televisione. Nelle diffused audience, invece, è il concetto stesso di evento performativo come fatto discreto e circoscritto a venir meno. Ciò è dato da un contesto di pervasività dei media per cui si è costantemente pubblico di ―qualcosa‖, ma anche dal fatto che è lo spettatore in primis a divenire fonte di medialità attraverso la produzione di propri contenuti mediali. La performance si fa in tal senso elemento liquefatto nelle trame del quotidiano, fino a diventare indistinguibile dalle interazioni:

[…] ad un livello ancora più profondo l‘esperienza dell‘essere audience diffusa può essere caratterizzato dalla potenziale invisibilità della performance. […] Essa può essere così infusa nella quotidianità al punto che possiamo non essere al corrente del suo avvenire in noi o negli altri. La vita diviene un performance costante; siamo audience e performer allo stesso tempo; tutti quanti siamo pubblico tutto il tempo. La performance, in tal senso, smette di essere un evento discreto (Abercrombie, Longhurst 1998, p. 73).

Sebbene ―l‘essere audience tutto il tempo‖ sia diventato un aspetto dominante della contemporaneità, gli autori chiariscono come i diversi tipi di pubblico non si rimpiazzino, ma coesistano rimanendo fra loro facilmente commutabili. Si consideri l‘esempio di una partita di calcio: la simple audience è rappresentata dalle persone presenti sugli spalti che assistono all‘evento; questa può divenire mass audience nel momento in cui le stesse persone riguardano da casa i momenti salienti dell‘incontro; si diventa invece diffused audience prolungando la pratica del tifo attraverso azioni come l‘acquisto di merchandising o la partecipazione online ai forum di discussione sulla squadra del cuore.

Con lo sviluppo dei social media le traiettorie già in essere della diffusione della performance nel flusso ordinario dell‘esperienza e dell‘incrementale visibilità dell‘essere- audience compiono un ulteriore salto qualitativo. Ciò si realizza nel nuovo soggetto collettivo dei pubblici connessi (Ito 2008, boyd 2008, Boccia Artieri 2009). Con tale concetto si vuole mettere in luce come l‘aggregazione sociale attraverso i media non riguardi più soltanto la logica di ricezione top-down tipica delle mass audience, ma anche processi di elaborazione culturale bottom-up e di relazione sociale orizzontale fra individui. I pubblici possono quindi «[…] be reactors, (re)makers and (re)distributors, engaging in shared culture and knowledge through discourse and social exchange as well as through acts of media reception» (Ito 2008, p.3). Nei pubblici connessi il significato di ―pubblico‖ è ridefinito in entrambi i sensi comunemente associati alla parola. Essi sono ―pubblici‖ nel senso che costituiscono attraverso i social media uno spazio in pubblico; su questo versante, come sottolinea danah boyd (2008) le loro azioni lasciano tracce visibili e persistenti che 1) si espongono all‘osservazione potenziale di audience la cui presenza non è immediatamente manifesta ma risulta costantemente congetturabile, 2) forniscono le occasioni di auto-osservazione per percepirsi come comunità

immaginata. Essi sono anche ―pubblici‖ in un senso più vicino a quello di ―audience‖, in quanto

sono organizzati attorno a comuni oggetti dell‘attenzione, siano essi prodotti mediali, ideali politici, identità o pratiche sociali condivise.

Le tecnologie digitali della comunicazione, in altri termini, danno una nuova consistenza al pubblico, traducendo in connessioni virtualmente possibili quelle che già Gabriel Tarde all‘inizio del Novecento individuava come legami puramente ―spirituali‖ (Tarde 1969). Nel saggio L’opinion et la foule pubblicato nel 1901, Tarde sosteneva come quando individui fisicamente dispersi leggono il giornale, essi non rimangono una molteplicità puramente disarticolata e pulviscolare, ma si crea una coesione mentale che pone in essere un ―pubblico‖, stabilito dalla consapevolezza che altri stanno simultaneamente compiendo la stessa azione. Nei

pubblici connessi l‘orientamento all‘altro invisibile che accompagna la fruizione mediale, passa dall‘essere soltanto un agente formativo dell‘immaginario sociale (Taylor 2005), al costituire la condizione della produzione di forme simboliche degli utenti. L‘implicare la costante presenza potenziale di altri pubblici costituisce ciò che distingue il modello produttivo dei pubblici connessi da quello della folla e della comunità digitale: nella folla digitale, il cui paradigma è quello del crowdsourcing (Surowiecki 2007), sono le infrastrutture tecnologiche ad aggregare singole relazioni soggetto→oggetto fra loro disgiunte; la comunità online è viceversa basata sulla relazione soggetto↔soggetto, nel senso che la produzione avviene attraverso la cooperazione diretta e reciproca fra i membri; la specificità dei pubblici connessi risiede invece nella logica triadica del soggetto→oggetto→altro-soggetto→soggetto→…; le azioni dei singoli avvengono cioè in maniera separata, ma pensate nell‘ottica del successivo recupero da parte di altri utenti non immediatamente presenti, come quando si scrive un commento su YouTube in riferimento al video visto, pensandolo al contempo come affermazione che sconosciuti leggeranno, voteranno positivamente o negativamente, e alla quale possibilmente risponderanno.

Il quotidianizzarsi dell‘intreccio fra pubblicità e performatività nei pubblici connessi può essere però anche inquadrato nell‘ottica di un giudizio interiorizzato dai connotati disciplinanti. Anche al di fuori degli ambienti online, l‘ingiunzione a essere performanti, efficaci ed efficienti di fronte ai molteplici pubblici di spettatori, clienti, strumenti di misurazione o stakeholder, segna una condizione ampiamente diffusa, tanto che, come ipotizza Jon McKenzie: «Performance will be to the twentieth and twenty-first centuries what discipline was to the eighteenth and nineteenth, that is, an onto-historical formation of power and knowledge» (McKenzie 2001, p.18). Da una parte, il richiamo alla performance può quindi assumere le fattezze di quella che Mark Andrejevic (2005) chiama una sorveglianza laterale, ossia di un mutuo regime di controllo in cui a svolgere l‘azione sorvegliante non è più un soggetto panottico istituzionalizzato e centralizzato (Foucault 1976b), ma sono i pari tramite l‘osservazione reciproca. Dall‘altra parte va anche osservato come nelle piattaforme social si manifesti un repertorio di sguardi intersoggettivi estremamente sfaccettato, in cui la mutua osservazione non è limitata alla riproduzione di logiche di governabilità come osservato da Andrejevic. In quella che è stata chiamata partecipatory surveillance (Albrechtslund 2008) o

social surveillance (Marwick 2012), l‘osservazione reciproca online si attua non solo ai fini del

controllo disciplinare, ma come forma di socialità adatta alla vita in pubblico digitalmente mediata. Ci si tiene d‘occhio per tenersi aggiornati, per confrontare con gli altri il proprio modello di presenza online, per ampliare la propria rete di contatti e per sentirsi connessi a persone con le quali le relazioni si sono rarefatte: una sorveglianza che va a costituirsi come competenza sociale di base, in cui controllo, affettività e dinamiche di riflessività connessa si intrecciano in maniera inestricabile.

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