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L‘evidenziamento

Capitolo 2. YouTube: partecipazione, fama e relazioni nella video cultura digitale

5. Generi di UGC e generi della fama su YouTube

6.3 L‘evidenziamento

Una delle dinamiche che caratterizza maggiormente YouTube è l‘highlighting ossia ―l‘evidenziamento‖ (Kavoori 2011). Gli oggetti mediali nella cultura digitale sono spesso definiti dalla logica della modularità (Manovich 2005), nel senso che essi sono aperti alla parcellizzazione e alla ricombinazione, poiché composti da frammenti che non perdono le loro qualità quando separati dal tutto. Questa condizione favorisce la remixabilità del testo digitale, ma è altresì alla base dell‘evidenziamento, definibile come un‘operazione che isola un frammento direzionandovi l‘attenzione.

Una delle pratiche più comuni su YouTube è proprio quella di postare le parti più importanti di film, show televisivi, news o di altri video presenti sulla piattaforma. Ad essere evidenziati possono essere i momenti più divertenti come quelli più imbarazzanti, i più commoventi come quelli più fallimentari, i ―best of‖ come i ―worst of‖. Se tale modalità nasce in ambito televisivo per riproporre i momenti salienti di eventi sportivi o di altre trasmissioni, essa entra ora a far parte del repertorio delle azioni più comuni su YouTube. L‘attuale cultura audiovisuale procede sempre più attraverso la fruizione di ―parti‖ che lasciano il ―tutto‖ su uno sfondo attualizzabile in un secondo momento, al punto che, sostiene Kavoori, ―we may get to a point where the whole narrative may never be consumed‖ (Kavoori 2011, p. 12). A differenza di forme brevi quali i trailer e i recap che funzionano come frammenti che anticipano il testo totale, l‘evidenziamento si realizza come un consumo del frammento che sostituisce l‘oggetto completo. Il suo meccanismo è pertanto di stampo sineddotico, nel senso di una parte che sta per il tutto.

Come le denunce a YouTube da parte di Viacom e Mediaset stanno a dimostrare, la pratica dell‘highlighting è spesso bersaglio di una lettura unilaterale come diffusione illecita di contenuti protetti dal diritto di autore. Dal punto di vista degli utenti questi processi hanno però un significato ben più profondo, che non può essere esaurito dalla logica dello scambio peer-to-

peer di audiovisivi piratati. L‘uploading di tali frammenti è un atto di senso più vicino alla

citazione che a uno stratagemma per evadere il sistema distributivo dei media mainstream. La riproposizione va quindi intesa non soltanto attraverso il paradigma della diffusione, come capacità degli utenti di far circolare i contenuti al di fuori dei tradizionali palinsesti, ma attraverso quelle che Hartley (2008) chiama pratiche ―redazionali‖. Nel momento in cui è l‘attenzione, e non più il contenuto, ad essere sottoposta ad un regime scarsivo (Lanham 2006), la selezione e la compilazione si impongono come forme di creazione del valore essenziali alla società contemporanea. Questa, secondo Hartley, si configura sempre più come una ―società redazionale‖:

La redazione è una forma di produzione e non di riduzione del testo (motivo per cui il più commune termine ―editing‖ non è adeguato). Il periodo attuale può in sostanza essere caratterizzato come una società redazionale, nel senso di un tempo in cui vi è troppa informazione immediatamente disponibile a tutti per percepire il mondo nel complesso, da cui risulta una società caratterizzata dalle proprie pratiche di redazione, ossia da come usa processi di messa in forma del materiale già esistente per dare senso al mondo (Hartley 2008, p.112, traduzione mia).

L‘evidenziamento è una delle pratiche redazionali presenti su YouTube che meglio manifesta un tipo di senso che si compone nel collettivo. Fra le modalità di evidenziamento più diffuse possiamo distinguere la selezione, i video loop e il framing.

La selezione consiste nel montaggio degli spezzoni che si vogliono mettere in evidenza e rappresenta sin dalla prima ora uno dei generi principali di YouTube, in linea con la sua

originaria aspirazione di ―Digital Video Repository‖136

. Il climax emotivo e il fail sono i più popolari obiettivi della selezione. Tra i video del primo tipo, gli spezzoni tratti da talent show si sono imposti come quelli dal maggior impatto virale, in particolare quelli che incarnano la narrativa del ―brutto anatroccolo‖, del riscatto del perdente e dello sfavorito. In essi il climax

emotivo è fornito dal contrasto fra l‘iniziale aspettativa del fallimento del partecipante e

l‘inaspettato successo della performance, per cui la tensione del pubblico, in attesa di una prova imbarazzante, viene dissipata dalla festante partecipazione al trionfo del meno favorito. Fra gli esempi più noti vi è l‘esibizione della cantante scozzese Susan Boyle a Britain’s Got Talent, divenuta il video più visto sulla piattaforma nel 2009137, o la performance di Suor Cristina Scuccia a The Voice of Italy, video più visto su YouTube Italia nel 2014138.

Parallelamente alla storia emotivamente edificante, i video che mostrano errori, gaffe,

blooper139 e rottura del contegno televisivo – racchiudibili sotto l‘etichetta del fail – costituiscono l‘altro grande oggetto dei video-selezione. Il termine fail rappresenta una delle espressioni gergali più diffuse nella rete ed è utilizzato dagli utenti per marcare momenti di incompetenza, sfortuna, inadeguatezza e in generale un‘azione non andata a buon fine. Nella cultura digitale il fail – o epic fail – si è consolidato come un genere dell‘intrattenimento (Milner 2012, O‘Connell 2013), basato appunto sull‘azione dei pubblici di apporre tale marchio a immagini, video e conversazioni, per stimolare una lettura preferenziale che inquadra il bersaglio come autore di un fallimento. Su YouTube sono presenti migliaia fra video e playlist che presentano nel titolo la dicitura ―fail compilation‖, nonché canali dedicati che raccolgono milioni di visualizzazioni a video140. I fail video si approvvigionano da tre fonti principali: il repertorio di errori televisivi, gli scherzi sceneggiati in stile candid camera e gli incidenti spiritosi provenienti da filmati domestici. In tal senso i fail video costituiscono l‘estensione in rete di una lunga traduzione di blooper show e clip show che dagli anni settanta ad oggi popolano il palinsesto televisivo (Weinraub 2001), come il longevo programma brittanico It’ll

be Allright on the Night (ITV, 1977 – 2015), l‘americano America’s Funniest Home Videos

(ABC, 1989 – 2015) e l‘italiano Paperissima (Italia 1 – Canale 5, 1990 – 2015).

La seconda dinamica di evidenziamento particolarmente diffusa su YouTube è quella del

video loop. La ripetizione è di certo uno degli stilemi maggiormente utilizzati dalla cultura

popolare online, dalle gif animate a video di animazione come Nyan Cat, Badgers o il Pulcino

Pio, la cui fama virale è fortemente basata sulla reiterazione. Secondo Vernallis (2013) la

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Jarboe (2012) riporta come l'idea stessa di YouTube si sia infiltrata nella mente dei fondatori proprio a partire dalla volontà di rendere nuovamente disponibile al pubblico una dei più chiacchierati incidenti on air della recente storia della televisione statunitense: il ―wardrobe malfunction‖ di Janet Jackson, la quale, nel mezzo del Super Bowl del 2004, perse parte del suo vestito durante la coreografia, lasciando scoperto un seno davanti al più vasto pubblico in diretta al mondo.

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<http://www.theguardian.com/media/pda/2009/dec/16/susan-boyle-britains-got-talent-youtube>

138 <http://motherboard.vice.com/it/read/i-10-video-pi-visti-su-youtube-italia> 139

Con il termine inglese blooper si indicano gli errori presenti in film e programmi televisivi che sfuggono al montaggio passando quindi in distribuzione. Con il tempo il termine si è esteso ed è usato anche per indicare gli errori tagliati dal montaggio, spesso tenuti comunque in repertorio per mostrarli a fine umoristico alla fine dei film o in trasmissioni dedicate come i blooper show.

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reiterazione insistente rappresenta l‘estetica prevalente dell‘estetica del prosumerismo su YouTube. I motivi di tale egemonia sono molteplici: in parte ciò è dovuto al fatto che la ripetizione è una delle operazioni di editing più semplici, che ben si confà all‘estetica do it

yourself del prosumer, fornendo una possibilità immediata di produzione culturale; la funzione

ipnotica della reiterazione si dimostra poi come un tipo di conforto che fa da controparte a un ambiente tecnologico dominato dalla continua novità; infine la ripetizione ha anche una sua valenza estetica, nel modo in cui suggerisce un senso di ―barocca ossessività‖ o di suadente psichedelia (Vernallis 2013). Accanto però all‘utilizzo del loop in senso immersivo-ipnotico, esso è divenuto negli ultimi anni una delle più comuni modalità di campionamento. Il loop, cioè, è usato per porre l‘attenzione su un momento di breve durata – un urlo, un‘espressione divertente, una movenza ridicola – che viene ripetuto tipicamente per dieci minuti, con la doppia funzione di veicolare l‘attenzione sul frammento e di comporre da tale ripetizione una nuova litania ai confini con il nonsense. L‘effetto dell‘assurdo è inoltre amplificato dall‘estensione palesemente eccessiva della ripetizione, che a volte si allunga dai ―10 minuti‖ alle ―10 ore‖, fino ad arrivare in alcuni casi alla folle durata dei ―24 hour video‖141. I ―10 minuti di‖ giocano con

l‘abnormità di una reiterazione che non può essere davvero esperita piacevolmente, se non in un senso di sfida, di scherzo o di intrattenimento psichedelico. Proprio per tale motivo essi attivano due ulteriori tipi di piaceri. Il primo è quello dell‘interpassività (Zizek 1997), ossia dell‘oggetto che si gode lo spettacolo al posto nostro, per cui ad essere fruita è qui l‘idea di una fruizione potenziale, goliardicamente esteriore alle capacità umane. Il secondo è il piacere dello spreco, della dépense (Bataille 1992), quale impiego inutile e irrazionale di byte e di tempo per la realizzazione.

Figura 18, alcuni videoloop “10 minuti di”

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Terza modalità di evidenziamento è quella del framing. Tale pratica consiste nell‘incorniciare un momento del video che si ritiene di particolare importanza. Su YouTube ciò avviene scrivendo nei commenti un preciso minutaggio dei video a cui rimandare gli spettatori. Fra le affordance di YouTube c‘è infatti la possibilità di creare dei link nei commenti, che quando cliccati portano a un determinato momento del video che si è scelto di mettere in evidenza. Un‘altra manifestazione del framing è invece osservabile su Facebook, quando si commenta un contenuto condiviso da YouTube postando immagini screenshot per isolare facce buffe o dettagli in secondo piano nei video. L‘azione di framing si collega direttamente con la caratteristica precedentemente sollevata della visione collettiva, in quanto mostra un tipo di intento comunicativo dei commenti teso a veicolare l‘attenzione degli altri utenti, per informarli di certi dettagli o per condividere la propria esperienza spettatoriale.

In definitiva va quindi sottolineato come l‘evidenziamento presenti sia continuità che discontinuità rispetto alle prassi storicamente precedenti di direzione dell‘attenzione. Da un lato YouTube declina l‘esperienza del testo mediale in modo totalmente nuovo, fortemente più partecipativo rispetto ai media di massa. I confini di tali testi sono negoziati dagli utenti, che li ricompongono, ne isolano tracce e ne mettono in luce i momenti più rilevanti secondo criteri propri, che possono dare risalto al climax emotivo come al frammento banale che acquisisce senso nella ripetizione. La sequenzialità dettata dal flusso televisivo, cinematografico e radiofonico è qui scomposta in una iridescenza di ripetizioni, ritorni, salti, rallentamenti e accelerazioni, per cui il tempo del testo diventa quello descritto dalle focalizzazioni messe in campo dal collettivo.

Sull‘altro versante l‘evidenziamento può invece essere posizionato in un continuum di pratiche di convergenza dell‘attenzione che affonda le sue radici nell‘agire rituale, in linea con quel carattere di ibridazione fra rito e intrattenimento che caratterizza molte delle performance ibride della contemporaneità (Gemini 2003). Nella definizione dell‘antropologo Jonathan Z. Smith, ―Ritual is first and foremost, a mode of paying attention. It is a process of marking interest" (Smith 1987, p. 103). Secondo Smith, non è la cieca abitudine ripetitiva a definire l‘attività rituale, quanto la distinzione di uno spazio – quello che chiama un processo di

enplacement – che convoglia l‘attenzione del gruppo su oggetti e azioni che in tale modo

vengono percepiti come distinti, aquisendo un surplus di significato. Per questo motivo lo spazio sacro ha un ruolo così fondamentale nel rituale, perché rappresenta una "tecnologia" di direzionamento dell‘attenzione:

Il tempio funziona alla maniera di una lente focalizzante, la quale stabilisce la possibilità del significato dirigendo l‘attenzione, richiedendo quindi la percezione di una differenza. All‘interno del tempio, l‘ordinario (che a un occhio od orecchio esterno può rimanere totalmente ordinario) diventa significativo, diventa ―sacro‖, semplicemente essendo in quel posto. Un oggetto rituale o un‘azione divengono sacri quando l‘attenzione vi viene focalizzata in maniera fortemente marcata. Da questo punto di vista, non vi niente di intrinsecamente sacro o profano. Non ci sono categorie sostanziali, ma piuttosto categorie situazionali. L‘essere sacro è, prima di tutto, una categoria dell‘emplacement (Smith 1987, p. 104, traduzione mia).

Gli elementi impiegati in senso ritualistico non hanno nulla di straordinario in sé, ma acquisiscono tale qualità dal loro posizionamento. Oggetti che nell‘ordinarietà hanno un significato, nel rituale ne acquistano uno differente. Come esemplifica Smith, l‘acqua e il sangue sono nel mondo normale fonti di sporcizia, ma nello spazio rituale essi possono essere usati per lavare via le impurità: non è la loro sostanza a cambiare, ma il posto che essi occupano. Sulla scorta di Levi-Strauss, Smith sostiene poi come un tratto tipico di ogni rituale sia la procedura di parcellizzazione. Il rituale cioè crea infinite distinzioni fra classi di oggetti e tipi di gestualità, ricavando differenze all‘interno delle più piccole sfumature. L‘oggetto ordinario si distingue dall‘oggetto rituale proprio perché quest‘ultimo è sottoposto a una ―infinita attenzione ai dettagli‖ (Smith 1987).

Sia nell‘agire rituale che nell‘evidenziamento si manifesta una modalità dell‘attenzione collettiva basata sulla messa in risalto del dettaglio, tramite la quale anche il frammento più banale acquisisce un surplus di significato. Gli atti di selezione, ripetizione e framing non si limitano a riassumere un testo, ma trasformano la valenza delle sue parti, per cui anche video ordinari, marginali e poco ragguardevoli possono entrare nel regno ―sacro‖ dello straordinario se digeriti in tali maniera. Si prenda ad esempio il caso citato del videoclip Friday dell‘adolescente Rebecca Black: quando tale video passa dall‘invisibilità ad essere il più virale del 2011, la canzone non è più semplicemente un‘espressione di scarsa qualità o cattivo gusto, ma diviene ―the worst song ever‖, un oggetto talmente disapprovato da essere esteriorizzato dall‘ordinarietà.

Se però nel rituale il surplus di significato è ricavato dall‘ingresso in una zona circoscritta, marcate dalle soglie della tradizione e del sacro percepite come definite dall‘esterno dello spazio sociale, fra i media digitali il surplus di significato dipende dalle pratiche redazionali con cui gli utenti partizionano la cultura mediale contemporanea. In altre parole non è la semplice presenza su YouTube a marcare l‘ingresso nello ―spazio sacro‖ dell‘attenzione condivisa, come poteva essere nell‘enplacement rituale, – o anche nello spazio di culto televisivo (Couldry 2003) – , ma i processi di valorizzazione messi in atto dai pubblici connessi.

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