Capitolo 2. YouTube: partecipazione, fama e relazioni nella video cultura digitale
5. Generi di UGC e generi della fama su YouTube
6.2 La visione collettiva
Analizzando l‘architettura di YouTube, a partire da una tipica pagina video, emergono tre costituenti principali: il video primario che occupa l‘organizzazione spaziale della pagina, lo spazio dei commenti sottostante al video e i video correlati che compaiono nella colonna a destra. Ognuna di queste componenti incorpora a diverso titolo la presenza e le azioni degli utenti: nel video primario l‘utente mostra se stesso o una traccia del suo agire (che può consistere anche nel semplice atto di uploading); nei commenti gli utenti si mostrano testualmente e tramite l‘utilizzo di profili; i video correlati restituiscono invece il risultato dei comportamenti di consumo di una collettività anonima di utenti, essendo essi selezionati in base a criteri di popolarità e di congruenza delle preferenze.
Guardare YouTube implica perciò sempre e necessariamente guardare altre persone che guardano YouTube. Anche la pura visione in solitaria, senza condivisione o commenti, avviene sullo sfondo di un audience compartecipe benché parzialmente immaginata (Marwick, boyd 2010, Brake 2012). Rispetto però al consumo televisivo classico, in cui la presenza di altri spettatori non compresenti è totalmente congetturata, qua l‘altro è concretizzato da una serie di segnali testuali e indessicali (Peirce 1932), nel senso di tracce digitali che segnano il suo passaggio. Il contatore delle views, il numero di iscritti al canale, la barra del gradimento e le raccomandazioni sulla base dei video che gli altri stanno guardando, sono tutti agenti di una ―visualizzazione sociale‖, la quale, secondo Lovink (2012), costituisce il principio identificante della pratiche contemporanee legate alla fruizione di video:
YouTube offre un servizio d‘ospitalità, fornendoci l‘energia necessaria per esprimere quel che abbiamo dentro e la calda sensazione di esistere, l‘attestazione che qualcuno si accorge di noi. Questo strato aggiuntivo di visualizzazione sociale è ciò che differenzia il video odierno dall‘epoca della cinematografia e della televisione. Analizzare il video online significa studiare quest‘aspetto intimo dell‘affetto, non le teorie del riconfezionamento commerciale che sottendono alla comune retorica della rimediazione. È il sociale l‘elemento costitutivo alla base della pratica contemporanea del video, […] La massima codificata è: voglio guardare quello che guardi tu (Lovink 2012, p. 207).
La fruizione di YouTube si caratterizza come un‘esperienza esplicitamente condivisa e connessa. Essa si inserisce pertanto in quel novero di cambiamenti della spettatorialità al tempo dei media digitali, che ha portato anche la ―vecchia‖ televisione a doversi reinventare quale medium connesso (Marinelli, Celata 2012, Giglietto, Selva 2013, Boccia Artieri et al. 2014). La televisione deve infatti scontare il suo deficit nella capacità di visualizzare il collettivo compartecipe nella visione, nel momento in cui tale possibilità offre un notevole stimolo al coinvolgimento del pubblico. Diverse ricerche sull‘integrazione di mezzi di comunicazione
online durante il consumo di audiovisivi (Weizs et al. 2006, Weisz et al 2007, Shamma et al 2008), mostrano ad esempio come il senso di co-presenza di fronte a un comune oggetto mediale ne renda più godibile la fruizione e aumenti il senso di vicinanza verso gli sconosciuti con i quali si condivide l‘esperienza di visione.
Il primo tratto che qui interessa far notare è perciò come l‘uso di YouTube tenda a favorire una visione collettiva su almeno tre livelli, 1) mettendo al corrente lo spettatore della sua appartenenza ad un‘audience estesa, 2) facilitando la condivisione del contenuto, 3) integrandosi nei dispositivi mobile, rendendo possibile in ogni contesto una fruizione di gruppo. Il primo punto è quello che qui interessa maggiormente evidenziare.
La ricerca di tecniche di esplicitazione della presenza altrui è, di fatto, uno dei tratti più caratterizzanti non solo di YouTube, ma dell‘espansione dei social media e dei servizi digitali di maggior successo. Twitter, ad esempio, rende immediatamente apparente quali sono in ogni momento i topics di tendenza sulla piattaforma, iTunes correda le canzoni con indici di popolarità, così come ormai quasi tutte le testate online riportano attorno ad ogni articolo metriche come il gradimento, il numero di condivisioni o l‘umore stimolato dalla lettura del testo, nonché classifiche in prima pagina sui pezzi più letti e commentati. Webster (2014) riporta come numerose ricerche confermino il ruolo decisivo svolto da tali indicatori nel modellare l‘attenzione dei pubblici. Essi sono fortemente attraenti per gli utenti, in quanto sembrano offrire una valutazione di ciò che vale la pena essere visto più democratica rispetto al giudizio di pochi esperti, specialmente in un regime di sovrabbondanza di scelte. A differenza poi dei tradizionali sistemi di rating, confezionati dalle agenzie di ricerca per le media company, tali indicatori sono totalmente accessibili al grande pubblico, tanto da fornire secondo O‘Reilly e Battelle (2009) ―real-time indications on what‘s on our collective mind‖.
La cultura digitale è perciò contrassegnata dalla costante impressione di assistere allo spirito del tempo (Morin 2002), data da una visibilità senza precedenti delle scelte etiche, affettive e di consumo del collettivo. Tale statuto è descritto anche dalla propagazione di quella forma di ansia sociale popolarmente denominata FoMO o fear of missing out, definibile come «a pervasive apprehension that others might be having rewarding experiences from which one is absent» (Przybylski et al. 2013, p.1841). Tuttavia, come mette in guardia Webster (2014), la composizione della suddetta ―mente collettiva‖ è tutt‘altro che trasparente. Primo, perché non tutte le persone sono sui social media e non tutti gli utenti vi partecipano allo stesso modo. Ding e coautori (2011) hanno ad esempio trovato una distribuzione della partecipazione su YouTube che ricalca fortemente il principio di Pareto134: il 20% degli uploader più attivi carica il 72,5%
dei video sulla piattaforma, mentre il 20% degli uploader più popolari è responsabile del 97% delle visualizzazioni attirate dall‘intero sito; inoltre, malgrado l‘utenza di chi visiona video sia
134 Il principio di Pareto, meglio noto come principio "80/20", afferma che il 20% delle cause produce l'80% degli
effetti ed è in generale utilizzata per descrivere situazioni di assimetria, come la distribuzione dei redditi, dove una netta minoranza possiede la maggior parte delle risorse totali. Il nome deriva dall'economista e sociologo italiano Vilfredo Pareto che nel 1897 rilevò la consistenza di tale distribuzione nello studio della ricchezza in vari paesi occidentali.
abbastanza rappresentativa della popolazione generale, il sesso dei partecipanti attivi è fortemente sbilanciato, con gli uploader di sesso maschile tre volte più numerosi di quelli di sesso femminile (Ding et al. 2011). Wu et alii (2009) hanno inoltre rilevato come la visibilità sia un rinforzo positivo alla partecipazione: chi contribuisce attivamente con valutazioni, commenti e condivisioni su piattaforme di social-sharing come YouTube o Digg, trova nell‘attenzione ricevuta uno degli stimoli principali all‘azione, per cui esiste una disparità di visibilità tendente all‘auto-incremento fra la massa di utenti passivi e una nicchia di contributori altamente in mostra (Wu et al. 2009). In secondo luogo va considerato come quella che viene compresa come una restituzione imparziale di dati da parte delle suddette metriche, tende in realtà a presentare bias e faziosità utili ai fini delle piattaforme. Dal settembre 2014, ad esempio, i video inseriti su Facebook compaiono nella home page partendo automaticamente senza l‘input dell‘utente; le visualizzazioni vengono conteggiate dopo appena tre secondi, per cui anche lo stazionare per breve tempo sulla pagina alimenta le views dei video: gonfiando l‘effettiva notorietà di una determinata clip, ad aumentare è anche l‘appetibilità del sito quale spazio pubblicitario. Come fa notare Gillespie (2010) esiste una palese discrepanza fra la retorica di apertura e neutralità tecnologica spalleggiata dai social media e il dover compiere scelte strategiche che soddisfino particolari stakeholder, quali clienti, inserzionisti, utenti e soggetti istituzionali. Ciò traspare già dall‘auto-descrizione divenuta ormai standard di ―piattaforme‖, termine che suggerisce una natura di tabula rasa liberamente emendabile, ma che collide con quelle che sono di fatto scelte politiche, responsabili di dare forme specifiche al discorso pubblico online.
Il terzo fattore da mettere in evidenza è come le piattaforme puntino a coltivare la visibilità dei contenuti più popolari, favorendo una traiettoria auto-alimentante che acquista i caratteri della self-fulfilling prophecy. Nella formulazione di Merton (1948) si è in presenza di una profezia auto-avverante quando la definizione pubblica di una situazione diventa parte integrante della situazione stessa, influenzando i suoi successivi sviluppi; secondo Webster (2014) il modo in cui le piattaforme online restituiscono la popolarità rappresenta esattamente un caso di tale dinamica:
Di base, i regimi informativi basati sugli utenti privilegiano la popolarità. I sistemi di ricerca e raccomandazione classificano puntualmente i loro risultati in modo da privilegiare ciò che è più visto, che riceve più like o più link in entrata. Nel momento in cui gli utenti seguono tali raccomandazioni, i ricchi diventano ancora più ricchi. L‘esistenza stessa di tali misurazioni influisce su ciò che misurano, diventando una sorta di profezia auto-avverante. Se Amazon o Netflix riportano che ―persone come te‖ stanno guardando quel particolare film, è altamente probabile che questo riceva maggiore attenzione. In questo senso, le raccomandazione non si limitano a valutare la popolarità, ma aiutano a crearla. Coloro che beneficiano da tali metriche spesso capiscono questo aspetto cruciale, provando a volte a manipolare i risultati. La misurazione dei media, quindi, non è soltanto un esercizio di raccolta dei dati; è il più delle volte in processo politico. Il ruolo che tali misurazioni giocano nel modellare il mercato dell‘attenzione non può che crescere ulteriormente con il tempo (Webster 2014, p. 17, traduzione mia).
Contrariamente da quanto propugnato dalla nota teoria della coda lunga di Chris Anderson (2006), che sostiene l‘incrementale rilevanza delle nicchie nell‘offrire possibilità di
profitto, convogliare l‘attenzione e il traffico verso pochi oggetti molto popolari o sovvenzionare un numero limitato di celebrità e power-user continua ad essere la strategia dominante anche nelle piattaforme social (van Dijck 2013). YouTube non fa eccezioni e punta a vario titolo ad amplificare la visibilità di ciò che le altre persone stanno guardando. Come nella maggior parte dei servizi sul web, il suo sistema di ricerca tende a privilegiare i contenuti più popolari (Cha et al. 2007, Ding et al. 2011), così come le raccomandazioni sulla home page del sito presentano i video di tendenza sull‘intera piattaforma assieme ai video dei canali a cui si è iscritti, amplificando la visibilità del ―già visto‖ rispetto al ―da vedere‖. Inoltre, nell‘economia della pagina tipo di YouTube, le informazioni sull‘agire degli altri utenti occupano un posto preminente. Comparando la sua interfaccia video con quella del competitor Vimeo, si nota come la prima ponga in evidenza il numero di visualizzazioni, la proporzione fra like/dislikes e il numero di iscritti al canale, rispetto alla seconda che dà più spazio al quadro video:
Figura 16-17, le interfacce di Vimeo e YouTube a confronto
Le affordance di YouTube, in sostanza, non solo rendono consapevole l‘utente della sua appartenenza a un pubblico esteso, ma lo tengono soprattutto informato del modo in cui tale pubblico si concentra su certi fulcri dell‘attenzione. Comprendere la direzione dell‘audience significa per l‘utente sapere quali sono in quel momento i riferimenti comuni, conoscere cioè quali argomenti stanno entrando nel repertorio dei possibili oggetti delle conversazioni. In tal senso YouTube funziona dando un rilievo strategico alla common knowledge135, in modo da sfruttare l‘effetto che Fast e coautori (2009) rilevano nelle loro ricerche come ―gravitazione verso il terreno comune‖. Con tale locuzione si indica quel processo per cui gli elementi più familiari di una cultura rinforzano la loro posizione di preminenza, in virtù del fatto che essi
135
Nella logica e nella teoria dei giochi per common knowledge si intende quella conoscenza che 1) tutti sanno 2) che tutti sanno 3) che tutti sanno (Chwe 2001); per essere una conoscenza comune non basta osservare che essa sia nella mente di tutti, ma è necessario che tutti quanti sappiano che tutti possono fare tale tipo di osservazione. In questo modo l'oggetto che entra a far parte della common knowledge può essere dato per scontato come territorio comune di riferimento, stabilizzando quindi quella ricorsività di incertezze sul sapere altrui data da una situazione di doppia contingenza (Luhmann 2012). Le grandi cerimonie dei media (Dayan, Katz 1993) come le elezioni papali in Italia o il Super Bowl negli Stati Uniti, sono un tipico esempio di generatore della common knowledge, poiché raccolgono una porzione di audience talmente vasta da riuscire a rendere presente il pubblico a se stesso.
aiutano le persone a connettersi e a creare legami sociali durante le discussioni. Stereotipi, norme sociali e celebrità sono tipici esempi di questo tipo, ossia oggetti che vengono richiamati nelle conversazioni a prescindere dal loro valore, ma perché se ne conosce la natura comune e perciò la capacità di facilitare la comunicazione. Le informazioni comuni, cioè, non sono scelte con più frequenza dal deposito degli argomenti possibili soltanto perché più persone le possiedono, ma perché forniscono un senso di connessione sociale, aiutando a stabilire la continuità del sottofondo conversazionale in modo migliore delle nuove informazioni (Fast et al. 2009).
Ciò attua però un meccanismo di auto-rinforzo per cui ciò che è già in vista lo diventa ulteriormente, assorbendo anche la critica a opportunità di stabilizzazione. Si pensi ad esempio alla nota definizione di Daniel Boorstin (1962) delle celebrità come persone ―famose per essere famose‖ e di come tale fama raggiunta da un vantaggio di posizione diventi a sua volta argomento di conversazione alimentando ulteriormente la fama della celebrità; secondo Jeffrey Sconce (2007a), tale condizione raggiunge un ulteriore livello ricorsivo con celebrità come Paris Hilton, che giocando consapevolmente sulla sua reputazione di persona famosa senza alcun talento rappresenta un esempio di ―famosa per essere famosa per essere famosa‖.
In tal senso esiste una correlazione positiva fra la visione collettiva come affordance (il modo in cui YouTube visualizza l‘audience compartecipe) e la visione collettiva come propensione verso gli stessi oggetti. La gravitazione verso il territorio comune fornisce una spiegazione di tale correlazione meno deterministica del puro principio lineare alla ―monkey see, monkey do‖: guardare quello che guardano gli altri non ha un semplice significato imitativo, ma risponde all‘esigenza di connettersi agli argomenti di conversazione disponibili. Un social media come YouTube può svolgere pertanto una funzione analoga a quella che Luhmann (2000) attribuisce ai media di massa, ossia il predisporre un sapere di sfondo noto a tutti dal quale la comunicazione può partire. Laddove però la capacità del mass medium di portare a termine tale compito si basa sul potere diffusivo della sua infrastruttura e sulla sua capacità di autoriferimento, su YouTube il territorio comune si costruisce nella co- determinazione circolare fra faziosità dei sistemi di indicizzazione, il contagio interno ai pubblici e gli indicatori che rendicontano/dirigono tale processo.