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YouTube e la relazionalità video-mediata

Capitolo 2. YouTube: partecipazione, fama e relazioni nella video cultura digitale

1. YouTube e la relazionalità video-mediata

YouTube è stato fondato nel 2005 come sito per la condivisione di video, dai tre ex- dipendenti di Paypal Chad Hurley, Steve Chen e Jawed Karim. Nel giro di pochi anni si è imposto come la più popolare piattaforma video al mondo, permettendo ogni giorno a milioni di persone di guardare, condividere e caricare video, e alle più importanti brand e media company mondiali di distribuire e pubblicizzare i propri contenuti. Nei suoi dieci anni di esistenza YouTube è in effetti diventato sinonimo di ―guardare e caricare video online‖; nei paesi anglosassoni, ad esempio, esso è riuscito ad attuare quel passaggio da nome a verbo, che marca la consacrazione della sua assimilazione nella quotidianità, per cui ―to youtube‖ è utilizzato per indicare l‘atto di cercare video in rete (Strangelove 2010).

Cercando di rintracciare i motivi di tale successo, Burgess e Green (2009) individuano tre principali ―miti‖ attorno alle sue origini. Secondo la versione circolante nella comunità di appassionati di tecnologie, l‘iniziale sviluppo è dovuto ai post dedicati al sito fatti da blog come TechCrunch e Slashdot, particolarmente popolari e autorevoli fra i tech-savvy. Altra spiegazione è quella che attribuisce il successo all‘implementazione di alcune caratteristiche chiave uniche alla piattaforma: 1) il sistema di raccomandazione dei video correlati, 2) la capacità di inviare via mail il link del video facilitando la condivisione, 3) la possibilità di commentare i video e 4) il video player incorporabile in altri siti e blog. La terza narrazione collega invece la sua affermazione alla trainante visibilità ottenuta da uno dei primi video caricati, ossia uno sketch proveniente dalla show Saturday Night Live, che postato su YouTube è diventato velocemente virale1, facendo così conoscere il sito al pubblico televisivo allargato. L‘interesse di queste tre storie supera l‘aspetto puramente aneddotico, poiché esse puntano nel complesso a evidenziare i tre assi che definiscono la sagoma di un social medium, sui quali esso gioca la sua sopravvivenza e la sua popolarità: la collettività degli utenti, le affordance2 e i contenuti. Non c‘è un unico mito fondante poiché non c‘è un‘unica sostanza di YouTube, laddove la

community, l‘infrastruttura e i video compongono inscindibilmente la sua identità. Focalizzando

lo sguardo soltanto sull‘infrastruttura, l‘imporsi di YouTube si conforma alla moderna mitologia

1

I contenuti viral sono quei testi, video o immagini (spesso chiamati appunto anche memi nel gergo dei social network) che incontrano un'improvvisa escalation di successo e condivisione nella rete, tanto da sembrare mossi da meccanismi simili alle epidemie virali; tale effetto epidemico diviene un obiettivo di progettazione per le tecniche del

viral marketing, per cui le agenzie lavorano sulla capacità del contenuto di essere diffuso dagli utenti, piuttosto che

occuparsi direttamente della distribuzione (Cova, Giordano, Pallera 2007).

2

Con il termine affordance si intendono «[…] le operazioni consentite dal medium in quanto artefatto tecnologici. Sono quindi opportunità d‘interazione che gli artefatti mediali possiedono in relazione alle capacità alle capacità cognitive del soggetto» (Boccia Artieri 2004, p. 53). Approfondiremo tale concetto nel paragrafo 6.1 del presente capitolo.

dell‘affermazione della giovane start-up nella Silicon Valley: un prodotto dalle umili origini che riesce a diventare leader di mercato grazie alla creatività degli sviluppatori e alla lungimiranza degli investitori. Allargando però la prospettiva, nel suo successo è leggibile una riconfigurazione della quotidianità digitale, un mutato statuto di Internet da medium essenzialmente testuale, a principale forza abilitante della videosfera contemporanea (Debray 1999). Al momento attuale, infatti, il 64% dell‘intero traffico dati in rete è occupato da video, ma secondo le proiezioni dell‘azienda Cisco Systems, tale numero è destinato a salire entro il 2019 fino a un range compreso fra l‘80 e il 90%3. In Italia, secondo Audiweb, nel maggio 2015, il 79,3% degli utenti della rete ha visitato siti di video, superando fra gli altri i siti di servizi e- mail, visitati nello stesso mese dal 75,7% dell‘utenza4.

L‘immagine in movimento è quindi diventata un elemento naturalizzato nella rete. Ciò non riguarda più la sola fruizione degli audiovisivi in una modalità post-network (Lotz 2007), per cui i dispositivi digitali connessi si fanno estensori della televisione, o semplici supporti per la visione di contenuti digitali. In ballo c‘è un cambiamento più profondo. Esso riguarda il modo in cui il video passa da essere ―la cosa da guardare‖, l‘oggetto finale di una fruizione unidirezionale, al diventare strumento di una relazionalità video-mediata, quale costituente del linguaggio delle interazioni giornaliere nella cultura digitale. Ad esempio: facendo, guardando e commentando video, bambini e genitori attuano un processo di educazione informale, in cui esercitano le reciproche digital literacies negoziando al contempo la propria identità (Lange 2014); attraverso i video postati su YouTube migliaia di persone interagiscono auto-riferendosi come ―community di YouTube‖, costituendo una comunità di pratiche (Wenger 1998) in cui si amplificano relazioni, si collabora alla creazione dei video e si dibatte criticamente sullo statuto della comunità, delineando uno spazio culturale in cui la competenza ―read only‖ lascia lo spazio a uso dei media ―read-write‖ (Hartley 2009); concentrando l‘attenzione del pubblico su video di citizen journalism che riportano fatti esclusi dalla copertura mediatica dei mezzi di informazioni tradizionali, viene data visibilità a preoccupazioni condivise, che aumentano la capacità della popolazione di irritare il repertorio di argomenti della sfera pubblica mediatizzata (Anthony, Thomas 2010, Boccia Artieri 2012); i video ibridano poi in senso multi-modale le comunicazioni testuali online, come quando si partecipa a una conversazione postando frammenti di film, videoclip o programmi tv, veicolando il significato attraverso il ricorso a testi già composti; infine, con i dispositivi mobile, i video ibridano anche le conversazioni offline, fornendo un quasi-oggetto relazionale (Serres 1982, Bartoletti 2002) che struttura le interazioni faccia a faccia, nell‘atto di mostrare a qualcuno una clip, nell‘atto di registrare in prima persona un filmato o nell‘atto di mettersi in scena davanti all‘obiettivo altrui. Il video, in altre parole, viene ad incarnare attraverso l‘intercessione delle tecnologie digitali una logica di fruizione dell‘immaginario che Gemini (2008) definisce performativa; l‘uso del video nei social media

3 <http://www.cisco.com/c/en/us/solutions/collateral/service-provider/ip-ngn-ip-next-generation-network/ white_paper_c11-481360.html> 4 <http://www.audiweb.it/dati/audiweb-database-total-digital-audience-maggio-2015/>

eccede cioè il paradigma rappresentazionista che pone tale artefatto come mediatore di una realtà esterna ―da vedere‖, costituendosi invece come un oggetto mediale esperito attraverso il corpo lungo molteplici traiettorie d‘interazione: esso è condiviso, votato, commentato e ricomposto, nonché toccato a ―passato‖ attraverso i touchscreen.

Il video digitale riconfigura quindi tutta una serie di pratiche quotidiane che vanno oltre la semplice spettatorialità. D‘altronde il mezzo video risemantizza la comunicazione online avvicinandola all‘interazione faccia a faccia (Bruce 1996): esso facilita il processo di identificazione personale, permette la lettura di ampio raggio di segnali emotivi, aiuta la comprensione del discorso e permette a chi guarda di incontrare lo sguardo dell‘altro, attraverso il quale passa sia il senso di intimità che l‘instaurazione di una relazione di potere (Bruce 1996). Tuttavia, come Patricia Lange (2007a) ha rilevato a partire da una delle prime ricerche sul fenomeno dell‘hating su YouTube, l‘aggiunta di indizi facciali e corporei alla comunicazione non è una garanzia diretta di una interazione più cordiale. Malgrado sia estremamente comune fra studiosi, educatori, giornalisti e politici l‘equazione lineare per cui l‘alta conflittualità delle interazioni online è dovuta al freddo anonimato delle comunicazioni testuali, la figura dell‘hater5 risulta ad esempio come una delle più tristemente rappresentative anche su YouTube.

Il fatto che l‘interazione video-mediata su YouTube comprenda la messa in primo piano del volto, dello sguardo e della persona, non comporta necessariamente maggiore empatia. Analogamente, come riporta Englander (2013) riguardo all‘ambito del cyberbullying, le ricerche non hanno raggiunto alcun raccordo unanime sul fatto che gli attori di tali atti rimangano anonimi; il 74% delle vittime adolescenti di cyberbullismo interpellate da Englander dichiaravano anzi di essere a conoscenza dell‘identità dei perpetratori.

Il passaggio dall‘Internet dei testi a ―l‘Internet dei volti‖, in cui YouTube si è dimostrato essere la principale infrastruttura, ha alimentato nuove forme di cortesia e convivialità così come nuove forme di aggressione e comportamenti distruttivi. Ciò non a discapito della penetrazione quotidiana della relazionalità video-mediata, ma proprio in virtù di un avvicinamento ai mondi della vita (Habermas 1986, Mazzoli 2001) per cui la mediazione digitale viene a toccare anche quegli aspetti deteriori, licenziosi, volgari, normalmente occultati dalla sfera pubblica, ma che sono ciononostante parte integrante della vita di tutti i giorni; aspetti che con il ―cambiamento di senso di posizione nella comunicazione‖ (Boccia Artieri 2012) passano dall‘essere celati nelle interazioni al divenire spettacolo pubblicamente visibile.

L‘interesse della presente trattazione risiede pertanto nel modo in cui la derisione con le sue figure idealtipiche – quali lo zimbello, il buffone della classe, lo scemo del villaggio, il

trickster, il capro espiatorio del gruppo, il gonzo credulone e il fenomeno da baraccone – venga

trasposta nei contesti online e su YouTube nello specifico, intersecando le logiche di celebrità, visibilità e circolazione che caratterizzano la piattaforma. Concentriamo quindi in questo

5

Come riassume uno degli utenti intervistati da Lange, l‘hater è colui che insulta senza offrire alcuna critica costruttiva: «A hater is someone who posts a negative comment that doesn‘t offer any criticism or any helpful information. Simply commenting with ―Gay‖ is hater like. Saying ―This sucks go die‖ is hater like. They insult you and offer no suggestions on improvements» (Lange 2007a, p. 6).

capitolo l‘attenzione su YouTube e su quei connotati che lo rendono un terreno fertile allo sviluppo e alla manifestazione di tali fenomeni.

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