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Il contenimento attraverso il ruolo sociale: la persistenza del buffone

Capitolo 1. La star e lo zimbello: media, rituale e derisione

3. Spazio dei media e contenimento del ridicolo

3.1 Significati sociali della derisione: dall‘espulsione alla centralità

3.1.2 Il contenimento attraverso il ruolo sociale: la persistenza del buffone

Altra forma di istituzionalizzazione della derisione, oltre a quella del contenimento rituale, è la concentrazione del ridicolo in ruoli sociali riconosciuti. In numerose mitologie e tradizioni religiose è possibile rinvenire la presenza di figure che personificano il sentimento del comico, soprattutto nelle sue componenti più folli e sovversive verso l‘ordine. Ne è un esempio l‘archetipo del briccone o trickster (Hyde 2001), osservabile in divinità come Hermes e Dioniso nella mitologia greca e latina, in Loki nella mitologia norrena, nel dio ragno Anansi nella tradizione dell‘Africa dell‘ovest e caraibica, nelle figure del corvo e del coyote nel folklore dei nativi americani. Il trickster è colui che denigra le regole, che gioca scherzi alla comunità, che distrugge la norma per puro divertimento, per curiosità o per nutrire i suoi voraci appetiti. In diverse religioni troviamo poi la celebrazione di figure che incarnano un misto di pazzia e santità (Zijderveld 1982), come Nasreddin nella tradizione islamica, i santi folli del cristianesimo ortodosso, o come i clown rituali esistenti fra gli Hopi e Zuni del Nord America, individui che all‘interno delle cerimonie avevano il compito riconosciuto di scherzare gli

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Il nome roast fa riferimento all‘azione metaforica dell‘arrostire (to roast in inglese), ma gioca anche sull‘assonanza con toast (to toast = brindare), a significare una versione parodica del brindisi celebrativo. Sul roast e altre forme di insulto rituale Neu (2008).

officianti e di disturbare l‘atmosfera solenne del rito; persino il sacro, ambito della serietà per eccellenza, comprende talvolta al suo interno particelle circoscritte di anti-serietà. L‘ampia diffusione fra le culture del mondo di ruoli socialmente definiti in cui si concretizza l‘anti- struttura della società (Turner 1972), rende possibile pensare secondo Berger che:

[…] follia e buffoni, come religione e magia, vengano incontro a bisogni fortemente radicati nella società umana. I tratti comuni, pur nella varietà della diffusione culturale, fanno ritenere che questi bisogni possano essere: la violazione dei tabù, l‘irrisione delle autorità e dei simboli religiosi e laici, il rovesciamento della lingua e del comportamento, e una onnipresente oscenità (Berger 1999, p.127).

Tali ruoli si possono manifestare a diversi gradi di formalizzazione. Sempre Berger (1999), adattando al comico la distinzione di Thomas Luckmann fra religione istituzionalmente diffusa e istituzionalmente specifica (Luckmann 1969)19, sostiene che se generalmente il comico si presenta in maniera ―diffusa‖ fra un‘ampia gamma di istituzioni, esso ha prodotto nel corso della storia anche forme istituzionalmente specifiche. Fra quest‘ultime, quella del buffone o fool rappresenta forse la più ricorrente ed emblematica.

Prima ancora che come ruolo o istituzione, il fool è definibile come tipo sociale (Klapp 1949). Nelle sue molteplici declinazioni storiche e culturali, il fool mantiene costante il fatto di manifestare entrambi i lati della derisione, di essere insieme zimbello e trickster: egli è ritenuto ridicolo dal gruppo ma al contempo gode di una particolare libertà nello scherzare ciò che lo circonda. È specialmente nel medioevo europeo – in particolare attorno al Tredicesimo secolo – che esso si manifesta come ruolo specifico, quale individuo che intrattiene la popolazione tramite la sua follia e ridicolaggine. Il sociologo Anton Zijderveld (1982) rileva nel suo studio sul fool, come in questa categoria confluissero sia folli ―naturali‖ che folli ―artificiali‖. Fra i buffoni si trovavano cioè soggetti che ora definiremmo come psicotici o mentalmente ritardati, spesso afflitti anche da deformità fisiche. Vi erano però anche individui che assumevano consapevolmente tale ruolo come professione, quelli che in Francia venivano chiamati fou en

titre d’office (folli ex officio) (Zijderveld 1982). In entrambi i casi, sottolinea Zijderveld, si

trattava di persone marginalizzate, sia dal punto di vista sociale che da quello economico. Essi erano tipicamente costretti al vagabondaggio, per cui impiegavano la propria buffonaggine per divertire i più facoltosi, al fine di ottenere cibo, vestiti e protezione. Al contempo essi possedevano il privilegio di irridere il potere, sia quello laico che quello religioso, di presentare un mondo alla rovescia in cui le gerarchie e le differenze sociali erano capovolte e parodiate. Tale tolleranza delle autorità rispetto al loro agire derivava esattamente dal loro ruolo sociale di folli istituzionalmente riconosciuti. Il fatto che essi fossero naturali o artificiali non aveva in tal senso valore: le loro parole erano in ogni caso inquadrate in quella che in tedesco è definita

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Con ―religione istituzionalmente diffusa‖ Luckmann designa quelle forme religiose che non sono specificate e confinate in una singola istituzione, ma che sono presenti fra più istituzioni sociali, come la famiglia, la politica e l‘economia. Soltanto in determinate società esistono istituzioni destinate specificamente al religioso, come ad esempio la chiesa nel mondo cristiano. Da qui la nota conclusione di Luckmann per cui la crisi delle istituzioni religiose non significa la sparizione della religione, quanto un suo ritorno alla dimensione diffusa (Luckmann 1969).

Narrenfreiheit, ossia la libertà concessa al folle di comportarsi in maniera licenziosa a motivo

del suo distacco dalla realtà ―ufficiale‖.

Fra il Quindicesimo e il Sedicesimo secolo si fa però strada una nuova concezione del

fool e della sua visione del mondo. La follia del buffone non è più soltanto fonte del ridicolo e

del delirio, ma anche di una peculiare saggezza: la sua posizione marginale permette al fool di funzionare come uno specchio che riflette la realtà umana, specialmente quelle componenti più suscettibili ad essere occultate (Zijderveld 1982). Tale idea è notoriamente al centro dell‘Elogio

della follia di Erasmo da Rotterdam. Pubblicato nel 1511, lo scritto del teologo olandese è

riconosciuto come la prima difesa ufficiale della follia nella filosofia occidentale. La follia, per Erasmo, presenta una visione del mondo alternativa, capace di mostrare l‘orgoglio umano in tutta la sua ridicolezza e vanagloria. Nello stesso periodo il fool passa dallo statuto di vagabondo al divenire sempre più una figura stanziale nelle corti dell‘aristocrazia. Alle soglie dell‘età moderna la sua posizione trova quindi una formalizzazione ancora più definita nel ruolo del giullare di corte. Secondo la storica Beatrice Otto (2001) quella del buffone o giullare di corte è una figura quasi-universale. Oltre che nell‘Europa rinascimentale essa è rinvenibile nelle corti dei regnanti di Cina, India, Giappone, Russia, America e Africa. Al di là delle specificità culturali, la caratteristica del giullare è quella di funzionare al contempo da intrattenitore ridicolo e da consigliere per il sovrano, quale portatore di un punto di vista unico garantito dalla sua posizione marginale nella società. Come sottolinea Otto: «The liminal quality of the jester allows him to perceive reality perhaps more clearly than those who are less peripheral to society. The fool knows the truth because is a social outcast, and spectators see most of the game» (Otto, p. 100). Dal punto di vista sociale quella del buffone di corte è quindi una topologia particolare: egli risiede vicino al centro del potere, ma in virtù della sua esteriorità rispetto alla società; gode di una maggiore libertà di espressione rispetto agli altri cortigiani, ma al contempo viene facilmente punito o ripudiato in base agli umori del sovrano; è ascoltato e talvolta apprezzato per la sua arguzia, ma solitamente costretto a indossare costumi grotteschi e a vivere in condizioni umilianti simili a quelle degli animali (Otto 2001). In questo senso il giullare di corte costituisce l‘idealtipo del contenimento del ridicolo, in quanto mostra un tipo di inclusione che avviene in base al riconoscimento della sua radicale alterità.

A cavallo fra il Diciassettesimo e il Diciottesimo secolo il buffone inizia a scomparire dalle corti. Secondo Zijderveld, si può di fatto parlare di un dissiparsi del fool quale ruolo istituzionalmente riconosciuto in corrispondenza dell‘ascesa della borghesia e delle pretese di razionalizzazione del mondo che ne accompagnano lo sviluppo. Dapprima ciò avviene nel senso di un mutamento del significato sociale della follia; da essere intersecata nel tessuto sociale, essa diviene ora un problema unitario che pertiene il governo della popolazione, a cui si fa fronte attuando numerose azioni di confino. Lungo il Diciassettesimo secolo in Europa avviene infatti quello che Foucault (1976) ha definito ―grande internamento‖, quale opera di demarcazione e reclusione del ―pazzo‖ e del ―criminale‖ in strutture apposite come ospedali, asili e carceri. Successivamente, con la retrocessione dell‘intero sistema dell‘Ancien Régime, è

anche la corte quale spazio di visibilità del buffone a scomparire, eliminando così il luogo che su cui si basava la sua esposizione e insieme il suo contenimento. Come riassume Zijderveld, all‘alba della Rivoluzione francese la scomparsa del fool anticipa quella della monarchia assoluta:

Prima, le monarchie assolute dovettero fare a meno dei loro buffoni ―parassitari‖; dopodichè fu l‘intera società a potersi sbarazzare dei monarchi che vivevano come veri parassiti alle sue spalle. In questo senso, il declino del buffone di corte è stato il prologo del declino dell‘assolutismo e quindi il prologo della Rivoluzione del 1789 (Zijderveld 1982, p. 126, traduzione mia).

Nel passaggio da una società stratificata ad una a differenziazione funzionale (Luhmann 2012), cambiano quindi le condizioni di inclusione nella società del fool. Nella società stratificata, la netta separazione fra l‘aristocrazia e il paria-buffone fa in modo che questo possa essere incluso nella corte e che insieme mantenga uno statuto congenito di marginalità. La differenza fra strati fa in modo che la realtà invertita del fool non possa mai contaminare in maniera diretta quella del monarca. Nella società a differenziazione funzionale il fool diviene invece un problema da trattare fra i vari sottosistemi di funzione: è un malato da curare/confinare per il sottosistema sanitario, un portatore di falsità e insensatezza per quello della scienza e un consigliere non più efficace per il sistema politico. Cadono, ovverosia, i presupposti che facevano in modo che il suo ruolo potesse tenere insieme le funzioni di intrattenitore, consigliere e portatore di una folle saggezza.

Se al termine del Diciottesimo secolo il buffone scompare nella sua versione ―istituzionale‖, esso persiste fino al giorno d‘oggi nella in una forma ―diffusa‖. Su un versante il

fool è sostituito dalla rappresentazione del fool, nel senso che esso passa dall‘essere una

mansione all‘essere un personaggio recitato nei teatri e nei circhi, e raccontato nella narrativa comica e nel fumetto. Tracce del fool si trovano prima nella figura dello zanni – l‘animalesco servo della Commedia dell‘Arte –, e poi in quella del clown, fino ad arrivare alle clownesche macchiette comiche cinematografiche interpretate da Charlie Chaplin, Buster Keaton e i Fratelli Marx. Dall‘altra parte il fool sopravvive nella sua forma non rappresentata ma ―vissuta‖ quale ruolo limitato a contesti di interazione circoscritti, come nel caso del buffone del gruppo e del

clown della classe (Damico, Purkey 1978), o come prodotto di etichettamenti rivolti a situazioni

di marginalità sociale, come nel caso dello ―scemo del villaggio‖.

Tuttavia, come vedremo a breve, nell‘attuale panorama televisivo è possibile osservare un parziale ―ritorno del fool‖ (Rojek 2012) in una peculiare commistione di ruolo sociale e personaggio spettacolare, dove l‘assunzione dell‘incarico del buffone può diventare una strategia possibile della celebrità.

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