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Capitolo 2. YouTube: partecipazione, fama e relazioni nella video cultura digitale

3. Il deposito, il canale e la video star: l’evoluzione di YouTube in tre metafore

3.2 Il deposito/oblò

Lanciato ufficialmente il 15 febbraio 2005, YouTube vede il suo primo video caricato il 23 aprile 2005. Si intitola Me at the Zoo e riprende il cofondatore del sito Jawed Karim alla zoo di San Diego. Il video è evidentemente una prova, ma possiede alcuni dei tratti caratterizzanti di questa prima fase della piattaforma: la breve durata (18 secondi), la bassa qualità (240 pixel), il ritrarre un momento di vita e il senso di esitazione e sperimentazione che accompagna l‘incertezza di fronte a un pubblico ancora difficile da immaginare.

Il primo payoff di YouTube, ―Your Digital Video Repository‖, riflette il suo originario intento di fornire un servizio di contenitore per video casalinghi e momenti televisivi da preservare, in modo da poterne facilitare la condivisione su mail, blog e siti. Si tratta quindi di una funzione di deposito in cui non è ancora chiaro agli utenti il tipo di visibilità che essi possono raggiungere postando video sul sito, in quanto a non essere ancora chiara è la sua capacità di poter attirare un pubblico generico. Per tale motivo anche la strategia commerciale del sito è ancora lontana da una definizione univoca: YouTube si dimostra come una start-up estremamente promettente, tanto da attirare consistenti investimenti da parte di fondi venture

capital19 , ma che fatica ancora a capire come produrre utili, visto che non presenta ne pubblicità

ne sottoscrizioni a pagamento. Nel suo primo anno e mezzo di vita l‘immagine dominante di YouTube, soprattutto presso i media tradizionali, è infatti quella del luogo selvaggio, anti- commerciale, al limite dello spazio di condivisione peer-to-peer, per cui vi si trovano trivialità e stralci di vita domestica, persone che provano la propria webcam, come contenuti televisivi protetti da copyright, ma anche le prime forme di remix creativi prodotti dagli utenti. Come riporta uno dei primi articoli con oggetto YouTube usciti sui quotidiani italiani:

Tra questi, c‘è un po‘ di tutto. Una buona parte del materiale è amatoriale e va dalla ragazzina che spiega come realizzare degli effetti speciali con una webcam al video shock di un millepiedi che divora un topolino (solo per citare due tra i più visti negli ultimi giorni). Ma su YouTube viene caricato anche un sacco di materiale protetto da copyright. Ci sono migliaia di videoclip musicali, frammenti di prime visioni cinematografiche, episodi interi di serie televisive […]. Inoltre, ci sono video che mixano creativamente contenuti protetti, come il divertente trailer di ―Brokeback to the Future‖ (il vecchio film ―Ritorno al futuro‖ reinterpretato alla ―Brokeback Mountain‖ suggerendo un amore gay tra i due protagonisti) o un mix di dodici minuti di canzoni dei R.E.M. che fanno da colonna sonora a frammenti di cartoni animati giapponesi20.

Il misto di banalità quotidiana, video shoccanti, remix demenziali e contenuti protetti da copyright ha costituito un imprinting tutt‘ora molto forte sull‘immaginario riguardante il sito. Fatto sta che in questo momento l‘organizzazione dei contenuti è ancora primitiva: YouTube non è localizzato, per cui la home page presenta i video che in quell‘istante sono i più guardati in tutto il mondo; lo logica del canale che produce contenuti in serie è ancora sporadica e valida

19

<http://www.forbes.com/fdc/welcome_mjx.shtml>

20 <http://www.lastampa.it/2006/03/27/tecnologia/il-boom-di-youtube-spaventa-e-seduce-hollywood-discografici-e-

solo per i vloggger, per cui a dominare è un tipo di organizzazione a video singoli; la durata massima dei video è fissata a 10 minuti, il che definisce una fruizione frammentaria e scarsamente immersiva. La navigazione del sito suggerisce in maniera preminente l‘esperienza di un collasso dei contesti (boyd 2008) fra pubblico e privato e fra locale e globale, nonché l‘idea suggerita da Geert Lovink (2012) che la configurazione del database si è sostituita a quella del flusso mediale per cui «non guardiamo più i film o la TV; guardiamo dei database; anziché programmi ben definiti, scorriamo un elenco dopo l‘altro mettendo alla prova i limiti della nostra capacità mentale» (Lovink 2012, p. 201).

Lungo il 2006 sono due le macro-narrative utilizzate dalla televisione e della stampa italiana per inquadrare e metabolizzare YouTube: la popolarità improvvisa di persone che non fanno altro che essere se stesse di fronte a una webcam e il panico morale (Cohen 1972) riguardante i video di atti bullismo nelle scuole.

Nell‘attenzione pubblica a delineare il ―fenomeno YouTube‖ è innanzitutto la facilità con cui video casalinghi privi di reali qualità attirano la curiosità della rete. Si tratta in particolare di video dal tono gioioso, che presentano balletti, karaoke, lip-sync di canzoni famose, rielaborazioni domestiche della cultura popolare globale. Tali espressioni sono descritte primariamente tramite le retoriche egemoniche dei ―15 minuti di fama‖ e della diade

voyeurismo del pubblico/narcisismo del performer, con titoli che enfatizzano l‘immediatezza

della fama, come ―dieci regole per diventare star del web‖21 o ―siamo tutti popstar, i clip fatti in casa invadono la rete‖22

:

Il fenomeno dei videoclip amatoriali, realizzati con mezzi di fortuna ma anche, più raramente, con gusto, intelligenza e doti tecniche sufficienti, sta esplodendo e conquistando un pubblico sempre più ampio. Siti come Google Video o come YouTube propongono quotidianamente centinaia di filmati realizzati da giovani che non chiedono di meglio che il loro video sia visibile sulla rete. Video in cui si limitano a mimare il testo di una canzone, come si faceva un tempo davanti allo specchio nella propria stanza, fingendo di essere una popstar o, nel migliore dei casi, in cui propongono la loro versione di canzoni famose o famosissime, ballando e interpretandola al meglio delle loro possibilità23.

L‘inflazione della celebrità (Rojek 2012) è quindi la principale strategia euristica messa in campo dai media per inquadrare YouTube. Tuttavia esistono anche elaborazioni alternative dello stesso fenomeno, come quella dell‘antropologo Michael Wesch, fra i primi ad aver condotto un‘estesa analisi etnografica su YouTube (Wesch 2008, Wesch 2009). Secondo Wesch il contenuto frivolo di tali video va compreso in una logica di celebrazione delle possibilità di connessione ed esposizione fornite dalla piattaforma. Da Evolution of dance24 a la Numa Numa Dance25 a Where the Hell is Matt?26, molti dei video più virali di questa prima fase trovano un fattore legante nel ballo come espressione festante. Tale entusiasmo non rimane racchiuso nelle

21 <http://www.corriere.it/Primo_Piano/Scienze_e_Tecnologie/2006/08_Agosto/11/youtube.shtml> 22 <http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/2006/04/06/siamo-tutti-popstar-clip-fatti-in-casa.html> 23 Ibidem. 24 <https://www.youtube.com/watch?v=dMH0bHeiRNg> 25 <https://www.youtube.com/watch?v=KmtzQCSh6xk> 26 <https://www.youtube.com/watch?v=bNF_P281Uu4>

clip iniziali, ma diventa la base per un vasto contagio protratto attraverso video di risposta che mimano, riproducono ed estendono il contenuto emozionale originario. In questo modo, sostiene Wesch, viene visibilizzata una forma di comunità adatta al networked individualism (Rainie, Wellman 2012), per cui soggetti dislocati e separati trovano la possibilità di esprimere un substrato esperienziale comune ed emotivamente rilevante.

Ciò dimostra come in questa versione di YouTube-deposito, le possibilità di relazionalità siano ancora al loro stadio di collaudo. Allo stesso modo le dinamiche di viralità si alimentano sulla base di un senso di sperimentazione diffuso. Si cercano di capire le regole del gioco seguendo tali fenomeni, laddove parte della circolazione è proprio guidata da quel misto di curiosità, sorpresa e indignazione con cui ci si interroga sui nuovi meccanismi della popolarità. YouTube si sostanzia quindi come un ―laboratorio di visibilità‖, in cui gli utenti mettono alla prova sia le conseguenze del proprio mettersi in scena, che le implicazioni dell‘osservare i propri pari fare lo stesso. Accanto alla metafora del deposito va quindi anche segnalata una sua funzione di ―oblò‖, nel senso di micro-finestra puntata su spazi quotidiani, intimi e casalinghi, dalla quale si mostra se stessi o ci si sporge per osservare gli altri in maniera non invasiva.

Il sentore di ―possibilità‖ che accompagna YouTube nella sua funzione di deposito/oblò è però teso fra l‘apertura democratica all‘espressività quotidiana e lo scarso controllo sui contenuti. Sebbene video violenti, sessualmente espliciti e razzisti siano proibiti sul sito sin dall‘inizio, la censura nelle sua prima fase agisce in maniera estremamente lieve. L‘attenzione su tale problematica arriva in Italia attraverso i video di bullismo nelle scuole. Nella seconda metà del 2006 i quotidiani riportano infatti quella sembra diventata un‘epidemia sociale di azioni violente, vandaliche, irrispettose degli insegnanti e dei compagni che si svolgono nelle classi di tutta la penisola, alimentate dalla possibilità di essere riprese tramite i cellulari e caricate su YouTube o altre piattaforme come ScuolaZoo27:

Non serve essere grandi esperti della Rete per trovare filmati di studenti sovraeccitati che sembrano divertirsi un mondo a sfottere prof o a devastare banchi e lavagne. Basta cliccare «video scuola» su Google o Youtube e ne escono una valanga. Sono catalogati come «Comedy» «Science and Tecnology» o «Entertainment ». In uno c‘è un bel ragazzo spavaldo con una pistola in mano. Si avvicina alla cattedra e punta la pistola al professore che all‘inizio fa finta di niente, concentrato a scrivere chissà che. Poi si gira, sorride un po‘ smarrito e non dice una parola28.

Che la visibilità di tali atti guadagnata attraverso YouTube abbia effettivamente dato vita a processi di emulazione, o se i media siano stati trascinati dalla logica stilizzante del panico morale (Cohen 1972) è un problema di notevole rilevanza, ma esterno agli intenti esplicativi della presente tesi. Ciò che interessa qui mettere in luce è la prima connotazione pubblica del sito quale spazio ancora liminoide (Turner 1986, Gemini 2003), cioè come ambito più creativo

27 <http://www.scuolazoo.com/> 28

e allo stesso tempo più distruttivo della norma strutturale. Troviamo infatti come nella sua funzione di bazaar o deposito digitale, esso sospenda parzialmente una serie di regole a cui sottostanno i media tradizionali, quali il diritto d‘autore, il contegno nell‘esposizione, la (supposta) meritocrazia, la coerenza fra generi, la profittabilità, ma anche la norma civile della tolleranza e del rispetto reciproco.

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