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Osservando la storia europea, la città costituiva una porzione specifica di spazio dal cui tessuto sociale connettivo coe- rentemente organizzato e stabile emergevano rilevanti emergenze storiche, sociali ed istituzionali. Queste stesse istituzio- ni ricche e culture civiche radicate hanno vigilato sulle città, mantenendone uno stabile schema di riferimento, nonostante i vari stravolgimenti (storici) interni ed esterni. Esse hanno saputo mantenere un buon equilibrio tra quegli interessi lunghi dei propri attori economici (allargati a distanti scale geografiche) che garantivano il successo delle città, e gli interessi corti quotidiani dei loro abitanti (durante il tredicesimo secolo per esempio, Taylor 2010). La città occidentale europea, è stata luogo di libertà economica (commerciale) e di opinione; così come luogo di tutela (i cittadini sono sempre stati aiutati dalle istituzioni urbane perché facenti parte della rete della vita collettiva). Questo è avvenuto fin dai tempi delle città medievali, in cui esse erano al centro dello scambio e della connessione tra sviluppo economico e solidarietà sociale. Anche se non si esclude che oggi molte responsabilità economiche e sociali sono state trasferite alle regioni e allo stato (più di recente an- che a reti internazionali), la città è rimasta luogo privilegiato per l’attività economica e per il welfare, proprio perché

le attività e le persone risultano a contatto tra loro, concentrate e soggette a relazioni di prossimità fisica, in grado

di operare su economie di scala, riducendo i costi della mobilità (interna ed esterna) anche grazie alla ricca dotazione infrastrutturale. Così facendo, la città crea e accumula capitale sociale, proprio grazie alle relazioni di prossimità che pongono l’individuo al centro di un ambiente coeso, denso che si auto mantiene e auto sviluppa.

In Europa la megalopoli non è il modello insediativo prevalente, ma la diffusione delle città medie (tra i 100.000 e 50.000 abitanti) richiama al concetto di coesione sociale. La crescita delle città nel XX secolo è stata graduale e co-

stante, a immigrazione contenuta ed integrata. Le economie urbane, grazie alla presenza del ceto medio nelle pubbliche

amministrazioni, hanno sempre meno dipeso dalle fluttuazione economiche dell’economia globale delle città americane,

Fig.13 La serie delle epoche (fonte: Leone, 2004). La storia dell’insediamento urbano offre un’ampia serie di casi che dimostrano

come, pur se con ampie varianti, alcune costanti definiscono i modi attraverso cui ha preso forma e si è consolidata la città. Si può ipotizzare che tali forme si siano evolute attraverso una sinusoide formata da cuspidi e flessi. Per la città d’Occidente posso- no individuarsi sei periodi: quello antico (A), quello greco-romano (GR), il medio evo (EM), il rinascimento (R), l’illuminismo (I) e l’epoca moderna (M). Tutto si rigenera attraverso punti di crisi che mettono in discussione l’eredità del passato, ma anche in vari modi tutto ritorna. A queste potremmo benissimo aggiungere un settimo periodo, quello contemporaneo della città globale (G). E se oggi, anche questo è in crisi, è interessante domandarsi a quale nuovo modello di città riferirsi per il XXI secolo.

garantendo il compromesso sociale di mezzo secolo, che ha consentito la “protezione pubblica” alle città europee per tre decenni (post-guerra). Questo agire ha fatto in modo che i costi sociali della crescita economica fossero assunti dai

governi nazionali. E le città europee sono state complementari allo Stato nella tutela e costruzione della coesione sociale

(intervento dello stato keynesiano). Così nella città industriale la crescita economica era fortemente sostenuta dall’alta domanda di consumi e la città soddisfaceva al tempo stesso produzione e consumo dei prodotti. Essa era integrata alla

coesione sociale; alla nascita di forti relazioni industriali che creava gli agglomerati si accompagnavano le politiche abi-

tative della tutela delle fasce deboli, così come del sostegno dei consumi. Il capitale sociale di una città contribuiva alla produzione dei beni consumati lì; mentre la produzione che oggi è disintegrata verticalmente; fa riferimento ad un’organiz- zazione flessibile; è internazionalmente interconnessa (seguendo la logica del più remunerativo).

PERIODO Città nel XX secolo, dal dopoguerra per tre decenni.

ATTIVITÀ ECONOMICHE Intensa crescita economica: produzione e consumo di beni in città (industriale) fortemente sostenuta dall’alta domanda di con- sumi.

COSTI SOCIALI Disuguaglianze sociali ridotte e ceto medio notevolmente allar- gato; forti relazioni industriali creano agglomerati urbani; immi- grazione integrata e disoccupazione contenuta.

ATTORI Elite industriali, pubblica amministrazione (statali e locali), ceto medio.

POLITICHE Stato keynesiano (governi nazionali e pubbliche amministrazioni locali si fanno carico dei costi sociali garantendo la protezione pubblica alle città europee tramite politiche abitative di tutela delle fasce deboli e politiche di sostegno dei consumi). Le città europee sono state complementari allo Stato nella tutela e co- struzione della coesione sociale.

RELAZIONE TRA ECONOMIA E SOCIETÀ Le economie urbane garantiscono il compromesso sociale di mezzo secolo: il capitale sociale di una città contribuiva alla

produzione dei beni lì consumati.

SISTEMA DI RIFERIMENTO Secondo una prevalente diffusione di città medie (tra i 100.000 e 50.000 abitanti); la città è rimasta luogo privilegiato per l’attività economica e per il welfare, che fanno riferimento a una speci- fica porzione di spazio, in cui le attività e le persone risultano a contatto tra loro, concentrate e soggette a relazioni di prossimità fisica.

INCLUSI-ESCLUSI Gli esclusi sono “inclusi” dalle politiche del welfare.

Tabella 1.1e La città del XX secolo.

La città durante la globalizzazione

Negli anni novanta l’effetto della deindustrializzazione (determinato dal fenomeno della globalizzazione) porta nuovi rischi sociali, primo fra tutti la disoccupazione. Le persone necessitano nuove bisogni e si spingono alla ricerca di nuovo reddito. La pubblica amministrazione centrale agisce con tagli al welfare, solo in parte delegato alle amministrazioni locali. L’avvento della globalizzazione ha fatto in modo che le città cominciassero a competere tra loro per attirare gli investi- menti delle imprese (che si trovano a operare su mercati sempre più vasti e liberi da ogni sorta di vincoli e barriere). Una volta ottenuti si ha sì la crescita (economica) urbana, ma viene conservata attraverso sacrifici sociali: disuguaglianze

crescenti, cambiamenti demografici provocati dall’immigrazione e dall’invecchiamento della popolazione, una maggior vulnerabilità sociale e nuovi rischi di segregazione fisica e sociale hanno colpito moltissime aree urbane (che richiedono quindi nuovi sforzi politici e nuove risorse per essere risolti).

Se dal dopoguerra le disuguaglianze sociali si sono ridotte e il ceto medio s’è notevolmente allargato e gli esclusi erano solo gli strati più marginali dei lavoratori (disoccupati ed immigrati), oggi anche ampie parti del ceto medio sembrano

avere minori aspettative di miglioramento sociale per la loro e le future generazioni. Gli abitanti della città hanno visto le loro condizioni di vita peggiorare con l’aumento prezzi delle case, la riduzione di qualità e quantità servizi, l’aumento delle tensioni (generata dal contrasto tra le stabili esigenze degli abitanti e quelle temporanee dei city user).

Si generano dicotomie nell’ambiente urbano, diviso tra spazio dei luoghi (che rispetta le condizioni di abitabilità) e spazio dei flussi (quello della circolazione globale di denaro, merci e persone). I flussi di persone che transitano negli aggregati urbani sono sempre più eterogenei: le città assorbivano le popolazioni agricole e degli ex possedimenti coloniali, dando vita a problemi di adattamento e integrazione di queste nuove popolazioni. Se è stato fatto in passato, non si comprende perché oggi la sfida dell’integrazione dei flussi migratori sia così difficile. Il fenomeno dell’immigrazione è sempre esistito, e oggi non si ferma di certo. Gli immigrati sempre più eterogenei, arrivano a flussi sempre più consistenti e vengono sempre più marginalizzati, soprattutto quando i residenti sono costretti a subire le nuove presenze come completamente estranee, incentivando azioni di rimozione e spostamento nelle aree periferiche. E più singole etnie si concentrano nelle sacche, più il divario e l’esclusione aumentano.

Ma le città europee hanno costruito la loro capacità di attrarre capitali e risorse umane pregiate in modo diverso, le une dalle altre. Così come hanno organizzato diversamente il loro spazio interno, le dinamiche e i flussi locali di milioni di cittadini.

A livello urbano, tutto si traduce nel bilanciamento tra spazio dei flussi e spazio dei luoghi: l’intermodalità e l’accessibilità esterna si intrecciano con la mobilità interna; i fattori “duri” della competizione economica internazionale si intrecciano con la qualità della vita; i servizi per la rete globale si intrecciano con i servizi per la cittadinanza.

La vocazione globale e internazionale cambia il tessuto produttivo di ogni città; a seconda di come avviene questo

“mutamento”, ne derivano differenti esiti nella struttura sociale interna, nelle disuguaglianze e nel mercato del lavoro. Questo per esempio, è stato professionalizzato, aumentando in alcuni casi la polarizzazione sociale; i diversi i salari accrescono la distanza fra le élite e il resto della popolazione. La differenza tra ceti medi e i gruppi sociali più vulnerabili cambia da città a città.

Così diverse sono anche le disuguaglianze sociali - territoriali. Ogni realtà, esito di un modello di diffusione urbana, a seconda della relazione tra centro dell’area urbana e zone periferiche, presenterà particolarità differenti. A seconda degli andamenti del mercato abitativo, dei flussi di popolazione che attraversano il territorio urbano, la morfologia fisica e sociale della città urbana ne esce stravolta in modo diverso. Disorganizzata, esposta ai rischi della polarizzazione e della segregazione sociale, ma sempre esito del successo economico che favorisce simili comportamenti speculativi, dando vita a nuove mappe urbane, creando forti aree di riqualificazione abitativa, di rinnovo urbano, destinate ad ospitare le po- polazioni mobili dell’economia globale. Questo “successo urbano” determina processi di sostituzione determinando l’esito delle popolazioni più vulnerabili, sospinte ai margini delle nuove aree “gentrificate”, in territori di peggiore qualità abitativa (gli esclusi). Al centro quindi sono le politiche urbane che giocano un ruolo decisivo nel favorire le nuove tendenze

speculative e nel mitigare la portata e gli effetti più indesiderati.

Ma non c’è solo la globalizzazione dall’alto. C’è anche quella dal basso, composta dai flussi migratori che portano la propria di competitività internazionale. L’immigrazione comporta diversi problemi di integrazione sociale, mostrando la il differente livello di inclusione delle città: diverse saranno le forme dell’adattamento e d’integrazione da città a città, che diventano spazi eterogenei e sempre più multietnici.

PERIODO Dagli anni novanta a oggi

ATTIVITÀ ECONOMICHE Globalizzazione dei processi economici comporta: deindustria- lizzazione; competizione tra città per attrarre nuovi investimenti dalle imprese; crescita (economica) urbana conservata attraver- so sacrifici sociali.

COSTI SOCIALI Nuove disuguaglianze nel mercato del lavoro, nuove disugua- glianze sociali - territoriali, forte immigrazione limitano le prospet- tive di miglioramento sociale delle presenti e future generazioni del ceto medio.

Peggiori condizioni di vita per abitanti della città richiedono nuovi sforzi politici e nuove risorse per essere risolti (disoccupazione , aumento prezzi delle case, riduzione di qualità e quantità servizi, disuguaglianze crescenti, cambiamenti demografici provocati dall’immigrazione e dall’invecchiamento della popolazione, au- mento delle tensioni, maggior vulnerabilità sociale e nuovi rischi di segregazione fisica e sociale).

ATTORI Nuove elite industriali, city users, pubblica amministrazione (sta- tali e locali), ceto medio.

POLITICHE Politiche urbane che giocano un ruolo decisivo nel favorire le nuove tendenze speculative e nel mitigare la portata e gli effetti più indesiderati.

RELAZIONE TRA ECONOMIA E SOCIETÀ La vocazione globale e internazionale cambia il tessuto produt- tivo di ogni città: si generano dicotomie nell’ambiente urbano, di- viso tra spazio dei luoghi (che rispetta le condizioni di abitabilità) e spazio dei flussi (quello della circolazione globale di denaro, merci e persone).

SISTEMA DI RIFERIMENTO Mercati sempre più vasti e liberi da ogni sorta di vincoli e barrie- re).

INCLUSI-ESCLUSI Dicotomie e differenze urbane sempre più accentuate

Tabella 1.1f La città contemporanea.

1.1.7 Tra sviluppo e coesione

Il sistema dell’organizzazione (equa e giusta) sociale deve contenere/contiene contemporaneamente crescita economica e inclusione sociale; aspirando alla costruzione di una base sociale fatta di cooperazione e solidarietà tra cittadini nella costruzione e nella tutela dei beni comuni (Ranci, 2007).

Promuovere la coesione sociale non si traduce nell’intervenire sulle anomalie presenti in un contesto specifico, ma nell’intervenire sulle spinte polarizzanti e destabilizzanti dell’economia, agendo all’interno del corpus sociale che

differisce da paese a paese.

Nel momento in cui si presentano nuove instabilità sociali (minor occupazione, meno possibilità d’accesso ai beni pri- mari, minor relazioni interfamiliari), i tradizionali meccanismi di integrazione sociale –famiglia, lavoro e welfare- non

sono più sufficienti ad eliminare il rischio di esclusione. Come l’attuale destabilizzazione del ceto medio esposto a

una nuova vulnerabilità e instabilità, che mettono a rischio l’autonomia e la capacità individuale e familiare di affrontare con plasticità i problemi sopra citati; viene così meno per gli individui la possibilità di autodeterminare la propria esistenza e libertà.

ripercuotono sulla coesione sociale che a sua volta determina la crescita economica di tutti, permettendo l’accesso al mon- do del lavoro per esempio; ma nella moderna società del rischio qualcosa sembra essere venuto meno. Se il welfare

e le politiche di regolazione pubblica vengono percepite come costo e non come investimento per lo sviluppo, le tematiche sociali vengono marginalizzate. Ma è possibile lo sviluppo senza coesione sociale?

Abbiamo visto come in una qualsiasi città globalizzata, i flussi globali che trascendono i legami con il locale: la coesione sociale resta la variabile indipendente, e negare le relazioni di questa con i fattori di sviluppo sfocia nell’output delle poli-

cies meramente assistenziali (Ranci, 2007). Se in passato la città ha saputo assorbire la popolazione immigrata (meridio-

nali e stranieri), mantenendo buoni livelli di coesione sociale (vero punto di forza), oggi questo elemento viene messo in discussione dalla globalizzazione, che mette in crisi la struttura sociale esistente.

A fronte di questa situazione, è necessario a questo punto cercare di dimostrare di cosa si compone lo sviluppo; di cosa la coesione sociale.

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