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Tra prima e seconda globalizzazione: dallo sviluppo quantitativo a quello qualitativo

Progressivo trade-off tra le funzioni di produzione e quelle di riproduzione sociale svolte dalle famiglie Le famiglie milanesi hanno eccessivi compiti e funzioni da svolgere relative al problema dell’invecchiamento della popola-

B) La seconda interpretazione sottolinea la necessità di un cambiamento di prospettiva che vede al centro il soddisfa cimento dei bisogni locali, a partire dai servizi per la cittadinanza, dalle strategie per il controllo dei flussi migratori e del

1.3 DALLA CRISI A NUOVE VIE PER LO SVILUPPO

1.3.1 Tra prima e seconda globalizzazione: dallo sviluppo quantitativo a quello qualitativo

La prima globalizzazione è identificabile dalle fine degli anni settanta al 2008, e vede come protagonisti gli Stati Uniti d’A- merica, l’unione Europea e il Giappone. È un periodo di forte crescita economica per questi paesi, il cui Pil aumenta a ritmi vertiginosi. Questo cambiamento nei tassi di crescita è avvenuto grazie a due elementi: la mobilitazione individualistica che prevede la centralità del ruolo del mercato rispetto a quello dello stato; la centralità degli interessi politico-eco- nomici anglosassoni, quale unico motore in grado di orientare l’intero processo produttivo tramite la coraggiosa iniziativa delle elite anglo-americane che a fine anni settanta hanno cambiato lo schema del gioco, costruendo una nuova dottrina

8 “On the global level the last few decades have been an ‘era of growth driven by the global poor subsidizing the rich to fuel the

over-consumption of an array of more and more ephemeral goods and services dependent on steeply diminishing returns economics, where the natural world, communities, and society are marginalized.’ The result has been ‘tremendously unsustainable global macro-e- conomic imbalances” (Hague U., The New Capitalist Manifesto, Harvard Business Review, 2011).

9 “ … the age of narrow management approaches, short term thinking, and deepening divides among society’s institutions”, (Porter M., Kramer M., Creating Shared Value, 2011).

10 “… shared value will drive the next wave of innovation and productivity growth in the global economy ” (Porter M., Kramer M.,

basata sul consenso politico interno attraverso una gestione planetaria degli interessi economici nazionali.

Quindi si può affermare che la prima globalizzazione sia stata un successo: per la crescita del Pil (la produzione globale è più che raddoppiata); per la diffusione della democrazia come modello politico di riferimento planetario (col crollo del blocco sovietico e l’affermazione del neoliberismo anglosassone e l’invenzione di Internet – Klein, 2007); per la nuova

infrastruttura tecnica planetaria che ha creato un nuovo mare della tecnica (Magatti, Progetto Milano, 2012), condizione

indispensabile su cui fondare la società globale; e infine grazie alle relazioni con i paesi del terzo mondo per strategie di sviluppo unilaterale e per lo sfruttamento economico (accesso e controllo di materie prime, impiego di lavoro a baso costo, investimenti meno costosi, esportazione di tecnologia). Il successo di alcuni paesi è stato basato sulla divergenza economica tra Nord e Sud del mondo, sulla differenza tra i tassi di crescita della parte sviluppata e quella utilizzata per arricchire i paesi avanzati. Tale successo s’è perpetrato negli anni, fino al 2008, quando è entrato in piena crisi, aprendo la strada della seconda globalizzazione.

Si può affermare che la seconda globalizzazione prende avvio nel 2008 ed è contraddistinta dall’aumento del numero di paesi che partecipano alle sorti dell’economia mondiale; da divergenza economica tra i due blocchi Nord e Sud del mondo si è passati alla convergenza inevitabile, in cui anche i paesi poveri crescono (Spence, 2012). I nuovi paesi protagonisti sono Cina, India, Brasile, Russia e il mondo arabo. Essi stanno vivendo quello che hanno vissuto prima di loro i paesi occidentali, cioè uno sviluppo quantitativo basato su altissimi tassi di crescita annui.

Anche se questo fenomeno dura ormai da mezzo secolo, è in tempi recenti che tali economie hanno assunto un ruolo e un’influenza assai rilevanti nel confronto della nazioni avanzate. La dimensione di tali economie era contenuta e l’impatto sistemico (sui paesi progrediti e sull’economia globale) era limitato. Esse stanno crescendo a ritmi velocissimi: in Asia vive il 60% della popolazione mondiale; questa parte di mondo ha saputo investire sulle proprie risorse umane investen-

do nella scolarizzazione delle stesse, riuscendo a trasformarle in una fonte di sviluppo e crescita certa e continua. Nei

prossimi 25-30 anni la crescita dell’Asia consentirà all’economia mondiale di triplicare il Pil complessivo e le sfide saranno sempre più complesse. L’impatto ambientale della crescita mondiale da 60 a 200 trilioni di dollari ha a che fare con l’im- patto sull’ambiente per quanto concerne l’emissione di CO2; la dimensione e i livelli reddituali dei paesi emergenti hanno un impatto profondo sulle strutture e sulla distribuzione di reddito dei paesi avanzati; risposte inadeguate in questo senso mettono a rischio la coesione sociale.

Il mutamento non è temporaneo, ma è permanente e dovrà svilupparsi una nuova tecnica che dominerà lo scenario

multipolare in cui nessun paese potrà dettare le regole esclusivamente dal proprio punto di vista: - gli equilibri sono assai più complessi, cioè instabili e negoziali;

- l’emergere di nuovi ceti benestanti e, più lentamente, di una nuova classe media planetaria (altamente qualifica-

ta), costituisce un’occasione molto interessante per i paesi esportatori.

Se i nuovi paesi in via di sviluppo crescono ad elevati ritmi di crescita (7% annui), i paesi ricchi non più. Come sostiene Porter devono reinventare il capitalismo, rinnovandosi nel tempo, percorrendo una via diversa da quella precedente: quel- la della creazione di valore condiviso (shared value).

Per intraprendere la nuova strada è necessaria un’innovazione dei rapporti tra gli attori protagonisti dello sviluppo: cioè imprese (soggetti centrali dello sviluppo economico), pubblica amministrazione (garante della collettività, erogatore si servizi locali, gestore della politica estera), società civile (e i relativi diritti e doveri).

Su questa stessa strada anche l’Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico che ha impostato un nuovo set di indicatori per la misurazione del benessere e del progresso. Il tutto per stimolare le politiche (“Better Policies

for Better Lives”) ad orientarsi verso una strada alternativa per lo sviluppo (che non è solo economico). È da circa un de-

cennio che i paesi dell’OECD studiano il funzionamento dei sistemi economici dei paesi guardando le condizioni di vita di persone e famiglie. Per questo “misurare” e quantificare il benessere è una priorità da realizzare tramite un cambiamento di pensiero sintetizzato nel report “OECD Better Life Initiatiative”, redatto nell’ottobre 2011 a Parigi, durante la conferenza “Two Years after the release of Stiglitz-Sen-Fitoussi Report”. Questa iniziativa, lanciata lo scorso maggio 2011, è suddivisa in due parti: quella di “How’s Life?” e “Your Better Life Index”.

Il primo è un report il cui scopo è la ricostruzione della situazione del benessere nei paesi dell’OECD e di altre economie emergenti, guardando specificamente alle condizioni materiali delle persone e alla loro qualità della vita. Il secondo è un sito web interattivo e in costante aggiornamento ed evoluzione (a maggio 2012 le visite si avvicinavano al milione) che permette ai cittadini di misurare e confrontare il benessere dei rispettivi paesi, a seconda dell’importanza che essi stessi attribuiscono alle varie dimensioni della vita. Gli indicatori sono undici, gli stessi per entrambi: reddito e ricchezza, occu- pazione lavorativa e stipendi, condizioni dell’abitare, condizioni di salute, bilancio lavorativo e di vita, istruzione e abilità, connessioni sociali, governance e impegno civico, qualità ambientale, sicurezza personale, benessere personale. Gli aspetti innovativi del report riguardano il focus sugli impatti di individui e famiglie (anziché su i driver ed input econo- mici, e sulle questioni macroeconomiche in generale); e su aspetti soggettivi e oggettivi del benessere. In più il report riporta le ingiustizie nella vita delle persone e l’effetto di alcuni elementi chiave che concorrono a determinare il benessere futuro delle persone.

Negli ultimi quindici anni il benessere è aumentato: le persone sono più ricche e trovano lavoro più facilmente, le

condizioni dell’abitare sono migliorate, l’inquinamento dell’aria è diminuito, la vita si è allungata, l’istruzione aumentata e il crimine diminuito. Ma le differenze tra i paesi sono più ampie; e ancor peggio, alcuni gruppi delle popolazioni (soprattutto quelli meno istruiti e meno ricchi) peggiorano in tutte le dimensioni del benessere considerate. Questo risultato dimostra la tesi del dualismo e delle distanze sociali che l’economia globalizzata porta con sé. Dalle prospettive di vita e condizioni di salute peggiori, ai livelli d’istruzione più bassi, dalla minor partecipazione alla vita pubblica e politica, alle minor disponibilità di reti amicali in caso di necessità; dalla maggior esposizione al crimine e all’inquinamento, alla minor soddisfazione per le proprie vite … rispetto alle persone più istruite e con redditi più alti.

È interessante riportare queste iniziative proprio perché centrali nell’orientare un cambio di prospettiva circa lo sviluppo. Infatti l’immagine della società non può essere solo e sempre “scattata” da indicatori macroeconomici (come il Pil). Se que- sta concezione era ampiamente diffusa durante gli anni della crescita, in quelli contemporanei alla crisi economico-finan- ziaria, si è rafforzata ancora di più; le politiche pubbliche devono tener conto di queste “percezioni” democratiche. Infatti il

benessere viene identificato col miglioramento sociale delle persone e delle famiglie, non solo col funzionamento

economico. La Commissione della Misurazione delle Performance Economiche e del Progresso Sociale (la Commissione Stiglitz-Sen-Fitoussi) ha costruito il discorso su tre questioni rilevanti. La prima riguarda le condizioni materiali (le stesse contenute nel Pil), quali, reddito e ricchezza, occupazione lavorativa e stipendi, gli alloggi. La seconda ha a che fare con la qualità della vita: salute, condizioni di salute, bilancio lavorativo e di vita, istruzione e abilità, connessioni sociali, go- vernance e impegno civico, qualità ambientale, sicurezza personale, benessere personale.

Da queste prime due questioni, che descrivono lo stato di fatto attuale, sono esclusi i più sfortunati, sostanzialmente le persone povere, che non possono accedere a requisiti minimi di vivibilità. Per il futuro la terza questione è quella della so-

stenibilità del benessere nel tempo, cioè nel confermare che i requisiti positivi attuali siano confermati per la vita futura.

Il mantenimento di questa condizione futura è dato dal preservare differenti tipologie di capitale: quello naturale, quello economico, quello umano, quello sociale.Misurare il capitale ambientale -perché la disponibilità di risorse ambientali è una componente critica per la società- si traduce nel misurare lo stock di risorse naturali per paese, soprattutto il suolo e il sottosuolo. È fondamentale sapere quanto queste risorse e altri beni comuni ambientali (mondiali) siano afflitti dai modelli di consumo prevalenti, come sta ad indicare il cambiamento climatico globale, risultato delle principali attività economiche diffuse in tutto il mondo.

La stima della sostenibilità ha che fare con i cambiamenti di tutte le risorse all’interno di un paese, anche quelle non commerciabili, come il capitale umano (per esempio, gli stock di competenze, conoscenza, abilità delle persone …). C’è una diretta connessione tra stime monetarie (costo, livello di spesa e quantità di soldi investiti) e stime ‘fisiche’ di capitale umano (livello di istruzione della popolazione per esempio).Queste ‘valutazioni monetarie’ costituiscono una misurazione che è confrontabile con altrettante stime monetarie, come quelle per il capitale fisico; e in più il capitale umano può essere influenzato direttamente da fattori quali: livello di istruzione, mercato del lavoro, fattori demografici.Le stime monetarie di capitale umano per abitante dimostra una chiara correlazione tra dotazioni di capitale umano (popolazione poco professio-

nalizzata) e scarsi investimenti nell’istruzione; per cui sono utili nel suggerire azioni per il cambiamento.

Questa visione ha al centro il punto di vista di individui e famiglie, principali destinatari e attori protagonisti del benessere. Tuttavia questo stesso benessere non dipende esclusivamente da loro; il ruolo economico, determinante per

il benessere dipende dalle azioni degli attori economici rilevanti su scala mondiale.

1.3.2 La produzione di valore condiviso secondo Michael Porter: legare sviluppo econo-

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