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Il capitale sociale

INEFFICIENZA ALLOCATIVA

1.2 MILANO TRA (INCLUSIONE) GLOBALE E (ESCLUSIONE) LOCALE

Se precedentemente è stato portato avanti il tentativo di raccontare il fenomeno delle città globali e delle conseguenti ricadute locali senza entrare nello specifico di nessuna di esse, si è deciso ora di analizzare il contesto Milanese. Il che si traduce in primis nell’analizzare ruolo e posizione del capoluogo lombardo nella rete globale, valutandone quindi gli effetti di esclusione sociale. Questi ultimi dipendono dallo stato di avanzamento dell’economia della città che ancora non ha completato la transizione economica da centro fordista a postfordista; e più si avvicina al modello globale, più tende a creare dualismi e fratture interne alla struttura sociale. In questi anni di profonda transizione, non è semplice comprende le complesse dinamiche in continua evoluzione che caratterizzano la città contemporanea.

La sezione si propone di “inquadrare” il percorso della regione urbana milanese nel cammino verso la globalizzazione, senza tralasciare gli effetti (sulla morfologia urbana e sociale) che un simile modello economico porta con sé.

Le città europee sono state quelle più capaci di elaborare un modello di sviluppo in grado di coniugare le esigenze della crescita economica e produttiva con quelle della coesione sociale (Benevolo chiama “l’hausmanizzazione della città

storica” la capacità del governo della città di limitare il mercato, di produrre beni pubblici, di regolare la società, senza

permettendo al tempo stesso alla rendita urbana di privatizzarsi spontaneamente sugli spazi della città moderna).

Questa capacità che ha permesso la riproduzione solida e coesa della struttura sociale di Milano per tutto il no- vecento, sembra oggi non essere più presente: qualcosa sembra essere cambiato, e solo nella peculiarità della città

lombarda, a metà strada tra il modello continentale e mediterraneo, potrà trovarsi una risposta competitiva per il futuro.

1.2.1 Milano porta dell’economia globale

È stato precedentemente analizzato il ruolo primario dell’economia globale, che definisce i nuovi rapporti con la politica subordinata alle logiche del libero mercato.

Obiettivo di questo capitolo è cercare di comprendere la posizione di Milano, nel rapporto tra Italia ed estero, tra Nord e Sud del mondo. Il capoluogo lombardo e la costellazione di città che la circonda definiscono gerarchie di mercati e isti- tuzioni (città, imprese, lavoratori, occupazioni), delineando un nuovo profilo “della città”, continuamente attraversata da mutamenti tellurici, che non rendono immediata la previsione di ciò che sta per accadere.

La storia insegna come Milano sia sempre stata città transitiva, di passaggio e comunicazione (di persone, merci, idee e innovazione); oggi Milano deve ribadirlo, ma nel contesto globale, recentemente colpito dalla crisi finanziaria: se Milano agli inizi del 2000 figurava all’ottavo posto nella classifica generale delle città mondiali, oggi è scesa all’undicesimo, (lboro. ac.uk, 2010).

La città presenta un modello ibrido che ha forti relazioni internazionali e forti relazione col paese. Questa della crisi

può essere un’occasione per rialzare le sorti della città, da troppo tempo marginale rispetto alle dinamiche globali.

Ma non è facile capire dove e cosa sia Milano, nemmeno per le classi dirigenti. Si contraddistingue infatti per essere

“una terra di mezzo inafferrabile”: un campo di forze in cui cittadini, imprese, istituzioni non solo statali agiscono e pensano in relazione a ciò che sta oltre i confini della città (Magatti, Progetto Milano, 2012).

Infatti la città deve sempre essere aperta, proiettata all’oltre: è sempre stata il motore dello sviluppo economico del paese, e lo è anche oggi. Ha sempre osservato il sostituirsi di ceti; ospitando il mondo borghese, quello popolare, quello artigiano e operaio, la popolazione laica e religiosa. E oggi ospita il mondo della moda e design, della televisione, della medicina, della finanza, dell’università, del terziario avanzato e della grandi banche. I legami col mondo internazionale sono co-

stituiti da quelle funzioni direzionali e connettive a servizio dei distretti industriali circostanti.

Ma è ancora oggi locomotiva della modernizzazione del paese? La crisi ha messo in evidenza certi blocchi da superare. Osservando la struttura della città, Milano costituisce la porta dell’economia globale. Quale centro finanziario gesti- sce le relazioni tra investimenti nazionali e internazionali.

Come illustra Saskia Sassen (2003), il sistema finanziario internazionale è costituito dalla somma dei sistemi finanziari chiusi (in cui ogni paese duplica le funzioni necessarie alla propria economia, instaurando relazioni di regolazione e com-

pensazioni con altri paesi), dai centri offshore, dalle grandi banche. I mercati che partecipano all’economia sono sempre di più, per cui le forme di collaborazione si fanno sempre più complesse (di portata globale). Tuttavia non tutti i centri fi- nanziari sono sullo stesso livello (Londra e New York, che concentrano enormi quantità di risorse e numero di talenti, sono al primo posto, veri motori propulsori della rete globale; le due città producono ed esportano servizi finanziari). L’Europa invece, che necessita la gestione della moneta unica, vede Francoforte al vertice, che stringe alleanze con gli altri centri finanziari europei di rango inferiore.

Il centro finanziario quindi è la porta d’accesso per la circolazione dei capitali (nazionali ed esteri) dentro e fuori i paesi; collega il mercato globale e la ricchezza di un determinato paese. Più il centro finanziario è attrezzato e dotato di servizi, più crescono le possibilità d’investimento. È la porta d’accesso di funzioni complesse, svolte dalle grandi società dei servizi finanziari, contabili e legali, attraverso società affiliate e filiali (e in tempi di crisi l’afflusso e il deflusso di capitali può avve- nire molto facilmente e velocemente, a partire da quelli nazionali, che possono essere i primi ad abbandonare investimenti non certi). Anche se le reti elettroniche facilitano sempre più le informazioni telematiche, il centro finanziario non smetterà mai d’essere un luogo fisico, richiamando moltissimi risorse e operatori per svolgere complesse operazioni di erogazione di servizi alle imprese e ai mercati globali.

Milano è il primo centro finanziario italiano (ha assorbito nel tempo tutti gli altri centri regionali), e gestisce la mediazione dei fondi degli investitori (italiani e stranieri) nel nostro paese.

Tuttavia ci sono ancora incertezze e incompiutezze circa la relazione dell’internazionalizzazione economica e il siste-

ma produttivo locale. Quest’ultimo è diffuso, frammentato e costituito da piccole e medie imprese a gestione familiare

legate al territorio e poco o per nulla quotate in borsa. Tale situazione non ha portato Milano ad essere alla pari degli altri centri finanziari europei. In assenza di un settore industriale (ormai dismesso), la città si è iperfinanziarizzata (attraverso fusioni e privatizzazioni che hanno cristallizzato il settore, grazie all’intreccio tra classe politica e manager), senza rendere il settore finanziario competitivo nel contesto europeo per capacità di capitalizzazione. Se Milano infatti si globalizza, la finanza rimane il settore meno competitivo (la borsa italiana è stata inglobata da quella londinese). Questo è avvenuto a causa di una classe dirigente assente e della mala politica; ma un tempo (fino agli anni novanta) la finanza milanese era specializzata proprio perché doveva sostenere l’industria; legame che oggi è del tutto scomparso, presentando un modello ibrido esito della città di mezzo, con poca voce internazionale. Infatti l’impresa manifatturiera nazionale e lom- barda oggi sono poco rappresentate dal centro finanziario milanese per via delle rischiose internazionalizzazioni non funzionalmente specializzate.

Ma anche se Milano sembra seguire la vocazione della terziarizzazione e del commercio (internazionale), l’elevata qualifi- cazione del settore manifatturiero non manca[6]. Pur globalizzandosi (il crescere del ruolo storico generale della città nella

configurazione delle gerarchie di potere economico mondiale), Milano non riesce a decidere di per sé, ma dipende dal

sistema finanziario globale.

Per quanto riguarda l’assetto urbanistico, non si riconosce uno sviluppo comune negli episodi individuali delle grandi e pic- cole trasformazioni urbane: cosa che ha portato al nascere di squilibri in città, soprattutto per quanto riguarda la qualità del- la vita. Milano, in questo senso, può essere molto più competitiva. Le nuove condizioni di antropizzazione urbana creano una nuova domanda di residenza, mentre la transitività, che dipende dal ciclo economico finanziario e dalla conseguente entropia decisionale, rende impossibile regolare l’offerta immobiliare (crisi finanziaria, crisi immobiliare).

Se è vero che l’istruzione e la ricerca sono concentrate nel capoluogo lombardo, è anche vero che sono poco proiettate all’estero e che non sono minimamente connesse col tessuto economico circostante.

Nel rank europeo Milano figura al nono posto per dotazione infrastrutturale e internet; anche nei settori in crescita

Milano gode di insufficienti connessioni con l’estero (tecnologie, comunicazione, informazione e servizi avanzati non rap- presentano certo delle eccellenze).

La città inoltre non ha potere di inclusione sociale: è la città più diseguale d’Italia (che comprende un underclass

etnica, la crisi della famiglia come principale agenzia del welfare ambrosiano, la crisi del ceto medio), e tende verso il

dualismo sociale e ed economico.

A metà tra il modello continentale europeo e quello mediterraneo può essere definita come “terra di mezzo” che sta vi- vendo oggi un doppio processo (guidato dall’economia della sua regione): il suo bacino si estende a tutto il nord Italia che guarda a Milano quale centro finanziario per inserirsi nei flussi globali; poiché la città fa parte di una estensione connettiva trans europea.

Non potendo più contare su quei punti di forza che ne hanno assicurato il successo in passato, Milano deve assicurarsi un ruolo di leadership, superando le disarmonie territoriali che la contraddistinguono, portando al termine la transizione che sta vivendo per raggiungere quel capitalismo globalizzato cognitivo, fatto cioè di codici tecnici e di canoni estetici e spirituali (che oggi appare ancora distrettuale e diffuso).

Milano La città presenta un modello ibrido che ha forti relazioni internazionali e forti relazione col paese Livello internazionale Livello locale

Funzioni

- centro finanziario (porta economia globale) gestisce le relazioni tra investimenti nazionali e internazionali (città si iperfinanziarizzata anche se per capacità di capitalizzazione la finanza rimane il settore meno competitivo; la borsa italiana è stata inglobata da quella londinese).

-terziarizzazione e commercio (internazionale)

-Sistema produttivo locale (manifatturiera

nazionale e lombarda)-anche ad elevata qualificazione-diffuso, frammentato, costitui- to da piccole e medie imprese a gestione fa- miliare legate al territorio e poco o per nulla quotate in borsa

Ruolo della città

- Milano non è globalmente autonoma (ruolo marginale, all’ombra di altri centri euro- pei, non decide per sé)

- Ci sono incertezze e incompiutezze circa la relazione dell’internazionalizzazione

economica e il sistema produttivo locale

-La città inoltre non ha potere di inclusione

sociale: è la città più disuguale d’Italia che comprende un underclass etnica, la crisi della famiglia come principale agenzia del welfare ambrosiano, la crisi del ceto medio), e tende verso il dualismo sociale e ed economico

Tabella 1.2a Milano porta dell’economia globale.

Nonostante Milano vanti un modello ibrido, strutturato sull’esistenza di forti relazioni internazionali e col paese, emerge l’incapacità da parte del proprio sistema produttivo (non quotato in borsa perché costitutivo prevalentemente dalla piccola e media impresa) e dall’attore locale (assenza dell’ente area metropolitana) di gestire le proprie risorse in modo efficiente.

Non essendo la città in grado di gestire il proprio interno, anche il livello internazionale è indebolito, e la città non è in grado di emergere, pur vantando settori di punta (non eccelle in nulla).

1.2.2 Milano nodo della rete: dal manifatturiero al “terziario complementare”

È necessario allargare lo sguardo oltre i confini comunali milanesi per comprendere il passaggio da centro industriale a centro postindustriale. Milano ha infatti vissuto un processo di terziarizzazione dal 1970 al 2000, diventando “input

intellettuale e relazionale” per i piccoli centri e la campagna industrializzata circostanti che costituiscono “la fabbrica dei

prodotti materiali”. Quindi la città che si è estesa oltre i propri confini, demandano le funzioni industriali alle città circostanti, non è più un nucleo autosufficiente. La nuova divisione del lavoro la rende centro specifico dell’immateriale: la città ha bisogno di fare scambio attraverso una rete di contatti che funzionano solo aprendosi all’esterno (il tutto è avvenuto e sta avvenendo in modo spontaneo, tramite azioni soggettive che si sviluppano nei diversi territori). Il core è al centro di una rete che lo collega con la periferia; ma è una rete invisibile, perché oltre lo scambio di merci, conoscenze e servizi non c’è contaminazione tra le parti. Gli attori (politici, economici, sociali) che sono altro dal core ne riconoscono la funzione utilitaria o contingente senza però sentirsi parte di esso.

Il concetto di rete, di per sé, sottende una propria unità funzionale in cui le singole identità stanno assieme, senza creare una disordinata somma di differenze come invece accade per il contesto lombardo (nella cui dispersione insediativa si

legge uno sviluppo spontaneo). Rete significa bene comune, condivisione, specializzazione delle risorse.

Di per sé, la produzione di valore viene garantita dalla filiera e non dalla singola impresa. Essa fa riferimento a un processo condiviso (Porter e Kramer) che mobilita le energie di molti produttori autonomi, situati in luoghi diversi. Tra i “diversi” sono necessarie forme di collaborazione affidabili; e da questa reciproca cooperazione e responsabilità, deriva l’obiettivo di ottenere uno shared value, un valore aggiunto condiviso (dato per l’appunto dalla reciproca cooperazione e dalla condivisione di responsabilità)[7].

Guardando il capitalismo italiano, si contano 4.500 imprese medie che delegano a esterni l’80% del valore che portano sul mercato, creando un meccanismo produttivo multi-imprenditoriale. L’outsourcing riguarda l’energia, i materiali, i servizi, le conoscenze, le consulenze … e se alcuni distretti industriali italiani sono posizionati nel circuito di prossimità, mentre altri sono inseriti in reti internazionali, creando un sistema produttivo congiunto e plurilocalizzato.

La natura di nodo e di rete della città non sembra essere percepita dagli attori che operano in Milano. Il processo di produ- zione è diffuso ed esteso a tutta la rete; ma le esigenze della città economica reale sono disallineate con la rappresentazio- ne politico-istituzionale (a partire dall’assenza dell’ente dell’area metropolitana). E, se è vero che Milano vanta eccellenze, queste non sono in grado si superare quelle dei competitor globali: ne risulta infatti una città non specializzata, ma che fa tutto bene senza detenere primati. E se la competitività porta nuove sfide e protagonisti in più nel paradigma produttivo emergente del capitalismo globale della conoscenza, si aprono quindi nuove possibilità per tutti.

Per comprendere come si è arrivati a questa situazione si riprendono alcuni passaggi chiave nell’evoluzione del sistema urbano milanese, tra crescita economica e coesione sociale.

La storia dice che Milano s’è sempre trasformata; oggi deve continuare a farlo per essere protagonista dello sviluppo (italiano), senza dimenticare quello che è avvenuto in passato. Le relazioni tra coesione sociale e sviluppo milanesi sono state messe in crisi tre volte dal dopoguerra a oggi.

1) Dagli anni cinquanta agli anni settanta, Milano rappresenta la città fordista della grande fabbrica (bruco fordista) ospi-

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