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Le considerazioni sin qui svolte sulle norme “anti-deficit” formalizzate ne

democratico nell’Unione europea

4. Le considerazioni sin qui svolte sulle norme “anti-deficit” formalizzate ne

Trattati (o in via di formalizzazione) non escludono la prassi anticipatrice del- l’attività del Consiglio europeo e delle istituzioni comunitarie. Essa rappresenta una costante del processo di integrazione europea, normalmente recepita dagli Stati membri in sede di Conferenza intergovernativa per la revisione dei Trattati comunitari e di Unione36. Ciò anche per effetto della interconnessione tra ordi-

namento internazionale, ordinamento comunitario-unionistico e ordinamenti

35 Cfr. i. caracciolo, La rilevazione dei valori democratici nell’Unione europea. Una proie-

zione internazionale per l’identità giuridica occidentale, Napoli, 2003.

36 Ai fini di sottolineare il valore della prassi politica come fattore di innovazione immanente sarebbe irrealistico negare che l’evoluzione dell’ordinamento comunitario-unionistico risulta le- gata anche a certe manifestazioni di volontà politica espresse dai Capi di Stato e di Governo nelle Conclusioni del Consiglio europeo e poi recepite in sede di Conferenza intergovernativa. V. per tutti c. reich, Le développement de l’Union europèenne dans le cadre des conférences intergou-

vernementales, in RMCUE, 1991, p. 704 ss., nonché J. erik Fossum, a. J. menénDez, op. cit., in

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nazionali37. Anzi, è soprattutto nelle fasi più delicate di edificazione della costru-

zione europea che l’ordinamento comunitario-unionistico rinsalda le sue basi e fa leva o si appoggia sull’ordinamento internazionale e sugli ordinamenti degli Stati membri, essendo tutti legati da un comune riferimento ai principi e valori propri della democrazia espressione della civiltà giuridica38.

Si potrebbe, quindi, ipotizzare che, non solo i processi di revisione sono stati, come già detto, anticipati o quasi preannunciati, ma altresì indirizzati dagli orientamenti del Consiglio europeo, dalle consolidate interpretazioni della Corte di giustizia, anche nella sua interazione con le giurisdizioni nazionali, nonché dai diversi atti delle istituzioni comunitarie in comune adesione, come in prece- denza accennato, a quei valori democratici condivisi dall’insieme degli Stati membri. In questo senso, sebbene il settore più ampiamente coinvolto sia quello dei diritti umani nella loro accezione di diritto alla democrazia39, non mancano

37 Ciò deriverebbe, secondo la teoria della multilevel governance, dal connaturato policentri- smo politico-istituzionale dell’ordinamento comunitario-unionistico (i. pernice), retto dal princi-

pio di sussidiarietà. Non si ignora, tuttavia, il carattere critico delle affermazioni poste a sostegno del multilevel degli ordinamenti, delle istituzioni e dei diritti individuali. Diversamente da molti ordinamenti federali, i parametri e criteri finalizzati a rendere unitario il sistema lungi dall’essere regolati in senso normativo (c.d. Geregelt) appaiono forse volutamente affidati a meccanismi non predeterminati e non predeterminabili lasciati a mediazioni politico-istituzionali non suscettibili di regole preventive (c.d. Ungeregelt). Questa distinzione richiama la teoria tradizionale dello Stato, inteso come norma e decisione e, viceversa, dello Stato, inteso come fatto o effettività lasciata al buon governo dei detentori delle istituzioni, sia di Stati singoli, sia di Unioni di Stati. Proseguendo nell’analisi critica, le stesse osservazioni devono farsi se il multilevel trova i propri punti di sutura nel criterio sempre proclamato della sussidiarietà verticale ed orizzontale fra gli ordinamenti, nelle correlate competenze concorrenti o potenziali e, infine, negli spazi lasciati liberi ai privati. In tale radicale indeterminatezza si misurano, quindi, i coefficienti di elasticità della governance e gli spazi molto ampi lasciati all’autonomia singola o collettiva degli Stati, delle istituzioni locali e degli individui singoli ed associati che li assumono a referenti. Cfr. s. oeter, Integration und

Subsidiarität im deutschen Bundesstaatrecht – Untersuchungen zu Bundesstaatstheorie unter dem Grundgesetz, Tübingen-Heidelberg, 1998.

38 Anche volendo prescindere dai meccanismi funzionali di governo e riferirsi ad un “dirit- to pubblico europeo” (così, R. monaco, Primi lineamenti di diritto pubblico europeo, Milano,

1962), – senza per questo risalire troppo indietro allo ius publicum europaeum del 1700 – si può argomentare, come qualche comparatista ha fatto (cfr. m. cappelletti (ed.), New Prespectives for

a Common Law of Europe/Nouvelles Perspectives d’un Droit commun de l’Europe, Boston-Firen-

ze, 1978, p. 75 ss.) sulla “éclosion d’un nouveau droit commun européen et son développement se réalisent tantôt par la volonté des gouvernants, tantôt par la sagesse des praticiens” attraverso fattori ideologici, economici e politici.

39 In tale settore, si tratta per lo più, come è noto, di atti riferibili ad una fonte sussidiaria del diritto internazionale e comunitario, cioè alla categoria del diritto debole (Dichiarazione, Risolu- zioni, ecc.), nel senso di un diritto che, sebbene non obbligatorio, è riconducibile alla diversa giu- ridicità di un diritto persuasivo e monitorio (sul punto, tra gli altri, D. thürer, Soft law, in EPIL,

2000, p. 451 ss., in part. p. 455 in cui l’a., riferendosi all’Unione europea, individua diverse tipo- logie di atti che hanno… a soft law character. “What they all have in common is the intention of their authors to establish standards outside the formal sources of law”). Ciononostante è un diritto che ha contribuito, in linea generale, alla costruzione dell’ordinamento comunitario-unionistico e, nello specifico, anche dello statuto europeo dei diritti fondamentali presentandosi sotto forma di soft law euro-costituzionale (m. panebianco, Soft law euro-costituzionale aperto, in Studi in

Norme “anti-deficit” democratico

norme dei Trattati e Protocolli allegati che hanno finito per recepire in sede di revisione questa generale “attività consuetudinaria e giurisprudenziale di con- vergenza anti-deficitaria”. Basti pensare al principio di sussidiarietà richiamato nel Rapporto del 26 giugno 1975 della Commissione, nella Carta comunitaria dei diritti fondamentali dei lavoratori del 9 dicembre 1989, nella Decisione del Consiglio del 12 marzo 1990, n. 90/141 ed ancora nelle Risoluzioni del Parlamento europeo del 12 luglio e del 21 novembre 1990, che sollecitarono poi la proposta formale del Regno Unito in sede di Conferenza intergovernativa, prima di essere formalizzato nell’art. 3 B (ora art. 5 TCE).

Analogamente, il principio di proporzionalità, anch’esso contenuto nell’art. 5 TCE, è “frutto” giurisprudenziale delle interpretazioni della Corte di giustizia, che ne ha progressivamente definito la “fisionomia”. Così come le Conclusioni del Consiglio europeo di Birmingham del 16 ottobre 1992 e quanto convenuto nel Consiglio europeo di Edimburgo del 12 dicembre 1992 sulla portata ed appli- cazione di entrambi i principi hanno costituito l’oggetto specifico del Protocollo elaborato dalla CIG del 1996 ed allegato al Trattato di Amsterdam (Protocollo n. 30). Gli stessi, infatti, sono stati ritenuti criteri guida della governance demo- cratica40.

Inoltre, il nucleo centrale del Trattato istitutivo di Roma del 1957: il mercato comune, ha ricevuto una più precisa definizione grazie all’interpretazione fornita dalla Corte di giustizia in una sentenza del 198241. A ciò si aggiunge il Libro

bianco sul completamento del mercato interno presentato dalla Commissione in

onore di Gaetano Arangio Ruiz, Napoli, 2004, p. 1362 ss.), confermandosi come diritto in grado

di ispirare l’azione delle istituzioni comunitarie e di tradurre il loro impegno al rispetto dei diritti fondamentali. Più genericamente e dal punto di vista dell’individuazione degli strumenti giuridici del soft law nell’ordinamento comunitario, rileva l’assoluta eterogeneità degli stessi che non trova rispondenza nell’art. 249 TCE (ex art. 189). Anzi potremmo dire che a tale eterogeneità strumen- tale corrisponde, viceversa, l’univoco effetto giuridico di non essere vincolanti, ma legittimanti del law process. A ben vedere a seconda dell’orientamento dottrinale seguito è possibile definire il

soft law o come una tipologia di atti, o come una tecnica di regolazione, ovvero come una sintesi

di entrambe le impostazioni. Sul punto, cfr. a. poggi, Soft law nell’ordinamento comunitario.

Relazione tenuta al convegno annuale dell’Associazione italiana dei costituzionalisti “L’integra-

zione dei sistemi costituzionali europeo e nazionali” – Catania 14-15 ottobre 2005.

40 Analogamente, il libro bianco sulla governance europea, Bruxelles, COM(2001)428 def./2 del 5 agosto 2001, su cui, per tutti, v. a. l. valvo, Contributo allo studio della governance nel-

l’Unione europea, Milano, 2005.

41 Limitandosi l’art. 2 TCE a considerare il mercato comune come uno degli strumenti atto a promuovere lo sviluppo armonioso delle attività economiche nell’insieme della Comunità. Ciò derivava dalle particolari caratteristiche di quella che viene definita come prima generazione del regime di liberalizzazione, dominante fino agli anni ‘80, tradottasi nella dimensione c.d. negativa dell’integrazione. Come è stato giustamente notato, il concetto di mercato comune risultava im- manente al Trattato CEE perché richiamato in più disposizioni, ma senza una precisa definizione, tanto da affermare che esso indicasse sinteticamente gli obiettivi economici della Comunità. In questo senso, r. monaco, Art. 2 TCEE, in r. QuaDri, r. monaco, a. trabucchi (a cura di), op.

cit., p. 34 ss. Viceversa, nella sentenza della Corte di giustizia del 5 maggio 1982, causa 15/81, Gaston Schul Douane Expediteur BV c. Ispettore dei tributi d’importazione e delle imposte di consumo di Roosendaal, Raccolta, p. 1409, punto 33, risulta che la nozione di mercato comune

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occasione del Consiglio europeo di Milano nel giugno 1985, successivamente ripreso e inserito nelle disposizioni comunitarie dall’Atto unico europeo (Dichiarazione n. 3). Considerazioni analoghe possono svolgersi in ordine all’ar- ticolo sull’istituzione della cittadinanza europea e del correlato e connesso rico- noscimento dei diritti fondamentali dello status civitatis europeo, la cui idea, risalente ai Vertici di Parigi del 1972-1974, prende corpo al Vertice di Fontainebleau del 1984 attraverso la creazione del gruppo ad hoc “Europa dei cittadini”. Ha, poi, dovuto attendere i Consigli europei di Madrid del 1989 e di Dublino del 1990 per essere recepita nell’art. 8 TCE (ora art. 17), ed essere inse- rita tra gli obiettivi dell’Unione all’art. 2 TUE42. Così come la formalizzazione

del diritto di accesso ai documenti (attuale art. 255 TCE), è stata preceduta da una “prassi intergovernativa ed interistituzionale”, ispirata al più ampio princi- pio di trasparenza e di accesso a tutte le forme di governo democratico43.

Queste ed ulteriori ipotesi, non suscettibili di essere approfondite in questa sede, potrebbero essere additate come esempi di tale operazione di recezione, esempi peculiari e qualificanti l’oggetto dei processi di revisione. Non da ultimo,

“(…) mira ad eliminare ogni intralcio per gli scambi intracomunitari al fine di fondere i mercati nazionali in un mercato il più possibile simile ad un vero e proprio mercato interno”.

42 Senza voler ricostruire il processo definitorio della cittadinanza europea e dei relativi diritti, oggetto di una amplissima letteratura (cfr. tra gli altri, g. corDini, Le linee evolutive della cittadi-

nanza europea. Profili costituzionali, in Studi in onore di Fausto Cuocolo, Milano, 2005, p. 245

ss. e m. conDinanzi, a. lang, b. nascimbene, Cittadinanza dell’Unione e libera circolazione del-

le persone, Milano, 2006, II ed.), sta di fatto che i diversi progetti, atti, proposte, lavori preparatori

segnalano la progressiva affermazione democratica della vita istituzionale comunitario-unionisti- ca, che ha preceduto la formalizzazione nel Trattato di Maastricht.

43 In questo senso, il principio di trasparenza si è gradualmente affermato nella prassi attraverso l’adozione di specifiche misure “organizzative”, sia intra-, sia extra-istituzionali. Si ricordano la risoluzione del Parlamento europeo sulla pubblicità della gestione comunitaria, GUCE C 172, 24 maggio 1984, p. 176, la risoluzione del Parlamento europeo sulla pubblicità delle procedure co- munitarie, GUCE C 49, 22 gennaio 1988, p. 175 e, con specifico riferimento al diritto di accesso del pubblico ai documenti, la direttiva 90/313/CEE del Consiglio, del 7 giugno 1990 recante la libertà di accesso all’informazione in materia di ambiente, GUCE L 158, 23 giugno 1990, p. 56 (abrogata dalla direttiva 2003/4/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 28 gennaio 2003,

GUUE L 41, 14 febbraio 2003, pp. 26-32). Similmente su questo punto anche le Conclusioni

del Consiglio europeo di Birmingham del 16 ottobre 1992 nella Dichiarazione “Una Comunità vicina ai suoi cittadini” (Boll. CE, 10-1992, p. 9, Allegato I), e quelle del Consiglio europeo di Edimburgo del 12 dicembre 1992 nella Dichiarazione intitolata “Trasparenza – Applicazione della Dichiarazione di Birmingham” (Boll. CE, 12-1992, p. 10, punto I.5). Come è noto, a fronte di tali sollecitazioni la Commissione emana la comunicazione 93/C 156/05, del 5 maggio 1993, recante “accesso del pubblico ai documenti delle istituzioni”, GUCE C 156, 8 giugno 1993, p. 5 e la co- municazione 93/C 166/04 del 2 giugno 1993 sulla “trasparenza nella Comunità”, GUCE C 166, 17 giugno 1993, p. 4 a cui fa seguito la “Dichiarazione interistituzionale sulla democrazia, la traspa- renza e la sussidiarietà” del Parlamento europeo, del Consiglio e della Commissione concernente la trasparenza del processo decisionale delle istituzioni dell’Unione, GUCE C 329, 6 dicembre 1993, p. 132. È in attuazione della anzidetta dichiarazione che con decisione del Consiglio e della Commissione europea, 93/730/CE, del 31 dicembre 1993, viene emanato il “Codice di condotta relativo all’accesso del pubblico ai documenti del Consiglio e della Commissione”, GUCE L 340, 31 dicembre 1993, pp. 41-42.

Norme “anti-deficit” democratico

il Trattato costituzionale, sebbene abbandonato, aveva, comunque, prodotto l’ef- fetto di “deferire la questione al Consiglio europeo” (v. Dichiarazione n. 30)44.

Inoltre, le Conclusioni del Consiglio europeo di Bruxelles del 14-15 dicembre 2006 erano nella direzione del prosieguo della riforma (punto 3 delle Conclusioni) per la necessità di confermare cinquant’anni di valori condivisi (v. Dichiarazione di Berlino del 25 marzo 2007). Sempre le Conclusioni del Consiglio europeo di Bruxelles, 21/22 giugno 2007 hanno elaborato il Progetto di mandato che costi- tuirà “(…) la base e il quadro esclusivi dei lavori della CIG”, invitata ad elabo- rare il “trattato di riforma” che “integrerà nei trattati esistenti (…) le innovazioni risultanti dalla CIG del 2004 come indicato dettagliatamente (…)”.

Sotto diversi aspetti, quindi, i processi di revisione hanno positivizzato prassi sviluppatesi nell’ottica di un consenso generalmente manifestato nella forma- zione di regole, osservate in quanto sentite come vincolanti perché necessarie per la crescita democratica del processo di integrazione europea. Ne è derivata, pertanto, la formalizzazione di un soft law consuetudinario espressione del potere comunitario di indirizzo politico45 e di conservazione dell’acquis comu-

nitario comprensivo di elementi dinamici di adeguamento alla realtà sociale ed economica sottostante alle esigenze del mercato e della Comunità46.

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