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L’ultimo aspetto su cui vorrei richiamare l’attenzione è costituito dal

La libertà di prestazione dei servizi nella giurisprudenza

9. L’ultimo aspetto su cui vorrei richiamare l’attenzione è costituito dal

carattere transfrontaliero della prestazione dei servizi, o forse sarebbe meglio dire la sua significativa assenza in alcune pronunce della Corte.

Già rispetto alla citata sentenza Carpenter63 vi è modo di dubitare della rico-

struzione operata dalla Corte, con particolare riguardo alla rapidità con cui si è affermata l’esistenza di una prestazione di servizi transfrontaliera e soprattutto la sua connessione con un provvedimento di espulsione riguardante soltanto la moglie del prestatore. Tuttavia, pure se con un po’ di fantasia, la Corte aveva pur sempre ravvisato l’esistenza di una situazione rilevante ai sensi del diritto comu- nitario: il detto provvedimento si ripercuoteva – a detta della Corte – negativa- mente su un’attività di prestazione di servizi transfrontaliera.

Nella sentenza Cipolla64, invece, la Corte addirittura ammette esplicitamente

che tutti gli elementi della controversia si collocano all’interno di un unico Stato membro, e che dunque la situazione in esame è qualificabile come “meramente interna”. Ciononostante, in sede di valutazione della ricevibilità dei quesiti pre- giudiziali, essa ritiene che una risposta possa comunque “(…) essere utile al giudice del rinvio, in particolare nel caso in cui il diritto nazionale imponga, in un procedimento come quello in esame, di riconoscere ad un cittadino italiano

61 Sentenza Omega, cit., punto 39. 62 Sentenza Omega, cit., punti 32 e 36.

63 Sentenza della Corte di giustizia dell’11 luglio 2002, causa C-60/00, Carpenter, Raccolta, p. I-6279.

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gli stessi diritti di cui godrebbe, in base al diritto comunitario, un cittadino di un altro Stato membro nella medesima situazione”65.

Non si tratta certo di una novità, in quanto su questa linea di pensiero si col- locano già la sentenza CAF66 del marzo 2006, l’ordinanza Mauri67 del febbraio

2005, nonché le pronunce Anomar68 e Guimont69.

Quel che però sorprende nel caso Cipolla è che la Corte non abbia dato rilievo alla circostanza che l’estensione al cittadino italiano del diverso tratta- mento riconosciuto, nella situazione in oggetto, al cittadino di un altro Stato membro in base alla disciplina sui servizi, non è per nulla imposta dal diritto italiano. Prova ne è la sentenza della nostra Corte costituzionale n. 61 del 1996, che facendo leva sul diverso collegamento sociale dell’avvocato stabilito rispetto all’avvocato prestatore di servizi, ha escluso l’illegittimità costituzionale della legge professionale che vietava al procuratore legale italiano (e all’avvocato comunitario stabilito in Italia), ma non all’avvocato comunitario in regime di prestazione di servizi, di esercitare fuori del distretto di stabilimento70. Certo, la

figura del procuratore legale è stata poi soppressa71, ma l’affermazione di princi-

pio, ai fini che qui interessano, resta.

Ma allora, si è trattato semplicemente di una svista da parte della Corte di giustizia, pur se motivata dalle migliori intenzioni di fornire un’autorevole inter- pretazione del diritto comunitario quale parametro di valutazione utile eventual- mente ad un organo interno – nella specie la Corte costituzionale italiana – al fine di svolgere il classico giudizio di eguaglianza, e così pervenire ad estendere il trattamento, nella specie più favorevole, di cui gode il prestatore (o destinata- rio) di servizi comunitario anche al prestatore (o destinatario) stabilito invece in Italia? Oppure, si tratterebbe piuttosto di un velato invito rivolto alla nostra Corte costituzionale a rivedere la sua posizione in merito? Quel che è certo è che, come la stessa Corte di giustizia riconosce72, all’esito della sentenza, nella

fattispecie il giudice di Torino non potrebbe, sua sponte, dar seguito alle indica- zioni in tema di (eventuale) incompatibilità tra il sistema nazionale delle tariffe forensi e le regole comunitarie sui servizi, se non coinvolgendo la Corte costitu-

65 Sentenza Cipolla, cit., punto 30, enfasi aggiunta. 66 Sentenza CAF, cit., p. I-2941, punto 29. 67 Ordinanza Mauri, cit., p. I-1267, punto 21. 68 Sentenza Anomar, cit., p. I-8621, punto 41.

69 Sentenza della Corte di giustizia del 5 dicembre 2000, causa C-448/98, Guimont, Raccolta, p. I-10663, punto 23.

70 Corte costituzionale, sentenza del 28 febbraio 1996, n. 61, in GURI n. 10, prima serie spe- ciale, 6 marzo 1996. Cfr. Corte costituzionale, sentenza del 16 giugno 1995, n. 249, in GURI n. 26, prima serie speciale, 21 giugno 1995, e sentenza del 30 dicembre 1997, n. 443, in GURI n. 1, prima serie speciale, 7 gennaio 1998.

71 Legge 24 febbraio 1997, n. 27, in GURI n. 48, 27 febbraio 1997.

72 Cfr. punto 31 della sentenza Cipolla, in cui in sede di valutazione della ricevibilità dei quesiti la Corte adotta una soluzione positiva ma riferendosi al caso (ipotetico e comunque non proprio della fattispecie) di applicazione della normativa italiana controversa a “(…) soggetti residenti in Stati membri diversi dalla Repubblica italiana”.

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zionale nel giudizio di eguaglianza ora menzionato, e con esiti non certo scon- tati.

Comunque si voglia leggere la sentenza, occorre a questo punto fare due precisazioni, necessarie a fugare eventuali confusioni.

La prima precisazione è che il principio comunitario della libera circolazione è volto a realizzare l’apertura dei mercati nazionali così da consentire agli ope- ratori economici comunitari di esercitare le loro attività su un piano transnazio- nale73. “Le libertà di circolazione (…) non intendono [invece] liberalizzare le

economie nazionali ostacolando qualunque norma di origine statale che possa influire sulla libertà economica e commerciale; esse comporterebbero, altri- menti, la fine del potere di regolamentazione economica degli Stati membri”74. In

altre parole, in assenza di interventi normativi di armonizzazione delle regole nazionali, le libertà economiche fondamentali previste dal Trattato CE richie- dono agli Stati membri esclusivamente di consentire agli operatori comunitari di esercitare liberamente le loro attività sul proprio territorio nazionale. Consentire la prestazione di servizi in uno Stato membro diverso da quello di stabilimento significa permettere effettivamente al prestatore di esercitare la sua attività in tale Stato, il che comporta l’obbligo da parte di quest’ultimo di eliminare ogni ostacolo che possa rendere anche solo meno attraente la prestazione del servizio sul suo territorio. Come è noto, subordinare l’esercizio della libertà di presta- zione dei servizi alle stesse condizioni poste per lo stabilimento priverebbe del suo effetto utile la disciplina volta a garantire la libera prestazione dei servizi, in quanto il soggetto coinvolto è già sottoposto alle regole proprie dell’ordina- mento dello Stato in cui è stabilito. È in questo senso che l’applicazione del principio di libertà di prestazione dei servizi può tradursi in una situazione di maggior favore formale per i prestatori (o i destinatari, all’occorrenza) rispetto ai cittadini e residenti del Paese in cui la prestazione è fornita.

Tuttavia, il diritto comunitario non richiede che in casi del genere il tratta- mento riservato ai soggetti stabiliti nello Stato di destinazione del servizio sia equiparato a quello eventualmente più favorevole riconosciuto al prestatore in regime di circolazione di servizi. La disciplina dei servizi, infatti, impone sem- plicemente che la prestazione transnazionale degli stessi sia consentita in ogni caso, senza riguardo alla condizione degli operatori stabiliti nello Stato di desti-

73 Sentenza della Corte di giustizia del 15 febbraio 2007, causa C-345/04, Centro Equestro da

Leziria Grande, non ancora pubblicata nella Raccolta, punto 20: “Si deve anche ricordare che,

conformemente alla giurisprudenza della Corte, l’art. 59 del Trattato CE esige l’eliminazione di ogni restrizione alla libera prestazione dei servizi imposta per il fatto che il prestatore è stabilito in uno Stato membro diverso da quello in cui è fornita la prestazione (v. in tal senso, in particolare, le sentenze della Corte di giustizia del 4 dicembre 1986, causa 205/84, Commissione c. Germania,

Raccolta, p. 3755, punto 25; 26 febbraio 1991, causa C-180/89, Commissione c. Italia, Raccolta,

p. I-709, punto 15, nonché 3 ottobre 2006, causa C-290/04, FKP Scorpio Konzertproduktionen,

Raccolta, p. I-9461, punto 31)”.

74 Conclusioni dell’Avvocato generale Poiares Maduro del 14 dicembre 2006, causa C-134/05,

Commissione c. Italia (Recupero crediti in via stragiudiziale), punto 6. La sentenza della Corte di

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nazione del servizio, perché non è a tutela di questi ultimi che è posta. E, quindi, non fa obbligo agli Stati membri di modificare la propria normativa nazionale che regoli l’attività in questione, in vista dell’equiparazione del trattamento degli operatori nazionali, o di quelli stabiliti sul territorio nazionale, al trattamento più favorevole riconosciuto dal diritto comunitario al prestatore che operi in regime di circolazione di servizi.

Dunque, eliminare le eventuali discriminazioni a rovescio conseguenti all’applicazione della libertà sui servizi è rimesso unicamente ed esclusivamente alla discrezionalità dei singoli Stati membri, ma non è – si ripete – assolutamente un obbligo comunitario. Perciò, l’attenzione della Corte di giustizia per le situa- zioni meramente interne può al più esser vista in quest’ottica, quella cioè di offrire un’interpretazione autentica del diritto comunitario dalla quale spetterà poi agli Stati membri, laddove questo sia possibile alla luce delle regole nazio- nali, eventualmente trarre le opportune conseguenze sul piano interno.

In altri termini, secondo questa impostazione, la risposta che la Corte forni- sce ai quesiti pregiudiziali posti dai giudici nazionali in un contesto fattuale e giuridico estraneo al diritto comunitario potrebbe fornire la base per lo svolgi- mento di un giudizio (costituzionale) di eguaglianza dinanzi alle giurisdizioni nazionali, ammesso che la posizione del cittadino o dell’impresa comunitaria possa essere in tutti i casi equiparata a quella del cittadino o impresa nazionale, il che, come prima indicato con riferimento ai servizi legali, non è sempre il caso. Questa soluzione appare invero un po’ forzata, posto che la risposta fornita dalla Corte non è idonea ad incidere, quanto meno in maniera diretta, sulla solu- zione della controversia de qua. Tali prese di posizione, adottate in punto di ricevibilità dei quesiti pregiudiziali, rischiano di convertire (e di snaturare) la competenza pregiudiziale in un giudizio obiettivo di compatibilità della norma- tiva nazionale rispetto alle regole comunitarie sul mercato interno, laddove que- ste ultime non sarebbero direttamente rilevanti nella fattispecie de qua, mentre detta valutazione dovrebbe essere svolta più propriamente in sede di procedi- mento di infrazione. Le sentenze della Corte tendono ad ampliare a dismisura la sfera di intervento di quest’ultima, mettendo in discussione le scelte operate dal legislatore nazionale in materia economica anche in fattispecie del tutto estranee al campo di applicazione del diritto comunitario75.

75 Per un chiaro esempio della confusione regnante nella giurisprudenza interna in merito al campo di applicazione delle regole del Trattato relative alla circolazione dei servizi si veda l’or- dinanza del T.A.R. Lazio, sez. I, 23 maggio 2007, n. 880, con la quale il Tribunale, nell’operare il rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia in una fattispecie palesemente interna (impugnazione della revoca delle concessioni TAV in precedenza affidate, senza gara, ad operatori nazionali), è arrivato ad adottare, come provvedimento cautelare in favore delle imprese destinatarie delle concessioni, la sospensione dell’efficacia delle norme di legge (art. 12 del d.l. 31 gennaio 2007, n. 4, convertito con legge 2 aprile 2007, n. 40, GURI n. 77, 2 aprile 2007, Supplemento ordinario n. 91, all’art. 13) che disponevano detta revoca, ritenendo applicabili le regole comunitarie sulla circolazione dei servizi e dei capitali anche in assenza di un pur minimo elemento “transfrontalie- ro”. Prescindendo dal merito della vicenda, ottenuta un’eventuale pronuncia positiva della Corte di giustizia in merito alla incompatibilità della legge con le regole del Trattato, la soluzione orto-

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E veniamo quindi alla seconda precisazione. Se in Italia la soppressione di eventuali situazioni di discriminazione a rovescio può ottenersi mediante un giudizio di costituzionalità della normativa nazionale pertinente in base all’art. 3 della Costituzione, una chance del genere non sempre esiste anche negli altri Stati membri. Per esempio, non si ha in Francia, dove il controllo di costituzio- nalità è solo preventivo e non può essere attivato una volta che la legge sia stata emanata, né un tale meccanismo si rinviene nel Regno Unito.

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