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Vi è poi un altro aspetto nella giurisprudenza della Corte di giustizia che

La libertà di prestazione dei servizi nella giurisprudenza

6. Vi è poi un altro aspetto nella giurisprudenza della Corte di giustizia che

merita un pur rapido cenno. Alcune pronunce sembrano assicurare una maggiore

29 Sentenza della Corte di giustizia del 31 marzo 1993, causa C-19/92, Kraus, Raccolta, p. I- 1663, punto 32.

30 Sentenza Gebhard, cit., p. I-4165, punto 37, enfasi aggiunta.

31 Sentenza della Corte di giustizia del 9 marzo 1999, causa C-212/97, Centros, Raccolta, p. I-1459, punto 34.

32 Sentenza della Corte di giustizia del 4 luglio 2000, causa C-424/97, Haim, Raccolta, p. I- 5123, punto 57.

33 Sentenza della Corte di giustizia del 24 novembre 1993, cause riunite C-267/91 e C-268/91,

Keck et Mithouard, Raccolta, p. I-6097.

34 Sentenza della Corte di giustizia del 15 dicembre 1993, causa C-292/92, Hünermund, Rac-

colta, p. I-6787.

35 Sentenza Alpine Investments, cit., p. I-1141, punto 38.

36 Sentenza della Corte di giustizia del 25 marzo 2004, causa C-71/02, Karner, Raccolta, p. I-3025.

37 Sentenza della Corte di giustizia dell’8 settembre 2005, cause riunite C-544/03 e C-545/03,

Mobistar, Raccolta, p. I-7723.

38 Sentenza della Corte di giustizia del 12 maggio 2005, causa C-287/03, Commissione c. Bel-

Libertà di prestazione dei servizi

considerazione per determinati interessi degli Stati, tra i quali, in particolare, il controllo delle scommesse e del gioco d’azzardo39. Quel che emerge è non solo

l’eccessiva discrezionalità in concreto riconosciuta agli Stati membri nel quali- ficare le esigenze imperative connesse all’interesse generale, ma anche il fatto che, nella sentenza Zenatti40, si sia addirittura giustificata, sulla base di tali (pre-

tese) esigenze imperative, perfino una misura palesemente discriminatoria, deviando così da una giurisprudenza consolidata che invece ha sempre ritenuto indispensabile, in casi del genere, il ricorso alle sole deroghe espressamente previste dal Trattato, e cioè quelle indicate agli articoli 45 e 46 TCE.

Questo atteggiamento “indulgente” della Corte sembra però esser poi venuto meno, almeno a voler seguire una certa lettura della sentenza Gambelli41 e le

precisazioni ivi fatte dalla Corte a proposito della necessità che le misure nazio- nali, da giustificarsi in base ad esigenze imperative, siano indistintamente appli- cabili, e non nascondano piuttosto intenti protezionistici. Rimane qualche dub- bio sulle reali possibilità del giudice nazionale, chiamato, in ultima analisi, ad operare una valutazione obbiettivamente complessa circa la necessità e propor- zionalità della misura nazionale rispetto all’interesse che lo Stato intende proteg- gere (è il caso anche della recente sentenza Cipolla42, in materia di tariffe profes-

sionali degli avvocati, sulla quale tornerò in seguito). Una maggiore chiarezza da parte della Corte nelle risposte ai quesiti pregiudiziali appare allo scopo opportuna, anche per evitare ulteriori richieste di chiarimenti su iniziativa di un insoddisfatto giudice nazionale (è il caso proprio della disciplina italiana delle scommesse, nuovamente all’attenzione della Corte nella causa Placanica, per la quale nelle sue conclusioni del 16 maggio 2006 l’Avvocato Generale Colomer rimprovera apertamente la Corte di mancanza di chiarezza43, nonché ancora della

causa Cipolla44).

Quel che è certo è che la Corte tende ad ampliare progressivamente il campo di applicazione della deroga in discorso, estendendo la nozione di “esigenze imperative collegate all’interesse generale” a categorie di diverso contenuto. Per fornire solo alcuni esempi recenti, si pensi alla libera prestazione dei servizi

39 Per le prime pronunce sull’argomento, v. le sentenze della Corte di giustizia del 24 marzo 1994, causa C-275-92, Schindler, Raccolta, p. I-1039, e del 21 settembre 1999, causa C-124/97,

Laara, Raccolta, p. I-6067.

40 Sentenza della Corte di giustizia del 21 ottobre 1999, causa C-67/98, Zenatti, Raccolta, p. I-7289.

41 Sentenza della Corte di giustizia del 6 novembre 2003, causa C-243/01, Gambelli, Raccolta, p. I-13031. Si vedano anche le sentenze della Corte di giustizia dell’11 settembre 2003, causa C- 6/01, Anomar, Raccolta, p. I-8621, e del 13 novembre 2003, causa C-42/02, Lindman, Raccolta, p. I-13519.

42 Sentenza Cipolla, cit., p. I-11421.

43 Conclusioni dell’Avvocato generale Damaso Ruiz-Jarabo Colomer del 16 maggio 2006, cau- se riunite C-338/04, C-359/04 e C-360/04, Procuratore della Repubblica c. Placanica e a. (Pla-

canica). La relativa sentenza della Corte di giustizia, del 6 marzo 2007, non ancora pubblicata in Raccolta, sembra mantenere ancora alcuni profili di ambiguità.

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Roberto Mastroianni

ospedalieri: esigenze imperative possono essere, in particolare, “il rischio di una grave alterazione dell’equilibrio finanziario del sistema previdenziale, l’obiet- tivo di mantenere un servizio medico-ospedaliero equilibrato ed accessibile a tutti o la conservazione di un sistema sanitario o di una competenza medica nel territorio nazionale”45. Nella più recente sentenza del 9 novembre 2006,

Commissione c. Belgio46, con riferimento ad una disciplina nazionale che obbliga

ad effettuare una trattenuta del 15% sull’importo dovuto alle controparti contrat- tuali non registrate in Belgio, la Corte ha dichiarato che la lotta contro l’evasione fiscale e l’efficacia dei controlli fiscali possono essere invocate per giustificare restrizioni dell’esercizio delle libertà fondamentali garantite dal Trattato47, ma ha

precisato che una presunzione generale di evasione o di frode fiscale non può bastare a giustificare una misura che pregiudichi gli obiettivi del Trattato48.

Ancora, nell’ordinanza Mauri49, la Corte si riferisce alla “necessità di valutare al

meglio le attitudini e le capacità di soggetti destinati ad esercitare la professione forense”.

Se la Corte di giustizia, come si è visto, si mostra incline ad estendere la nozione di motivi imperativi d’interesse generale ad esigenze di tutela nuove, il legislatore comunitario sembra muoversi invece in una direzione diversa, anzi del tutto opposta. La recente direttiva 2006/123/CE relativa ai servizi nel mer- cato interno50, infatti, all’art. 16 prevede sì, in linea con la giurisprudenza conso-

lidata, che gli Stati membri possano subordinare l’accesso ad una attività di servizi o l’esercizio della medesima sul proprio territorio solo a requisiti che rispettino i ben noti principi di non discriminazione, necessità e proporzionalità, ma poi, nel chiarire cosa debba realmente intendersi per “necessità”, piuttosto che richiamare la consolidata giurisprudenza relativa a detta nozione, la direttiva sorprendentemente si riferisce, implicitamente, alle esigenze imperative, limi-

tandosi tuttavia ad indicare come tali le “ragioni di ordine pubblico, di pubblica

sicurezza, di sanità pubblica o di tutela dell’ambiente” (art. 16, n. 1, lett. b). Sul punto la disposizione non solo appare inequivocabile, ma anche categorica, e per

45 Sentenze della Corte di giustizia: 28 aprile 1998, causa C-158/96, Kohll, Raccolta, p. I-1931;

Smits e Peerbooms, cit., p. I-5473; 13 maggio 2003, C-385/99, Müller-Fauré e van Riet, Raccolta,

p. I-4509; 16 maggio 2006, causa C-372/04, Watts, Raccolta, p. I-4325. Conclusioni dell’Avvoca- to Generale Colomer dell’11 gennaio 2007, causa C-444/05, Stamatelaki, cit.

46 Sentenza della Corte di giustizia del 9 novembre 2006, causa C-433/04, Commissione c.

Belgio, Raccolta, p. I-10653.

47 V. sentenze della Corte di giustizia: 8 luglio 1999, causa C-254/97, Baxter e a., Raccolta, p. I-4809, punto 18; 26 settembre 2000, causa C-478/98, Commissione c. Belgio, Raccolta, p. I-7587, punto 39; 4 marzo 2004, causa C-334/02, Commissione c. Francia, Raccolta, p. I-2229, punto 27.

48 V., in tal senso, le sentenze della Corte di giustizia del 26 settembre 2000, Commissione c.

Belgio, cit., punto 45, e del 4 marzo 2004, Commissione c. Francia, cit., punto 27.

49 Ordinanza della Corte di giustizia del 17 febbraio 2005, causa C-250/30, Mauri, Raccolta, p. I-1267.

50 Direttiva 2006/123/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 12 dicembre 2006, rela- tiva ai servizi nel mercato interno, GUUE L 376, 27 dicembre 2006, p. 36 ss.

Libertà di prestazione dei servizi

di più, laddove si nutrissero ancora dubbi in merito, la medesima affermazione è ripetuta in toni identici subito dopo, al par. 3 dello stesso articolo.

La direttiva 2006/123/CE, dunque, appare ridurre sensibilmente lo spazio sinora concesso agli Stati membri dalla giurisprudenza della Corte per legittima- mente ostacolare o restringere la libera circolazione dei servizi. Nei settori coperti dal campo di applicazione della direttiva (in verità non tantissimi, consi- derate le numerosi esclusioni disposte dagli articoli 1-3), allo scadere del termine di recepimento della direttiva (28 dicembre 2009), come giustificazione di misure nazionali restrittive della libertà in discorso gli Stati membri potranno invocare esclusivamente le tre esigenze riprese dall’art. 46 TCE (relativo tuttavia alle misure discriminatorie), più la sola tutela dell’ambiente.

Senza voler entrare nel merito della questione circa la correttezza ed oppor- tunità di tale soluzione normativa, vorrei qui semplicemente sottolineare le con- seguenze di una scelta del genere. Si creano, in pratica, due regimi diversi a seconda della tipologia dei servizi in questione: per quelli che rientrano nel campo di applicazione della direttiva, gli Stati rinunciano per il futuro ed in modo vincolante ad invocare gran parte delle esigenze di tutela riconosciute legittime dalla Corte al fine di giustificare misure restrittive della circolazione dei servizi; per quelli non coperti dalla direttiva, invece, rimane immutata la possibilità per gli Stati membri di invocare tutte le esigenze imperative connesse all’interesse generale individuate finora, o individuabili in futuro, dalla Corte di giustizia.

Quanto detto riguarda, ovviamente, il solo settore delle deroghe relativo alle misure indistintamente applicabili, mentre nulla dovrebbe cambiare, a seguito dell’emanazione della direttiva 2006/123/CE, in relazione alle deroghe che inte- ressano invece le misure discriminatorie, consentite agli Stati membri nelle sole ipotesi espressamente elencate agli articoli 45 e 46 del Trattato CE (richiamati in materia di servizi dall’art. 55). E ciò non solo perché il testo dell’art. 16 della direttiva fa esplicito riferimento a requisiti non discriminatori, con ciò riman- dando alle sole misure indistintamente applicabili, ma anche e soprattutto perché a voler pensare altrimenti, e cioè che l’art. 16 avrebbe come effetto quello di escludere in toto il ricorso a misure discriminatorie, si giungerebbe all’assurdo di modificare una disposizione del Trattato tramite una direttiva. Il che, eviden- temente, non è possibile.

Dunque, non fa male ripeterlo, per quanto riguarda le misure discriminatorie le norme del Trattato rimangono pienamente in vigore e gli Stati membri pos- sono continuare ad invocarle.

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