La fase ascendente del processo decisionale dell’Unione europea e
1. A partire dalla Dichiarazione di Laeken 1 , il dibattito sul ruolo dei parla-
menti nazionali nell’Unione europea ha conosciuto un rinnovato vigore sul piano dottrinale e politico. La Convenzione incaricata di redigere il testo preli- minare di quello che sarebbe stato poi il Trattato costituzionale istituì un gruppo apposito2, mentre il testo definitivo di detto Trattato, firmato a Roma il 29 otto-
bre 2004, contiene varie disposizioni e un Protocollo dedicati ai parlamenti nazionali. Le novità ivi ipotizzate saranno rifuse, con qualche ritocco, nel nuovo Trattato di riforma, destinato a prendere il posto del Trattato costituzionale, ormai accantonato, giusto l’esito del Consiglio europeo di Bruxelles del 21 e 22 giugno 20073. In questa sede, peraltro, non si procederà ad una disamina delle
1 La “Dichiarazione di Laeken sul futuro dell’Unione europea” (v. Allegato I alle Conclusioni del Consiglio europeo di Laeken del 14 e 15 dicembre 2001) menziona al punto II i quesiti con- cernenti il ruolo dei parlamenti nazionali: “La seconda domanda, anch’essa in tema di legittimi- tà democratica, riguarda il ruolo dei parlamenti nazionali. Debbono essere rappresentati in una nuova istituzione, a fianco del Consiglio e del Parlamento europeo? Debbono svolgere un ruolo nei settori d’intervento europei per i quali il Parlamento europeo non è competente? Debbono concentrarsi sulla ripartizione delle competenze fra Unione e Stati membri, ad esempio mediante una verifica preliminare del rispetto del principio di sussidiarietà?”.
2 Si tratta del Gruppo di lavoro IV sui parlamenti nazionali, il cui mandato è descritto nel doc. CONV 74/02, 30 maggio 2002.
3 Il Consiglio europeo ha sancito il raggiungimento di un’intesa sul tema delle riforme istitu- zionali: i contenuti di tale compromesso sono esplicitati nell’Allegato I alle Conclusioni di tale vertice, intitolato “Progetto di mandato della CIG”. In sintesi, il Trattato costituzionale viene ab- bandonato in favore di un nuovo Trattato di riforma, che inciderà, sul solco della tradizione degli ultimi trattati di revisione, sul Trattato sull’Unione europea e sul Trattato istitutivo della Comunità europea (destinato a mutare denominazione in “Trattato sul funzionamento dell’Unione”). Per quanto qui interessa, le novità preconizzate nel Trattato costituzionale vengono sostanzialmente
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soluzioni elaborate nell’ambito del cantiere istituzionale – peraltro già discusse in dottrina4 – preferendo rivolgere l’attenzione alle disposizioni e ai meccanismi,
attualmente vigenti a livello europeo5, che sono finalizzati a coinvolgere i parla-
menti nazionali nel circuito decisionale dell’Unione (e in particolare nella c.d. fase ascendente, cioè la fase di formazione degli atti e degli orientamenti poli- tici). Tale approfondimento consentirà di svolgere un esame critico delle novità introdotte nel nostro ordinamento con la legge n. 11/20056 – che ha integral-
mente sostituito la legge n. 86/1989 (c.d. legge La Pergola) e ha dedicato alcune disposizioni innovative al ruolo del Parlamento nella fase ascendente del pro- cesso decisionale europeo – e di formulare alcune valutazioni con riguardo alla più recente prassi applicativa italiana.
L’approccio qui prescelto, consistente nel verificare dapprima i meccanismi europei vigenti e successivamente la reazione del nostro ordinamento, muove dalla convinzione che il quadro europeo, pur non brillando per la centralità degli organi parlamentari, contenga già oggi alcuni elementi di flessibilità che, se opportunamente sfruttati, possono consentire al parlamento nazionale di trasfor- marsi da mero destinatario passivo di scelte maturate altrove a soggetto attivo, insieme ad altri, nel processo di elaborazione degli atti e degli orientamenti più significativi dell’Unione europea.
riprese nel nuovo Trattato di revisione, con alcune integrazioni tese a rafforzare ulteriormente il ruolo dei parlamenti nazionali nel controllo del rispetto del principio di sussidiarietà, nell’applica- zione della clausola passerella in tema di diritto di famiglia, nelle procedure di revisione e di ade- sione di nuovi Stati (v. punto 11 del Progetto di Mandato; titoli II e IV dell’Allegato 1 al Progetto; punto 2, lett. b dell’Allegato 2 al Progetto). Per un primo commento, cfr. M. C. baruFFi, Raffor-
zato il principio di sussidiarietà: protagonisti i parlamenti nazionali, in Guida al Diritto–Diritto comunitario e internazionale, n. 6/2007, p. 15 ss.
4 Cfr. F. Ferraro, Il ruolo dei Parlamenti nazionali nella fase ascendente del diritto dell’Unio-
ne europea, in DPCE, 2003, p. 183 ss.; C. morviDucci, Convenzione europea e ruolo dei parla-
menti nazionali: le scelte definitive, in RIDPC, 2003, p. 1061 ss.; S. weatherill, Using National
Parliaments to Improve Scrutiny of the Limits of EU Action, in ELR, 2003, p. 909 ss.; R. cipriani,
F. monceri, Il ruolo dei Parlamenti nazionali nel quadro costituzionale europeo, in G. colom- bini, F. nugnes (a cura di), Istituzioni, Diritti, Economia. Dal Trattato di Roma alla Costituzione
europea, Pisa, 2004, p. 109 ss.; a. J. cygan, The Role of National Parliaments in the EU’s New
Constitutional Order, in T. triDimas, p. nebbia (eds.), European Union Law for the Twenty-First
Century. Rethinking the New Legal Order, Oxford-Portland, 2004, I, p. 153 ss.; L. S. rossi, Il
“paradosso del metodo intergovernativo”. L’equilibrio istituzionale nel progetto di Trattato-Co- stituzione, in L. S. rossi (a cura di), Il progetto di Trattato-Costituzione. Verso una nuova archi-
tettura dell’Unione europea, Milano, 2004, in particolare p. 160 ss.; F. bruno, La Costituzione
europea ed i Parlamenti nazionali, in DPCE, 2005, p. 620 ss.; u. villani, Principi democratici e
diritti fondamentali nella “Costituzione europea”, in CI, 2005, p. 643 ss.
5 Per comodità, l’aggettivo “europeo” verrà utilizzato cumulativamente con riguardo ai mec- canismi decisionali contemplati nel Trattato dell’Unione europea e nel Trattato istitutivo della Comunità europea, dovendosi pertanto intenderlo riferito sia al primo pilastro che al secondo e al terzo pilastro (concernenti rispettivamente la Politica estera e di sicurezza comune e la Coopera- zione di polizia e giudiziaria in materia penale).
6 Legge n. 11 del 4 febbraio 2005 (“Norme generali sulla partecipazione dell’Italia al proces- so normativo dell’Unione europea e sulle procedure di esecuzione degli obblighi comunitari”),
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Preliminarmente, appare utile ricordare alcune caratteristiche essenziali del fenomeno dell’integrazione europea e individuare gli elementi critici dal punto di vista della democraticità dei relativi procedimenti istituzionali.
In primo luogo, l’Unione europea è dotata di significativi poteri decisionali (nel senso ampio del termine) che trovano espressione in atti che, una volta adot- tati, si impongono all’insieme degli Stati membri, parlamenti nazionali com- presi. Per quanto riguarda, in particolare, gli atti di natura vincolante, le disposi- zioni relative al processo decisionale conferiscono solitamente all’organo rappresentativo dei Governi (il Consiglio) un ruolo determinante nell’adozione, mentre il ruolo di iniziativa compete alla Commissione europea, organo non eletto dai cittadini né designato direttamente dal Parlamento europeo7, o ai sin-
goli governi8. Quanto agli organi di natura parlamentare, si ricorderà che i
Trattati istitutivi avevano relegato ad un ruolo marginale l’organo rappresenta- tivo dei popoli (il Parlamento europeo), non riconoscendo alcun rilievo ai parla- menti nazionali. Le numerose modifiche intervenute a seguito dell’Atto unico europeo, del Trattato sull’Unione europea (in seguito, TUE) e dei Trattati di Amsterdam e di Nizza hanno incrementato il ruolo del Parlamento europeo (gra- zie soprattutto alle procedure di cooperazione, di parere conforme e di codeci- sione) per ciò che concerne l’adozione degli atti in numerose materie regolate dal TCE: il quadro complessivo risulta tuttavia ancora fortemente sbilanciato a favore del Consiglio, sia in significative materie del primo pilastro9, sia, in
7 Si ricorderà che, ai sensi dell’art. 214 TCE, la formazione della Commissione prevede un coinvolgimento del Parlamento europeo, che ha il potere, in un primo momento, di approvare (o disapprovare) la nomina del Presidente della Commissione designato dal Consiglio (riunito nella composizione di Capi di Stato o di Governo) e, successivamente, di approvare (o disapprovare) l’intero collegio dei commissari, alla cui designazione concorrono i governi degli Stati membri e il Presidente in pectore. Sebbene non debba essere sottovalutata la rilevanza dell’approvazione parlamentare, siamo ancora lontani da una relazione di fiducia parlamentare in senso stretto. 8 Ciò avviene essenzialmente nelle materie comprese nel secondo e nel terzo pilastro (cfr. rispettivamente gli articoli 22, par. 1 e 34, par. 2 TUE). Si consideri poi che l’iniziativa per la revi- sione dei Trattati è riconosciuta, ai sensi dell’art. 48 TUE, agli Stati membri, anche singolarmente, e alla Commissione.
9 Un ulteriore problema, che qui può essere solo accennato, è quello della c.d. comitologia (disciplinata dalla decisione del Consiglio 1999/468/CE, del 28 giugno 1999, recante modalità di esecuzione delle competenze di esecuzione conferite alla Commissione, GUCE L 184, 17 luglio 1999, p. 23 ss.), in forza di cui la Commissione riceve la delega a dare attuazione ad atti adottati dal Consiglio o dal Consiglio congiuntamente con il Parlamento europeo, o ad adattare all’evo- luzione tecnologica determinati allegati o aspetti di detti atti: tale competenza è subordinata a un controllo (sotto forma di approvazione o di parere) da parte di comitati costituiti da rappresentanti delle amministrazioni nazionali. In argomento, cfr. C. F. bergström, Comitology. Delegation of
Powers in the European Union and the Committee System, Oxford, 2005, in particolare p. 249
ss.; M. savino, I comitati nell’Unione europea. La collegialità amministrativa negli ordinamenti
compositi, Milano, 2005, in particolare p. 103 ss.; G. J. branDsma, Accountability Deficits in Eu-
ropean “Comitology” Decision-making, in EIoP, 11, 2007, n. 4 (eiop.or.at, reperibile on line).
Solo recentemente, il Parlamento europeo ha ottenuto una modifica della disciplina della comito- logia (cfr. decisione del Consiglio 2006/512/CE, del 17 luglio 2006, che modifica la decisione del Consiglio 1999/468/CE recante modalità di esecuzione delle competenze di esecuzione conferite
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maniera più evidente e generalizzata, nell’ambito del secondo e terzo pilastro10.
Con riguardo alla determinazione dell’indirizzo politico, è il Consiglio europeo – organo espressione degli Stati membri (in sostanza, dei rispettivi governi) e, seppur in misura ridotta, della Commissione11 – che definisce gli orientamenti
generali dell’Unione e traccia le linee essenziali relative al suo sviluppo (incluse questioni “costituzionali” quali la revisione dei Trattati istitutivi e l’adesione di nuovi Stati)12.
L’impostazione del processo decisionale europeo comporta pertanto che gli organi intergovernativi rivestano tuttora un ruolo di primario rilievo e che la posizione dei singoli Stati all’interno del Consiglio e del Consiglio europeo risulti espressa da un esponente di un organo (l’esecutivo e/o il Capo dello Stato nelle forme di governo di impostazione presidenziale) che sul piano interno non è normalmente titolare di una competenza esclusiva con riguardo alla materia oggetto dell’atto in corso di elaborazione. Difatti, sul piano interno, le compe- tenze normative appartengono in via principale all’organo parlamentare, mentre quelle di indirizzo politico sono normalmente condivise tra Governo e Parlamento, o tra Capo dello Stato e Parlamento. Quand’anche il diritto costitu- zionale statale preveda una competenza normativa in capo all’esecutivo, questa
alla Commissione, GUUE L 200, 22 luglio 2006, p. 11 ss.), volta a integrare il controllo del comi- tato con un propria pronuncia nei casi in cui l’atto di attuazione concerne una materia sottoposta alla procedura di codecisione: in argomento, cfr. G. caggiano, Il consolidamento della disciplina
delle misure di esecuzione e della comitologia a Trattato invariato, in questa Rivista, 2006, p. 505
ss.
Sul negletto tema del controllo da parte dei parlamenti nazionali delle posizioni espresse dai rap- presentanti nazionali in seno a detti comitati, cfr. il 6° rapporto semestrale del Segretariato della Conferenza degli organi specializzati negli affari comunitari ed europei dei Parlamenti dell’Unio- ne europea (d’ora in avanti, COSAC) relativo a “Developments in European Union. Procedures
and Practices Relevant to Parliamentary Scrutiny”, adottato nel novembre 2006 (reperibile on line sul sito www.cosac.eu), in particolare pp. 24-29.
10 Per il secondo pilastro, l’art. 21 TUE circoscrive il ruolo del Parlamento europeo a una con- sultazione non giuridicamente vincolante, ad iniziativa della Presidenza di turno, sui principali aspetti e sulle scelte fondamentali della Politica estera e di sicurezza comune, e all’ottenimento di informazioni, da parte della Presidenza e della Commissione, in merito allo sviluppo della Poli- tica estera e di sicurezza dell’Unione: non è prevista una consultazione sui singoli atti in corso di adozione (strategie comuni, azioni comuni, posizioni comuni, decisioni).
Per il terzo pilastro, l’art. 39 TUE prevede che il Consiglio debba richiedere un parere al Par- lamento europeo prima di adottare decisioni quadro, decisioni o testi di convenzioni (restando escluse dalla consultazione le posizioni comuni): detto parere non è vincolante per il Consiglio. Si noti che le decisioni quadro vengono impiegate per il ravvicinamento delle legislazioni nazionali, sia con riguardo alla definizione degli elementi minimi di taluni reati e il relativo regime sanziona- torio, sia per quanto concerne la realizzazione di meccanismi avanzati di cooperazione giudiziaria, quali il mutuo riconoscimento delle decisioni (si pensi al mandato di arresto e consegna). 11 Esso è composto dai Capi di Stato o di Governo degli Stati membri (affiancati dai rispettivi Ministri degli affari esteri) e dal Presidente della Commissione (affiancato da un altro membro della Commissione).
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risulta pur sempre condizionabile dall’attività legislativa e di indirizzo politico del Parlamento.
Si pongono pertanto due questioni. In primo luogo si può parlare di deficit democratico dell’Unione europea, nelle situazioni in cui il Parlamento europeo non giochi un ruolo decisivo, in quanto non risulta applicabile la procedura di codecisione o del parere conforme. Ciò avviene innanzitutto per la determina- zione, in termini generali, dell’indirizzo politico dell’Unione13. Quanto all’ado-
zione di atti vincolanti per gli Stati, pare opportuno precisare che un deficit democratico non è ravvisabile per il solo fatto che il Parlamento europeo forni- sca un semplice parere non vincolante14 o addirittura non venga consultato15,
dovendosi altresì appurare che in quella materia e per quella tipologia di atto sarebbero normalmente competenti sul piano interno i parlamenti nazionali16.
In secondo luogo, si profila un problema di rappresentatività della posizione espressa dal singolo esponente governativo in seno al Consiglio o al Consiglio europeo: dal punto di vista dell’ordinamento interno, l’assetto configurato dai Trattati istitutivi rischia di alterare in profondità i tratti caratteristici delle strut- ture costituzionali statali – soprattutto di quelle ispirate al modello della demo- crazia parlamentare17 – ove non vengano predisposti accorgimenti idonei ad
assicurare che la suddetta posizione recepisca gli orientamenti espressi dalle assemblee parlamentari o sia comunque da queste conosciuta e condivisa. Con riguardo a questo profilo, piuttosto che l’espressione, talvolta abusata, di “deficit democratico”, sembra più appropriata quella di “deficit rappresentativo”18; inol-
tre, l’incidenza di questo fenomeno si atteggia variamente in funzione dell’as-
13 Tale dimensione risulta spesso trascurata nelle analisi del c.d. deficit democratico. 14 Alcune materie del primo pilastro, nonché le materie oggetto del terzo pilastro. 15 Si pensi agli atti adottati nel secondo pilastro.
16 La precisazione non è superflua: preme sottolineare che alcune competenze comunitarie (ma il ragionamento vale in termini più generali per le attività dell’Unione nel suo complesso) non danno origine a norme in senso stretto, risolvendosi in atti di portata non vincolante o in misure di incentivazione, mentre in certe materie si tratta di argomenti di natura tecnica, che raramente sono oggetto negli Stati membri di una regolamentazione di rango legislativo. Per una considerazione analoga, v. anche u. villani, Il deficit democratico nella formazione delle norme comunitarie, in
DCSI, 1992, p. 599 ss., in particolare p. 602.
17 Si noti che nel gruppo degli Stati membri il modello presidenziale è stato per lungo tempo rappresentato dalla sola Francia: con i cambiamenti prodottisi dopo la caduta del muro di Berlino e le adesioni degli ultimi anni, tuttavia, il numero dei Paesi membri dell’Unione europea che si ispirano al presidenzialismo (o alla variante “francese” del semipresidenzialismo) è significativa- mente aumentato. In argomento, cfr., tra gli altri, S. bartole, Riforme costituzionali nell’Europa
centro-orientale, Bologna, 1993; l. pegoraro, a. rinella (a cura di), Semipresidenzialismi, Pa-
dova, 1997, p. 219 ss.; g. De vergottini, Le transizioni costituzionali: sviluppi e crisi del costitu-
zionalismo alla fine del XX secolo, Bologna, 1998; P. lavaux, Destins du présidentialisme, Paris,
2002.
18 Come autorevolmente suggerito da L. violante, Raccordo legislativo fra Unione europea e
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setto della forma di governo del singolo Stato19, in proporzione maggiore di
quanto non accada per il deficit democratico propriamente detto.
Tali problematiche risultano peraltro acuite dal progressivo ampliamento da parte delle istituzioni europee delle proprie competenze (operato soprattutto grazie a basi giuridiche c.d. “orizzontali”20 e alla clausola di chiusura sui c.d.
poteri impliciti21), tanto da sollevare dubbi circa l’effettiva rilevanza del principio
di attribuzione all’interno dell’UE e da indurre alcune corti costituzionali statali22
a sollevare perplessità circa la conformità alla rispettiva legge fondamentale della sottrazione “strisciante” di competenze a scapito (soprattutto) del parla- mento nazionale e ad attribuire rilievo primario ad una rigorosa applicazione dei principi che regolano l’attribuzione e l’esercizio delle competenze europee e che trovano formale riconoscimento nell’art. 5 TCE23.
A fronte delle tematiche ora delineate, è tempo di approfondire lo stato del- l’arte a livello europeo con riguardo ai margini di intervento dei parlamenti nazionali sui rispettivi governi, per poi passare a studiare le soluzioni elaborate nell’ordinamento e nella prassi parlamentare italiana.