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In Italia, le regole relative al pagamento delle transazioni commerciali tra

La responsabilità delle stazioni appaltanti per ritardato

2. In Italia, le regole relative al pagamento delle transazioni commerciali tra

imprese e pubbliche amministrazioni hanno avuto una profonda evoluzione nel corso del tempo. Alla base di questo comportamento dilatorio è rinvenibile la concezione, risalente addirittura al periodo pre-unitario, di una forte sovraordi- nazione delle pubbliche amministrazioni nei rapporti con i privati. Questa con- cezione, anche se progressivamente ridimensionata nel corso del tempo da sostanziali cambiamenti istituzionali e normativi, nella concreta esperienza degli attuali rapporti commerciali con le amministrazioni sembra talora non del tutto superata.

Per certi versi, è ragionevole che l’amministrazione, nel momento in cui instaura rapporti commerciali con soggetti privati, debba operare sulla base di princìpi e regole speciali. Ciò risulta particolarmente evidente proprio in materia di appalti pubblici. Tuttavia, tali peculiarità, mentre sono giustificate nella fase di selezione del contraente (per varie ragioni, non ultimo il rispetto della concor- renza, la trasparenza della selezione e l’efficienza della spesa), risultano meno condivisibili nella fase di esecuzione del contratto e dovrebbero scomparire del tutto nella fase di conclusione, ossia all’atto della corresponsione del corrispet- tivo pattuito.

Tale interpretazione non pregiudica le esigenze di interesse generale, preva- lentemente volte al controllo della spesa e perseguite dalla disciplina sulla con- tabilità pubblica, a cui sono assoggettate le amministrazioni, proprio con riferi- mento alle procedure da seguire nella fase finale del contratto. In passato, queste esigenze venivano richiamate per giustificare una posizione di privilegio del- l’amministrazione, determinando l’esclusione di qualsiasi azione di tutela da parte dei privati contraenti, dato che gli atti di perfezionamento dell’obbliga- zione (c.d. impegno di spesa) erano ritenuti atti “interni” alla stessa amministra- zione. Ciò ha consentito l’adozione di comportamenti decisamente discrezionali, essendo l’amministrazione libera da ripercussioni in caso di inadempimento o ritardo3.

L’evoluzione costituzionale, con l’introduzione di princìpi come quello di responsabilità, ha consentito una più stretta assimilazione delle obbligazioni pecuniarie pubbliche a quelle private. Pur trattandosi di un significativo passo in avanti, il superamento della concezione di sovraordinazione dello Stato non è stato subito assimilato nella normativa e nella regolamentazione amministra- tiva.

Il ricorso in via giurisdizionale per la tutela degli effetti di mancato o ritar- dato adempimento, consentito esattamente nei termini privatistici (e con le medesime caratteristiche di un intervento ex post e con i ritardi aggiuntivi dovuti all’esercizio della giurisdizione), ha prodotto esiti giurisprudenziali non sempre univoci, in materia di pagamento degli interessi e risarcimento del danno, non-

3 Cfr. G. Della cananea, Lo Stato debitore e il diritto europeo, in Riv. trim. dir. pub., 2002, p. 341 ss.

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ché effetti “reputazionali” molto limitati rispetto a quelli tipici dei rapporti tra privati, alla stregua della buona fede, ossia dell’affidabilità del contraente.

L’ammodernamento delle regole organizzative della pubblica amministra- zione, attraverso la progressiva introduzione dei fenomeni di semplificazione e di delegificazione dell’attività amministrativa, nonché l’espansione dei feno- meni di privatizzazione dei servizi pubblici, ha evidenziato l’esigenza sempre più marcata di contrastare la c.d. devianza finanziaria, la quale impone la revi- sione del rapporto fra trasparenza ed efficienza di amministrazione, al fine di rinvenire soluzioni equilibrate fondate sulla pari ordinazione dei due valori. La “devianza finanziaria” è il principale fattore di arresto dei processi di crescita reale delle organizzazioni pubbliche, ed in una logica di massima semplifica- zione essa è contraddistinta dalla inidoneità strutturale e/o funzionale della pub- blica amministrazione a conformarsi alle regole fondamentali del modulo d’azione prescelto, o normativamente imposto, con la conseguente elevazione del rischio di diseconomicità d’amministrazione, derivante dalle connesse responsabilità patrimoniali del soggetto pubblico nei confronti del terzo4.

Le recenti tendenze normative di lotta ai fenomeni di c.d. “devianza finan- ziaria” prospettano una pluralità di scelte eterogenee, non accomunabili tra loro, talune delle quali – se confrontate con metodo comparativo – esaltano la ricerca di un equilibrio che assicuri, all’interno dell’impianto giuridico, la combinazione tra finalità preventive e repressive. L’introduzione dei princìpi di efficienza, efficacia ed economicità dell’azione amministrativa, sanciti a livello costituzio- nale e ribaditi nella l. 7 agosto 1990, n. 241 s.m.i., non ha prodotto significativi miglioramenti. L’obbligo per ogni amministrazione di definire i termini massimi per la conclusione dei procedimenti amministrativi avrebbe dovuto coinvolgere anche le procedure di pagamento, ma il carattere ordinatorio e non perentorio dell’obbligo, non essendo comminata alcuna sanzione in caso di inosservanza del termine, non ne ha incentivato il rispetto. A ciò, occorre aggiungere i dubbi circa l’applicazione dei richiamati princìpi procedimentali all’attività puramente “interna” dell’amministrazione, quale quella derivante dall’assunzione di un’ob- bligazione pecuniaria5.

Si è, così, determinata una situazione di incertezza circa i termini da rispet- tare nei pagamenti delle pubbliche amministrazioni, all’interno di un quadro generale caratterizzato anche da altre criticità tra cui, in particolare, l’esigenza di un più stretto controllo della spesa pubblica. Com’è noto, in relazione alle obbli- gazioni pecuniarie a carico della P.A., una serie di norme risalenti, di carattere

eccezionale, derogano all’ordinaria disciplina codicistica – alla quale anche l’am-

ministrazione è, in linea di principio, assoggettata –, instaurando un regime di

4 Cfr. ampiamente S. pilato, Trasparenza amministrativa e devianza finanziaria negli enti

locali, spec. paragrafi 2-3, in G. benacchio(a cura di), Osservatorio di diritto comunitario e na-

zionale sugli appalti pubblici, reperibile on line al sito www.jus.unitn.it.

5 Cfr. art. 2, 3° comma della l. 7 agosto 1990, n. 241 s.m.i., GURI n. 192, 18 agosto 1990, su cui v. significativamente, in tema di opere pubbliche, Cass., 16 gennaio 2004, n. 532, in Archivio

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sostanziale privilegio rispetto ai soggetti debitori di natura non pubblica. Una di tali deroghe sussiste con riferimento alla previsione dell’art. 1182, 3° comma, c.c., in quanto tutti i pagamenti dovuti dallo Stato e dagli enti tenuti all’osser- vanza delle procedure di contabilità pubblica devono essere effettuati presso l’amministrazione stessa, ovvero presso la sede dell’ufficio di tesoreria del- l’ente.

Questa importante eccezione al carattere “portable” dei pagamenti di somme di denaro – giustificata essenzialmente da tradizionali esigenze di natura pubbli- cistica – deriva dalle norme di cui agli articoli 54 e 63, R.D. 18 novembre 1923, n. 2440, sull’amministrazione del patrimonio e sulla contabilità generale dello Stato. Da ciò consegue che, in linea generale, sia necessaria un’intimazione scritta ai fini della costituzione in mora della P.A., non potendosi applicare – vista, appunto, la deroga al precitato art. 1182, 3° comma c.c. – l’art. 1219, 2° comma, n. 3 c.c. In tal senso, anche recentemente la giurisprudenza di legittimità ha ribadito che: “con riguardo ai debiti pecuniari delle pubbliche amministra- zioni, per i quali le norme sulla contabilità pubblica stabiliscono, in deroga al principio di cui all’art. 1182, 3° comma c.c., che i pagamenti si effettuano presso gli uffici di tesoreria dell’amministrazione debitrice, la natura “querable” del- l’obbligazione comporta che il ritardo nel pagamento non determina automatica- mente gli effetti della mora ai sensi dell’art. 1219, 2° comma, n. 3 c.c., occor- rendo invece affinché sorga la responsabilità da tardivo adempimento – con conseguente obbligo di corresponsione degli interessi moratori e di risarcimento dell’eventuale maggior danno – la costituzione in mora mediante intimazione scritta di cui al 1° comma dello stesso art. 1219”6.

Ne è scaturita un’analoga posizione di privilegio per la P.A. in tema di decor- renza degli interessi. Gli articoli 269 e 270 del R.D. 23 maggio 1924, n. 827 (recante “Regolamento per l’amministrazione del patrimonio e per la contabilità generale dello Stato”), dopo aver precisato le varie fasi dell’erogazione della spesa – suddivise in impegno, liquidazione, ordinazione e pagamento – preve- dono, infatti, che i debiti pecuniari dell’amministrazione, in deroga all’art. 1282 c.c., diventano liquidi ed esigibili e, pertanto, producono interessi corrispettivi, solo dopo che siano stati osservati i procedimenti di contabilità, i quali culmi- nano con l’emissione del c.d. mandato di pagamento. Fino a tempi relativamente recenti, era assolutamente prevalente in giurisprudenza l’orientamento che attri- buiva rilievo esterno, anche nei confronti dei creditori della P.A., alle richiamate norme in tema di procedimento amministrativo preordinato al pagamento di somme di denaro; con la conseguenza che i debiti facenti capo alla P.A., anche se liquidi, divenivano esigibili solo dopo il perfezionamento delle procedure di pagamento, non potendosi configurare, fino a tale momento, né una situazione di mora debendi in capo all’amministrazione, né un obbligo per quest’ultima di corrispondere interessi, corrispettivi o moratori.

6 Cass., 3 ottobre 2005, n. 19320, Basso c. Ausl Lecce 1, in Massimario della giurisprudenza

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Per quanto concerne, tuttavia, gli interessi moratori, a partire dagli inizi degli anni ottanta, si è assistito ad un’inversione di tendenza da parte della giurispru- denza, la quale si è mostrata sempre più incline ad attenuare le situazioni di privilegio della P.A., assoggettando quest’ultima pienamente alla disciplina generale in tema di obbligazioni pecuniarie, salvi alcuni contemperamenti, imposti dalla particolare disciplina della contabilità pubblica. È andato, infatti, affermandosi in giurisprudenza l’orientamento secondo cui la P.A., alla stregua di qualsiasi altro contraente privato, è tenuta a comportarsi secondo correttezza e buona fede, nonché ad usare la dovuta diligenza nell’adempimento delle pro- prie obbligazioni, ai sensi degli articoli 1175 e 1176 c.c., attivando con tempestività i meccanismi liquidatori prescritti dalle leggi sulla contabilità di Stato, in modo da poter effettuare i pagamenti dovuti nel rispetto dei termini contrattualmente pattuiti.

In quest’ottica, si è precisato che: “soltanto per gli interessi corrispettivi sulle somme dovute dalla p.a. il principio generale desumibile dall’art. 1282 c.c., secondo cui tali interessi sono prodotti di pieno diritto dal tempo in cui un cre- dito diviene liquido ed esigibile, deve integrarsi con le disposizioni sulla conta- bilità pubblica di modo che sino a che non sia emesso il mandato di pagamento il credito non acquista i caratteri della liquidità e dell’esigibilità; per gli interessi moratori, invece, l’esigenza di adottare le procedure della contabilità pubblica non giustifica una deroga all’altro principio, posto dall’art. 1224 c.c., che iden- tifica la decorrenza degli interessi con il giorno di costituzione in mora”7.

Tale indirizzo è stato confermato da due successive pronunce sempre delle Sezioni Unite della Suprema Corte, le quali hanno precisato che la disciplina di diritto comune in tema di obbligazioni pecuniarie si applica anche alle obbliga- zioni contratte tramite negozi di diritto privato dallo Stato e dagli altri enti pub- blici, poiché allorquando l’amministrazione abbia assunto uno specifico obbligo giuridico sul piano privatistico, è in primo luogo impegnata all’esterno al rispetto degli obblighi liberamente assunti. Di conseguenza: “non è esatto che i debiti dello Stato e degli altri enti pubblici divengano liquidi ed esigibili, e perciò pro- duttivi di interessi, solo quando la relativa spesa sia stata ordinata con emissione del mandato di pagamento, ai sensi dell’art. 270 del regolamento sulla contabi- lità generale dello Stato e, comunque, dopo gli altri adempimenti imposti dalle norme organizzative interne degli enti stessi; in realtà, il credito pecuniario verso la p.a. diviene liquido ed esigibile, come ogni altro diritto di credito verso sog- getti privati, in conformità alle norme del codice civile, quando cioè ne sia deter- minato l’ammontare e se ne possa ottenere, alla scadenza, il puntuale adempi- mento (…). Le norme sulla contabilità di Stato sono finalizzate a disciplinare all’interno dell’ente le modalità di corresponsione delle somme dovute ai credi- tori, senza modificare la regolamentazione convenzionale dei rapporti di natura privatistica e senza incidere sulla disciplina generale degli strumenti ed istituti

7 Cass., S.U., 5 maggio 1983, n. 3071, in Giust. civ., 1983, I, p. 2977, con nota di M. costan-

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utilizzati dalla p.a., ancorché per il conseguimento di finalità di interesse pub- blico”8.

Si è, quindi, consolidato l’indirizzo per il quale la P.A. convenuta in giudizio non può invocare la mancata emissione del titolo di spesa per sottrarsi alla responsabilità per il ritardato pagamento – e, quindi, all’obbligo di pagamento degli interessi moratori – salvo che non dimostri che il mancato adempimento è dipeso da giustificate ragioni attinenti al procedimento contabile – cioè dalla necessità di compiere un atto del procedimento di formazione del titolo di spesa –, e non già dalla propria colpevole inerzia. Pertanto, anche prima dell’emissione del mandato di pagamento, l’amministrazione può essere costituita in mora, dovendo la stessa attrezzarsi, al pari di qualsiasi altro debitore, per pagare tem- pestivamente alla scadenza.

In tal senso, si è pertanto affermato che la P.A.: “è tenuta a corrispondere gli interessi di mora su un debito pecuniario scaduto qualora, dopo l’espletamento di tutti i controlli e gli accertamenti previsti per il pagamento, ingiustificata- mente ritardi di attivare i meccanismi liquidatori che si rendano necessari, secondo le norme di contabilità dello Stato, per il concreto versamento al credi- tore delle somme spettatigli e, quindi, rimanga inadempiente per colpa, ancorché derivante da un’erronea interpretazione delle disposizioni di legge attinenti alla disciplina ed alla scadenza del debito stesso (…). A questo riguardo, pur consi- derando la complessità dell’organizzazione della pubblica amministrazione e la sua discrezionalità, che rendono necessario contenere i limiti della sua responsa- bilità (…), tuttavia la violazione da parte della P.A. delle regole di buona ammi- nistrazione, poste dall’art. 97, 1° comma, Cost., quale fonte di responsabilità risarcitoria in relazione al pregiudizio arrecato a posizioni di diritto soggettivo del privato, è ravvisabile anche con riguardo alla ritardata erogazione di somme (…), qualora risultino superati i tempi normalmente occorrenti ai prescritti adempimenti burocratici, per colposa trascuratezza e negligenza dell’ammini- strazione medesima”9.

Si è, altresì, precisato in proposito che, in caso di inadempimento alla sca- denza di obbligazioni contrattuali assunte dalla P.A., quest’ultima non può eso- nerarsi da responsabilità invocando le norme sull’emissione dei mandati di pagamento, previste dalla disciplina sulla contabilità di Stato, dato che queste ultime: “se rilevano ai fini dell’insorgenza dell’obbligo del pagamento degli interessi corrispettivi, essendo finalizzate a disciplinare all’interno dell’ente le modalità di corresponsione delle somme dovute ai creditori, non possono modi- ficare la regolamentazione convenzionale dei rapporti e degli strumenti di natura privatistica utilizzati dalla P.A., in relazione ai quali sono applicabili le regole generali e le norme stabilite dalla legge comune, con particolare riguardo a quelle relative all’accertamento dell’inadempimento. Con la conseguenza che

8 Cass., S.U., 3 aprile 1985, n. 2264, in Foro it., 1985, I, c. 1005, e 8 giugno 1985, n. 3451, ivi, c. 1619.

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l’ente è tenuto allo stesso comportamento ed esposto alle medesime responsabi- lità dei soggetti privati. Ed è proprio per questi princìpi (…) che il privato può chiedere (…) la condanna dell’amministrazione debitrice, la quale colposamente ritardi l’attivazione di detti procedimenti, al pagamento degli interessi moratori ed al risarcimento del danno ex artt. 1223 e 1224 c.c.”10.

È oramai pacifico che la P.A., in caso di ritardo nell’adempimento delle pro- prie obbligazioni pecuniarie, può sottrarsi alla conseguente responsabilità sol- tanto dimostrando, ai sensi degli articoli 1218 e 1256 c.c., che l’inadempimento è avvenuto a causa di un impedimento assolutamente ed oggettivamente impre- vedibile, nonché totalmente al di fuori della possibilità di controllo dell’ente medesimo. D’altra parte, la massima giurisdizione contabile ha precisato, con riferimento all’emissione del titolo di spesa, prevista da varie disposizioni in tema di appalti pubblici, che tale limite temporale deve essere interpretato in modo da non ingenerare confusione tra il momento della liquidazione e quello (crono/logicamente) successivo dell’ordinazione; con la conseguenza che la P.A. non può esonerarsi da responsabilità per la circostanza che la liquidazione sia intervenuta tempestivamente, ove in concreto il titolo sia poi rimasto gia- cente, per esigenze di meccanizzazione, presso i competenti uffici della ragione- ria11.

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