democratico nell’Unione europea
8. Infine, con la terza tipologia di deficit ci si intende riferire alle più volte
contestate carenze del sistema istituzionale comunitario-unionistico per mancata separazione o commistione e confusione dei poteri pubblici e conseguente para-
stessi diritti a livello di un testo pattizio quasi non ne accresce l’effettivo coefficiente di rispetto se non sussistono tradizioni comuni ed omogeneità costituzionali tra gli Stati firmatari.
58 Così, e. cannizzaro, Gerarchia e competenze nel sistema delle fonti dell’Unione europea, in DUE, 2005, p. 653 ss., per il quale l’introduzione di una nuova nomenclatura e del principio gerarchico delle fonti produce effetti assai limitati proprio a causa della “compartimentazione delle norme dell’Unione in una serie assai ampia di sottosistemi normativi”. L’opinione pare con- divisibile sotto il profilo di una relatività dei valori giuridici del diritto “europeo”, articolato in una pluralità di regimi all’interno dei quali i singoli atti normativi assumono valore molto diverso tra loro, talora massimo in regime di diritto forte e talora minimo in regime di diritto debole. Sul punto, v. anche p. acconci, Quale gerarchia delle fonti nel nuovo diritto dell’Unione?, ivi, p. 253
ss.
59 Questo risulta essere il fulcro del deficit democratico dell’Unione europea a causa della sottrazione dei poteri legislativi dei parlamenti nazionali non a favore del Parlamento europeo con una conseguente “involuzione democratica” (cfr. u. villani, Il deficit democratico nella for-
mazione delle norme comunitarie, in DCSI, 1992, p. 599 ss.) o “de-parlamentarizzazione” della
funzione legislativa (v. n. verola, op. cit., p. 151). Altresì, g. laprat, Réforme des Traités: le
risque du double déficit démocratique. Les Parlements nationaux et l’élaboration de la norme
communautaire, in RMCUE, 1991, p. 710 ss.; c. reich, Qu’est-ce que… le déficit démocratique?,
Norme “anti-deficit” democratico
lisi del decision-making per crescente e progressiva sua inadeguatezza60. Nel
primo senso, risulta difficilmente confutabile che la funzione legislativa e quella esecutiva sono attribuite, seppur con diverso peso, a più istituzioni o principal- mente all’istituzione rappresentativa dei governi e non dei cittadini. Tuttavia, un bilanciamento di tale deficit sembrerebbe configurabile a fronte dell’attuale ten- denza, registrata anche a livello statuale, verso una generale funzione governa- tiva o di governance a prescindere da una distinzione o separazione tra potere legislativo e potere esecutivo61.
A parte le carenze riconducibili alla struttura istituzionale dei poteri62, tale
deficit si sostanzierebbe, anche o in conseguenza, in un deficit sull’efficienza
decisionale per mancata partecipazione dei cittadini alle decisioni. Sebbene non “compartecipate” le decisioni dovrebbero essere quanto meno controllate dai cittadini per una forma di democrazia che potremmo definire “comunicativa” nel
60 Contrariamente, secondo alcuni autori la democratizzazione nei modelli politici dell’Occi- dente non necessariamente passa attraverso la parlamentarizzazione, ma attraverso più ampi stan-
dards di governance democratica contrassegnati da caratteri ben precisi (imparzialità, indipenden-
za, rappresentatività). Trattasi di aspetti deficitari genericamente ricondotti all’organizzazione ed all’esercizio dei poteri di produzione normativa (cfr. g. pasQuino, The Democratic Legitimation
of European Institutions, in Int. Sp., 2002, p. 35 ss.) e di governo nell’Unione europea (erronea-
mente ricollegati al modello parlamentare v. F. e. bignami, The Democratic Deficit in European
Community Rulemaking: A Call for Notice and Comment in Comitology, in Harvard ILJ, 1999,
p. 451 ss, per cui “…government powers are shared among different institutions and a vision of democracy that rests on parliamentary supremacy defies the Community’s basic constitutional structure”).
61 Sul punto si v. m. troper, La nuova separazione dei poteri, Napoli, 2007.
62 Ciononostante si è registrata una notoria e crescente tendenza in favore della “parlamentariz- zazione delle strutture di governo comunitarie” così, s. ninatti, La formula parlamentare europea
dagli esordi al Trattato costituzionale, in RIDPC, 2004, p. 1395 ss. Sull’idea della parlamentarizza-
zione del sistema come strumento di legittimazione democratica, cfr., già per il passato, m. zuleeg,
Die Anwendbarkeit des parlamentarischen System auf die europäischen Gemeinschaften, in EuR,
1972, p. 2. Più di recente, p.c. schmitter, Come democratizzare l’Unione europea e perché, Bo-
logna, 2000, si riferisce “all’Europolity (sistema costituzionale e di governo dell’Europa) che non ha ancora acquisito il suo definitivo proprium istituzionale in termini di limitazione territoriale, di partizione funzionale o di livello di autorità politica”. Viceversa (v. anche ante nota 60), si potrebbe dire che, per certi aspetti, la parlamentarizzazione del modello comunitario non risolve il problema dell’esautoramento del ruolo dei Parlamenti statali, presupponendo un trasferimento verso l’alto di poteri sovrani nazionali con conseguente “trasloco” privativo delle loro più antiche e tradizionali funzioni. Di tale operazione si trova traccia nella l. cost. 3 aprile 1989, n. 2 (recante “Indizione di un referendum di indirizzo sul conferimento di un mandato costituente al Parlamento europeo eletto nel 1989”), abilitativa di un referendum consultivo avente tenore filo-parlamentare a livello europeo ed anti-parlamentare a livello nazionale. Valutato alla stregua di una tipologia inusuale di
referendum di legittimazione democratica della costruzione comunitaria, conferma l’analisi di ef-
fetti per così dire riflessi tra livelli ordinamentali per cui un referendum non previsto ed anzi escluso dalla Costituzione italiana (art. 75, comma 2) viene indetto con legge costituzionale avente oggetto unico ed effetti circoscritti ed implicante una singolare modifica temporanea della Costituzione italiana. Cfr., fra gli altri, F. zampini, L’exemple italien, du dualisme à l’acceptation du pouvoir
constituant du Parlement européen, in Les procédures de révision des traités communautaires: du droit international au droit constitutionnel, Bruxelles, 2001, p. 127 ss.
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Teresa Russo
senso di dare maggiore spazio e di rafforzare gli strumenti di formazione del- l’opinione pubblica attraverso il dialogo civile63. Almeno questa sembrava
essere la ratio delle disposizioni del titolo VI (vita democratica dell’Unione) del Trattato costituzionale, che, come già detto in precedenza, risultano in parte mantenute, secondo le indicazioni dell’Allegato I delle Conclusioni di Bruxelles e contenute nel Progetto di Trattato di riforma che le anticipa al titolo II del TUE sulle Disposizioni relative ai principi democratici.
Nulla esclude che i due aspetti, in quanto facce della stessa medaglia, ven- gano ricondotti, come è stato fatto, ad un più generale deficit di funzionamento eccessivamente tecnocratico e burocratico dell’Unione europea64. Pur tuttavia, la
complessità del processo decisionale comunitario deriva dal suo sistema di orga- nizzazione dei poteri, integrato tra diritto internazionale e costituzional-nazio- nale e fondato sui principi di c.d. link o collegamento tra Stati membri ed Unione. In primo luogo, il principio che lega gli Stati membri e l’Unione ad un c.d. dovere reciproco di lealtà, cioè il principio di leale cooperazione65 ed ancora
i principi regolatori della delimitazione e dell’esercizio delle competenze, cioè i principi di attribuzione, sussidiarietà e proporzionalità (art. 5 TCE).
Essi, complessivamente considerati sembrerebbero delineare un sistema isti- tuzionale democraticamente organizzato sull’interazione “leale, circoscritta, sussidiaria e proporzionata” tra le istituzioni nazionali e quelle comunitario-
63 La democraticità del sistema dipenderebbe, quindi, dal potere riconosciuto ai cittadini, non tanto di partecipare all’operato dei pubblici poteri, quanto di controllarlo manifestando la propria approvazione o disapprovazione. La sua democraticità interna dipenderebbe dalla rappresentanza e controllo, non solo degli Stati, ma anche dei cittadini grazie alla predisposizione di garanzie di informazione e trasparenza. Già n. moussis, La construction européenne et le citoyen: déficit
démocratique ou déficit d’information?, in RMCUE, 2000, p. 153 ss. ed ancora più specificamente
sul punto, m. mascia, La società civile nell’Unione europea. Nuovo orizzonte democratico, Ve-
nezia, 2004. Inoltre, come è stato giustamente rilevato l’efficienza del processo decisionale comu- nitario dipende dal fatto che le decisioni siano adottate allorché sono necessarie ed il più rapida- mente possibile, che le stesse siano effettivamente attuate e diano risultati positivi, ma soprattutto siano accettate dai cittadini in quanto informati, ascoltati e posti in grado di controllare. Così J.
c. piris, Dopo Maastricht, le istituzioni comunitarie sono divenute più efficaci, più democratiche,
più trasparenti?, in RDE, 1994, in part. p. 9 ss.
64 Trattasi di una terminologia ormai entrata nel gergo comune e da qualcuno riferita come “paradigma tecnocratico-funzionalista” delle dinamiche europee che conduce alla ricerca di so- luzione “tecniche”, le quali, in quanto dirette a massimizzare le funzioni di utilità dell’Europa, si impongono da sole perché più vantaggiose. Così n. verola, op. cit., p. 78 ss. che, tuttavia,
riconduce la complessità dei meccanismi di funzionamento dell’Unione, non alla patologia, ma alla “fisiologia di un organismo che trae la propria legittimità, da un lato, dal carattere consen- suale delle sue procedure decisionali e, dall’altro, dalla natura prettamente funzionale delle sue competenze”. Detto in altri termini, è il c.d. quarto potere federativo o integrazionista tipico delle strutture complesse a dover garantire piena rappresentatività e leale cooperazione tra i vari livelli delle strutture.
65 I riferimenti normativi al principio di leale cooperazione sono l’art. 10 TCE (ex art. 5 TCE) e la Dichiarazione n. 3 allegata al Trattato di Nizza del 2001.
Norme “anti-deficit” democratico
unionistiche66. Tale interazione dovrebbe, inoltre, essere rafforzata, secondo
quanto previsto nel Progetto di Trattato di riforma, attraverso la previsione di una più rigorosa procedimentalizzazione del controllo sul rispetto del principio di sussidiarietà, nonché attraverso il riconoscimento di un espresso status dei parlamenti nazionali nel testo dei Trattati (nel già citato art. 8 del titolo II). Anche questa prospettiva, come si dirà meglio tra breve, consente di recuperare o “ri-legittimare”, questa volta dal basso, l’Unione europea come modello “avanzato” di esercizio dei poteri di partecipazione ed esecuzione statale costi- tuzionalmente previsti negli ordinamenti nazionali.