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La disamina appena svolta dei meccanismi operanti a livello europeo evi-

La fase ascendente del processo decisionale dell’Unione europea e

4. La disamina appena svolta dei meccanismi operanti a livello europeo evi-

denzia l’esistenza di un quadro di riferimento entro cui possono inserirsi misure elaborate a livello nazionale, sia nella legislazione (ordinaria o costituzionale) che nei regolamenti parlamentari: non vi è dubbio che, se ancora dei migliora- menti sono possibili, il diritto dell’UE offre agli ordinamenti nazionali un con- testo entro il quale collocare quelle soluzioni tecniche che appaiono maggior- mente consone con la struttura costituzionale di riferimento.

Occorre ora verificare come l’ordinamento italiano abbia fatto uso di tale margine di manovra al fine di predisporre gli strumenti necessari a creare un migliore raccordo nella fase ascendente tra il Governo, da una parte, e il Parlamento, dall’altra.

Si deve in primo luogo richiamare rapidamente la situazione precedente l’adozione della legge n. 11/2005. Vale la pena ricordare che per un lungo periodo la questione è stata rimessa esclusivamente all’autonomia regolamentare delle Camere55. Solo dopo circa trent’anni di esperienza comunitaria il legislatore

italiano si è risolto ad adottare misure finalizzate a creare un raccordo tra il

54 Tale particolarità si spiega alla luce del peculiare assetto dei rapporti tra Governo e Parla- mento (sono frequenti gli esecutivi di minoranza) e della posizione alquanto critica della Dani- marca verso il processo di integrazione e il suo sviluppo (si vedano i protocolli relativi a materie quali la moneta unica e lo spazio di libertà, sicurezza e giustizia).

Altri Stati (Austria, Estonia, Finlandia, Lettonia, Lituania, Polonia, Slovacchia, Slovenia, Svezia, Ungheria) presentano modelli di mandato a negoziare, che riconoscono tuttavia un certo margine di manovra all’esecutivo: v. le indicazioni contenute nel 3° rapporto semestrale del Segretariato della COSAC, cit., pp. 12-14.

55 Per una trattazione delle soluzioni adottate e delle problematiche irrisolte dal punto di vista dell’esigenza del recupero delle funzioni di compartecipazione e controllo parlamentare, cfr. le puntuali osservazioni di G. gaJa, Per un controllo parlamentare dell’attività normativa delle

Comunità europee, in Pol. dir., 1973, p. 111 ss.; iD., Proposta di riforma della Giunta per gli

affari europei del Senato, in RDI, 1977, p. 398 ss.; A. M. calamia, c. morviDucci, Istituzione di

un Ministero per gli affari comunitari?, ivi, p. 822 ss.; c. morviDucci, Il Parlamento italiano e le

Comunità europee, Milano, 1979, in particolare p. 137 ss.; iD., La politica comunitaria e il ruolo

svolto dalle Commissioni Affari Esteri e dalla Giunta per gli Affari delle Comunità europee, in A.

cassese (a cura di), Parlamento e politica estera, Padova, 1982, p. 129 ss.; N. ronzitti, Elezione a

suffragio universale del Parlamento europeo e controllo democratico del processo di integrazione europea, in Centro Nazione di Prevenzione e Difesa Sociale (a cura di), Parlamento europeo, forze politiche e diritti dei cittadini, Milano, 1979, p. 29 ss., in particolare p. 54 ss.

Fase ascendente del processo decisionale

Governo e il Parlamento nella fase ascendente, dai contenuti alquanto blandi: l’art. 9 legge n. 183/1987 (c.d. legge Fabbri)56 obbligava il Governo a comunicare

alle Camere e alle Regioni i progetti di regolamenti, raccomandazioni (da inten- dersi quelle emanate dalle istituzioni della CECA57) e direttive, senza peraltro che

venisse specificato un termine per tale adempimento e che fosse definito il ruolo che una posizione assunta dalle competenti commissioni parlamentari o dalle assemblee potesse svolgere nei confronti del Governo (parlandosi di semplici osservazioni)58.

La legge n. 400/1988 impose al Presidente del Consiglio di fornire alle Camere una tempestiva comunicazione circa i procedimenti normativi in corso nelle Comunità europee e sulle iniziative e posizioni assunte dal Governo nelle specifiche materie (art. 5, 3° comma, lett. a): la logica era quella del resoconto, non certamente quella della ricerca di un’intesa con il Parlamento circa le posi- zioni da assumere a livello europeo.

La legge n. 86/1989 (c.d. legge La Pergola) cercò di affrontare il problema con maggiori pretese di sistematicità, ma deluse quanto ad efficacia degli stru- menti di raccordo così introdotti. Quanto ai rapporti col Parlamento, l’art. 7 richiedeva che il Governo presentasse alle Camere una relazione semestrale sulla partecipazione dell’Italia al processo normativo comunitario, in cui fossero esposti i principi e le linee caratterizzanti della politica italiana nei lavori prepa- ratori all’emanazione degli atti normativi comunitari e, in particolare, gli indi- rizzi del Governo su ciascuna politica comunitaria, sui gruppi di atti normativi riguardanti la stessa materia e su singoli atti normativi che rivestono rilievo di politica generale. Nella prassi, detta relazione è stata presentata senza la dovuta regolarità e per lo più con notevole ritardo, cosicché si è ridotta spesso ad un mero consuntivo, inidoneo a fornire la base per un dibattito volto all’orienta- mento dell’attività governativa.

Maggiormente attente (per lo meno sulla carta) si sono dimostrate le assem- blee parlamentari, dal momento che nello stesso periodo in cui fu approvata la legge La Pergola (nel 1988 il Senato, nel 1990 la Camera) modificarono i propri regolamenti, con l’evidente intenzione di rafforzare il ruolo del Parlamento nella fase preparatoria degli atti comunitari e nella fase della loro esecuzione nell’or- dinamento interno59. Gli articoli 142 e 144 del Regolamento del Senato e gli

articoli 126 bis e 127 del Regolamento della Camera, così come novellati, rico- noscevano alle Commissioni permanenti e, rispettivamente, alla Giunta per gli

56 Tale disposizione verrà abrogata dalla legge n. 128/1998, “legge comunitaria 1995-1997”, su cui infra.

57 Per tale conclusione e per una critica della genericità del dettato normativo, cfr. A. tizza-

no, Sull’attuazione della normativa comunitaria in Italia: la legge 183/87, in Foro it., 1988, IV,

p. 219 ss.

58 Aspetti che hanno inciso sulla capacità delle Camere di fornire un contributo effettivo. 59 Cfr. V. lippolis, Il Parlamento nazional-comunitario, in Q. cost., 1991, p. 319 ss., in partico- lare p. 331 ss.

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Marcello Di Filippo

affari delle Comunità europee e alla Commissione per le politiche comunitarie60

la facoltà di approvare atti di indirizzo destinati al Governo in relazione alla discussione di progetti di atti comunitari o più in generale all’assunzione di ini- ziative sul piano comunitario.

A fronte di questa cornice normativa, si ebbero nel 1998 due distinti inter- venti legislativi, a breve distanza l’uno dall’altro, entrambi finalizzati a raffor- zare il ruolo del Parlamento nella fase ascendente, senza tuttavia il necessario coordinamento61. L’ultimo passaggio rilevante che precede la legge n. 11/2005 e

che può essere qui ricordato è rappresentato dalla legge comunitaria per il 2000 (legge n. 422/200062) che abroga le due disposizioni ora ricordate e inserisce nella

legge La Pergola una disciplina unitaria in merito al ruolo del Parlamento (non- ché delle Regioni) nella fase ascendente63.

60 Il Regolamento della Camera è stato ulteriormente modificato nel 1996, al fine di trasformare la Commissione per le politiche dell’Unione europea in una vera e propria Commissione perma- nente (la XIV). Nel 2003 la Giunta del Senato è stata trasformata in 14ª Commissione permanente sulle Politiche dell’Unione europea (v. articoli 22-23 Regolamento).

61 L’art. 14 legge n. 128 del 24 aprile 1998 (GURI 104, 7 maggio 1998, S.O.) disponeva, al 1° comma, che “i progetti degli atti normativi e di indirizzo di competenza degli organi dell’Unione europea o delle Comunità europee, nonché gli atti preordinati alla formulazione degli stessi, e le loro modificazioni, sono comunicati, contestualmente alla loro ricezione, alle Camere per l’asse- gnazione alle Commissioni parlamentari competenti (...), indicando la data presunta per la loro di- scussione o adozione da parte degli organi predetti”. Quanto al ruolo riconosciuto alle Camere in seguito alla comunicazione dei documenti sopra menzionati, il 2° comma dell’art. 14 prevede che le Camere si vedono espressamente attribuita la facoltà di adottare atti di indirizzo nei confronti del Governo. Preme ricordare che non si tratta di una novità assoluta, atteso che i regolamenti parlamentari, come sopra evidenziato, già riconoscevano la facoltà di approvare atti di indirizzo destinati al Governo in relazione alla discussione di progetti di atti comunitari.

La legge n. 209 del 16 giugno 1998 (GURI 155, 6 luglio 1998, S.O.), di autorizzazione alla ratifica e di esecuzione del Trattato di Amsterdam, contiene una disposizione di adattamento ordinaria (art. 3) che richiede al Governo di assicurare che siano messi a disposizione delle Camere tutti i documenti di consultazione redatti dalla Commissione, le proposte legislative da questa presentate e le proposte relative alle misure da adottare ai sensi del titolo VI del Trattato UE. La norma ag- giunge che le Camere possono formulare osservazioni e adottare ogni opportuno atto di indirizzo al Governo “nei termini previsti dalle norme comunitarie”.

Perplessità circa l’idoneità della successione di interventi normativi ora ricordati sono espresse da

r. aDam, Il ruolo dell’Italia nei negoziati relativi all’elaborazione delle convenzioni e degli atti

comunitari di armonizzazione, in AA. VV., L’ordinamento italiano dopo 50 anni di integrazione europea (Atti del Convegno di Studi di Alghero, 5-6 ottobre 2001), Torino, 2004, p. 47 ss., in

particolare p. 60.

62 Legge n. 422 del 29 dicembre 2000, GURI 16 del 20 gennaio 2001, S.O.

63 Così dispone l’art. 6: “1. Alla legge 9 marzo 1989, n. 86, e successive modificazioni, sono apportate le seguenti modificazioni:

a) dopo l’articolo 1 è inserito il seguente:

‘Art. 1-bis (Trasmissione al Parlamento e alle regioni dei progetti di atti comunitari). – 1. I progetti degli atti normativi e di indirizzo degli organi dell’Unione europea e delle Comunità europee, nonché gli atti preordinati alla formulazione degli stessi, e le loro modificazioni, sono trasmessi, contestualmente alla loro ricezione, alle Camere per l’assegnazione alle Commissioni parlamentari competenti, nonché alle regioni anche a statuto speciale e alle province autonome,

Fase ascendente del processo decisionale

Si può pertanto concludere che il quadro normativo concernente l’intervento delle Camere nella c.d. fase ascendente – quale risulta dalla più recente legge comunitaria – ha registrato un’accumulazione di novità, che sono tutte ricondu- cibili a un modello di scrutinio parlamentare preventivo, focalizzato sulla fase iniziale delle procedure di carattere legislativo e sulle deliberazioni del Consiglio. Non viene dedicata una particolare attenzione al prosieguo delle procedure, né alle attività del Consiglio europeo o dei comitati e gruppi di lavoro del Consiglio: pur se appare irrealistico auspicare un controllo costante e minuzioso del Parlamento sulle attività svolte dal Governo a livello europeo, l’esperienza di altri Paesi mostra come sarebbe concepibile un’attività di condivisione da parte dell’Esecutivo delle strategie negoziali e di aggiornamento sulle evoluzioni, secondo un approccio qualitativo che veda il Parlamento coinvolto su temi par- ticolarmente rilevanti. Parimenti, non è richiesta al Governo un’attività di infor- mazione qualificata, che accompagni la semplice trasmissione di documenti o di calendari di riunioni, né è disciplinata in alcun modo la riserva di esame parla- mentare. L’intensità del controllo del Parlamento assume poi le forme dell’indi- rizzo politico (e non quelle più stringenti del mandato a negoziare, tipico del- l’esperienza danese e di altri Stati membri), dando vita a una prassi molto scarsa di coinvolgimento delle assemblee rappresentative, come rilevato da alcuni osservatori64.

dal Presidente del Consiglio dei ministri o dal Ministro competente per le politiche comunitarie, indicando la data presunta per la loro discussione o adozione da parte degli organi predetti. 2. Tra i progetti e gli atti di cui al comma 1 sono ricompresi anche quelli relativi alle misure previ- ste dal titolo VI del Trattato sull’Unione europea, ratificato ai sensi della legge 3 novembre 1992, n. 454, nonché quelli di cui al titolo V dello stesso Trattato volti alla definizione della politica estera e di sicurezza comune.

3. Le Commissioni parlamentari competenti formulano osservazioni e adottano ogni opportuno atto di indirizzo al Governo. Le regioni e le province autonome possono inviare al Governo os- servazioni.

4. Qualora le osservazioni e gli atti di indirizzo parlamentare di cui al comma 3 non siano per- venuti al Governo in tempo utile entro la data presunta indicata o comunque, se diversa, entro il giorno precedente quella di effettiva discussione, il Governo può procedere alle attività di propria competenza per la formazione dei relativi atti dell’Unione europea e delle Comunità europee’; b) all’articolo 9, comma 2-bis, le parole: ‘Le leggi’ sono sostituite dalle seguenti: ‘I provvedimen- ti’ e le parole: ‘di ciascuna legge’ sono sostituite dalle seguenti: ‘di ciascun provvedimento’. 2. Sono abrogati l’articolo 14 della legge 24 aprile 1998, n. 128, e l’articolo 3 della legge 16 giugno 1998, n. 209”.

64 In passato il Parlamento non ha dedicato molta attenzione agli affari comunitari e la dottrina non ha mancato di sottolineare come si sia trattato di un problema di volontà politica, prima an- cora che di strumentario giuridico: cfr. C. morviDucci, La politica comunitaria, cit., pp. 162-163;

M. L. mazzoni honorati, La “partecipazione” parlamentare al processo normativo europeo, in

RIDPC, 1995, p. 27 ss.; A. girotto, Parlamenti e diritto comunitario: gli atti di indirizzo politico

in Italia e in Francia, in Q. cost., 2002, p. 577 ss.; G. gaJa, Introduzione al diritto comunitario,

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Marcello Di Filippo

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