La responsabilità delle stazioni appaltanti per ritardato
6. Numerose amministrazioni, piuttosto che procedere ad una riforma delle
procedure di spesa, hanno preferito adottare provvedimenti volti a fissare la tempistica di pagamento. I termini indicati dalle singole amministrazioni variano sia per il quantum (oscillante tra i 30 giorni previsti dall’art. 4 cpv. del decreto attuativo ed i 90 giorni), sia per il dies a quo (avuto riguardo alla data di fattura- zione, oppure – in tema di opere – a quella del collaudo o verifica dei beni).
In base all’art. 7 del decreto attuativo, si reputano peraltro “iniqui” i patti in deroga non giustificati da oggettive ragioni. La congruità di tali patti va valutata tenendo conto della prassi commerciale, della natura dei beni o servizi offerti, delle condizioni dei contraenti e dei rapporti commerciali instaurati tra i mede- simi35. Il prevedibile utilizzo “a scopo deflattivo”, da parte delle amministrazioni,
di clausole contrattuali in deroga ai termini fissati dal decreto ha dato origine a non pochi contenziosi, volti a far dichiarare la nullità di tali accordi, poiché “gravemente iniqui” a danno del creditore.
Secondo il prevalente orientamento giurisprudenziale, la clausola che quan- tifica la misura degli interessi moratori va inquadrata all’interno delle “clausole penali”36, trattandosi di pattuizione che, con riguardo all’obbligazione pecuniaria
dedotta in contratto, ha l’effetto di predeterminare l’ammontare del risarcimento del danno in misura pari al tasso di interesse convenzionalmente (e, dunque, forfettariamente) stabilito dalle parti. Nel silenzio del decreto attuativo, gli effetti di tale pattuizione sugli interessi vanno desunti in base al combinato disposto degli articoli 1224, cpv. e 1382 c.c.
Ne consegue che, in forza dell’interpretazione letterale e sistematica dell’art. 5 del decreto attuativo, la pattuizione sulla determinazione degli interessi implica l’effetto preclusivo della risarcibilità del maggior danno ex art. 1224 cpv. c.c.
35 A riguardo, merita segnalarsi l’innovativa possibilità di emettere fattura anche in via elettro- nica (in forza del D. lgs. 20 febbraio 2004, n. 52, GURI n. 49, 28 febbraio 2004, attuativo della direttiva 2001/115/CE, del 20 dicembre 2001, che modifica la direttiva 77/388/CEE al fine di semplificare, modernizzare e armonizzare le modalità di fatturazione previste in materia di impo- sta sul valore aggiunto, GUCE L 15, 17 gennaio 2002, p. 24), e quindi in tempo reale, risultando vieppiù “obsoleti” i termini di adempimento fissati nella disciplina nazionale di settore. In argo- mento, cfr. utilmente il recentissimo Libro Bianco, a cura del Gruppo di Lavoro interministeriale istituito presso il C.N.I.P.A., sotto la presidenza di Pierluigi Ridolfi, La dematerializzazione della
documentazione amministrativa, Roma, 2006, spec. pp. 55-57.
36 Cfr, per tutte, Cass., 21 giugno 2001, n. 8481, in Massimario della giurisprudenza italiana, 2001.
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Mariano Robles
non solo nell’ipotesi ovvia di misura convenzionale superiore al tasso legale (nella specie, alquanto inverosimile a motivo della maggiorazione già prevista dall’art. 5), ma anche nella diversa (e ben più frequente) ipotesi di misura infe- riore, mancando qualsivoglia base normativa di riscontro per limitare l’applica- bilità dell’ultimo inciso del 2° comma dell’art. 1224 c.c. soltanto alla prima ipotesi. Oltretutto, il ricorso indiscriminato alle deroghe pattizie, unitamente alla mancanza di una norma di coordinamento che conceda al creditore – pur in pre- senza di deroga convenzionale – il diritto di ottenere in ogni caso il risarcimento dei costi di recupero delle somme dovute (che l’art. 6 del decreto attuativo anno- vera tra le voci di ulteriore – ossia, maggior – danno risarcibile ex art. 1224, cpv., c.c.) rischia di vanificare, per quanto visto, lo sforzo di matrice comunitaria incentrato sulla previsione di strumenti tendenti a dissuadere i pagamenti tardivi, anche mediante rimborso delle spese sostenute per recupero crediti.
Così delineata la disciplina delle deroghe pattizie all’art. 5 del decreto attua- tivo, appare allora ampiamente giustificato l’orientamento rigoroso finora espresso dal giudice amministrativo, il quale ha ritenuto perlomeno di circoscri- vere la derogabilità delle norme sui termini di pagamento e sugli interessi per ritardato pagamento, avuto riguardo a clausole unilateralmente predisposte dalla pubblica amministrazione in quanto già inserite nel bando di gara37. La forma-
zione unilaterale del contratto, secondo la procedura ad evidenza pubblica indetta dalla pubblica amministrazione, impedisce infatti la manifestazione del- l’autonomia privata, alla quale soltanto è affidata, in via esclusiva, la possibilità di derogare alla disciplina legale contenuta nel decreto attuativo38.
Non va peraltro sottaciuto che, ove si ritenesse precluso il rimborso delle spese sostenute per il recupero delle spettanze, in forza della deroga pattizia alla misura del tasso di interesse, appare verosimile che siffatto accordo non possa positivamente superare il giudizio di equità previsto dall’art. 7 del decreto attua- tivo, atteso che tale deroga rende, di fatto, inapplicabile una disposizione di matrice comunitaria specificamente introdotta a tutela del creditore medio-pic- colo imprenditore. Proprio sulla base di tali considerazioni, il Consiglio di Stato è giunto a dichiarare l’illegittimità della clausola contenuta in una lettera d’in- vito ad una gara per la fornitura di medicinali, che prevedeva senza giustifica- zione un termine di pagamento di 90 giorni dalla data di ricevimento delle fat-
37 In particolare, T.A.R. Piemonte, sez. II, 31 gennaio 2004, n. 126 e 14 febbraio 2004, n. 250, entrambe inRassegna giuridica farmaceutica, 2005, p. 86 e pp. 89-91, sul presupposto dell’in-
derogabilità, salvo il limite del diverso accordo tra le parti, di quanto previsto dagli articoli 4 e 5 del decreto attuativo, ha disconosciuto all’amministrazione la possibilità di derogare ai parametri normativi in via unilaterale. E ciò, in quanto: “affinché possa parlarsi di accordo tra le parti, è necessario che la formazione della volontà contrattuale sia libera per entrambi i contraenti, cosa che non può evidentemente ritenersi quando la clausola in parola, oltre che essere unilateralmente predisposta da una delle parti, venga imposta all’altra come condizione per addivenire alla stipu- la”.
Responsabilità delle stazioni appaltanti
ture39. L’aumento a 90 giorni del termine per pagare le forniture rispetto a quello
di 30 giorni previsto dall’art. 4 del decreto, infatti, avrebbe introdotto un indebito vantaggio per l’amministrazione.
Parimenti, è stata dichiarata nulla una clausola che imponeva al creditore uno sconto in caso di pagamento anticipato rispetto alla scadenza fissata40. Secondo il
Consiglio di Stato lo sconto, qualora sia rispettato il termine di legge, è di per sé “iniquo” ex art. 7 del decreto attuativo, al pari della riduzione sul tasso d’interesse dovuto in caso di inosservanza del termine, indice sintomatico di sperequazione tra le parti in sede di esecuzione del contratto. I giudici amministrativi precisano che nei rapporti tra privato e pubblica amministrazione deve essere salvaguardato il principio della parità contrattuale, connesso ai canoni civilistici di correttezza ed equità tra tutti i soggetti, oltre ai princìpi di imparzialità, legalità ed efficienza.