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Anche se nella storia dell’integrazione europea le originarie Comunità

democratico nell’Unione europea

1. Anche se nella storia dell’integrazione europea le originarie Comunità

europee vanno ricondotte ai principi democratici della tradizione occidentale, solo nell’epoca successiva al dopo 1989 è più evidente lo sforzo di motivazione politico-diplomatica sui nuovi fondamenti da assegnare all’Unione europea. Prima di allora non erano mancate altre epoche fortemente interessate a conno- tare la statualità, in ambito comunitario, con valori ideali più consoni alle tradi- zioni costituzionali proprie del diritto interno. Si trattava, tuttavia, di impegni rilevanti nei soli preamboli dei Trattati comunitari come una sorta di filosofia o di ideologia propria dei Paesi euro-occidentali1. Inoltre, la successiva e progres-

siva enucleazione di principi democratici nel tessuto ordinamentale e normativo comunitario-unionistico se, da un lato, è sembrata contribuire alla democraticità

1 Il presente lavoro, aggiornato al Progetto di Trattato che modifica il Trattato sull’Unione europea e il Trattato che istituisce la Comunità europea, Bruxelles, 23 luglio 2007 (13.09, CIG 1/07) (in seguito Progetto di Trattato di riforma), consapevolmente non si occupa della democra- tizzazione in senso internazionale dell’esposizione, intesa come regime politico costituzionale di autodeterminazione dei popoli e di esercizio dei diritti politici e civili della persona. Sul tema si rinvia, nella bibliografia formatasi dopo il 1989, ad alcune citazioni essenziali: g. palmisano,

Nazioni Unite e autodeterminazione interna, Milano, 1997; a. sinagra, Sovranità contesa. Auto-

determinazione e integrità territoriale dello Stato, Milano, 1999; e. licitri, e. altvater, Il diritto

all’autodeterminazione dei popoli alle soglie del 2000, Roma, 1999; c. oFFe(Hrsg.), Demokrati-

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del sistema2, dall’altro, non è sembrata sufficiente a ricoprire gli ambiti ed i

meccanismi decisionali. Ne è conseguito che qualsiasi ricerca sull’ordinamento comunitario-unionistico non ha potuto esimersi dalla valutazione del suo c.d.

deficit democratico, come progressivamente delineatosi fino al progettato

“Trattato di riforma”3.

Nel solco della medesima problematica, la nostra indagine prende le mosse dall’analisi di un modello di governo non deficitario o di efficiente organizzazione dei poteri pubblici. Ciò sulla convinzione che dalla comparazione non possono che emergere lacune4 o carenze, per così dire, anti-democratiche. Sulla falsariga dello

Stato nazionale, ed in particolare degli Stati occidentali, un sistema giuridico è considerato “efficiente” se le decisioni pubbliche risultano riconducibili al corpo

2 L’ordinamento comunitario-unionistico si sarebbe, quindi, progressivamente costituito sulla specificità di principi neo-ordinamentali di vario contenuto (normativo, procedurale, istituziona- le, ecc.), espressioni dell’infrastruttura civile, politica, sociale e culturale dell’intera costruzione euro-nazionale; principi idonei a permeare tutti i rapporti ed assolvere ad una funzione di apertura anche ai principi di diritto internazionale onde evitare l’arroccamento su pretese posizioni di on- nivalenza (D. l. bethlehem, International Law, European Community Law, National Law: Three

Systems in Search of a Framework, in m. koskenniemi(ed.), International Law Aspects of the

European Union, The Hague-London-Boston, 1998, p. 169 ss., si riferisce all’interazione anche

nel senso che “the scope of action originating in one arena may be influenced by principles that emerge from another”). L’idea è quella dell’integrazione comunitario-unionistica come processo di formazione di principi (PrinzipienBildung) e di coesione tra ius vetus e ius novum, così come tra ius commune e ius particolare, attraverso l’identificazione di c.d. principi costituzionali “fon- damentali”. Uno degli esponenti di questo orientamento è a. von bogDanDy, Doctrine of Princi-

ples, in European Integration–The New German Scholarship, Jean Monnet Working Paper Series,

9/03.1, NYU School of Law, New York, 2003, pp. 1-50 (www.jeanmonnetprogram.org, reperibile

on line).

3 Trattasi dell’ultimo stadio o, viceversa, del primo stadio della ripresa del processo di re- visione secondo il quale (Allegato I del Progetto di mandato della CIG delle Conclusioni della Presidenza − Bruxelles, 21/22 giugno 2007, D/07/2) “la CIG è invitata ad elaborare un trattato (in seguito denominato ‘trattato di riforma’) (...). Il progetto costituzionale (...) è abbandonato. Il trattato di riforma integrerà nei trattati esistenti, che restano in vigore, le innovazioni risultanti dalla CIG del 2004 come indicato dettagliatamente qui di seguito. Il trattato di riforma conterrà due clausole sostanziali che modificano, rispettivamente, il Trattato sull’Unione europea (TUE) e il Trattato che istituisce la Comunità europea (TCE)”.

4 È evidente come il concetto di lacuna richiami la problematica, ben più ampia e già da lungo tempo oggetto di studio, della completezza o incompletezza dell’ordinamento giuridico. Sebbene tale questione fuoriesce dall’oggetto della presente indagine è pur vero che il passaggio dall’astrattezza della norma alla sua applicazione concreta inevitabilmente avviene attraverso una funzione attuativa e, in alcuni casi, integrativa degli operatori giuridici che traduce una forma di controllo sociale nella dialettica tra diritto e società. In questo senso, allora le prospettive (la- cuna-deficit-efficienza) sembrerebbero riconnettersi in quanto l’ancoraggio dell’organizzazione pubblica a criteri di efficienza si riflette a livello ordinamentale perché incide, sia sul processo di assunzione delle decisioni collettive, sia sulla tutela dei beni costituzionalmente protetti (attuazio- ne collettiva ed individuale delle norme). Viceversa, secondo la prospettiva del presente lavoro, in un sistema giuridico come quello comunitario-unionistico, la fase di accertamento o di scoperta della lacuna, altrimenti non tollerabile, è bilanciata da quella successiva di compensazione del

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elettorale e soddisfano il benessere collettivo5. Donde il quesito sulla trasferibilità

o ricevibilità di tale modello al livello di Unione europea.

Almeno nel primo senso, è innegabile che l’ordinamento comunitario-unio- nistico è risultato, per lungo tempo (e per certi aspetti risulta ancora ora), defici- tario per l’insufficiente coinvolgimento nel processo decisionale del Parlamento europeo, solo progressivamente attenuato e controbilanciato dal rafforzamento del ruolo dei parlamenti nazionali6. Così come è, viceversa, innegabile che i

Trattati comunitari ed unionistici hanno introdotto ulteriori finalità di benessere collettivo7 tali da orientare e ridefinire l’assetto degli ordinamenti degli Stati

membri o la loro organizzazione costituzionale dei poteri, ampliando il concetto di efficienza pubblica quale “parametro-valvola tra diversi ordinamenti giuridici o tra differenziati livelli ordinamentali”8.

Né la situazione è risultata migliorata a seguito dell’utilizzo della terminolo- gia di “Trattato che adotta una Costituzione per l’Europa” (in seguito Trattato costituzionale) che ha finito per inasprire le considerazioni sul vacuum democra- tico derivanti dalle implicazioni del concetto di Costituzione (Stato, popolo, potere costituente, ecc.). Ciò ha condotto, da un lato, al rinato fervore del dibattito costituzionale che ha investito l’Unione europea di fronte ad un testo, Trattato costituzionale, che, nell’alternativa tra Trattato e Costituzione9, è sembrato voler

5 In quest’ottica, un sistema giuridico statal-costituzionale non deficitario ovvero efficiente è quello in cui le trasformazioni ordinamentali siano dirette a favorire “le modalità di funzionamento dei poteri pubblici in vista della concreta realizzazione degli specifici interessi di benessere colletti- vo che sono qualificabili come costituzionalmente propri dell’ordinamento al fine complessivo del perseguimento del bene comune dell’intero assetto costituzionale”. Così g. m. salerno, L’efficienza

dei poteri pubblici nei principi dell’ordinamento costituzionale, Torino, 1999, p. 51 ss.

6 È in occasione della prima elezione a suffragio universale diretto che emerge un problema di confronto tra democrazia nazionale e democrazia europea, conchiuso a svantaggio di quest’ul- tima secondo il parametro del c.d. deficit. Invero, l’ordinamento comunitario è stato considerato originariamente deficitario in quanto l’esercizio dei suoi poteri non risultava organizzato secondo autonomi criteri di efficienza, ma rimesso all’alternativa tra aumento dei poteri del Parlamento europeo o bilanciamento attraverso il ricorso ai parlamenti nazionali, già n. ronzitti, Elezione

a suffragio universale e controllo democratico del processo di integrazione europea, in g. za- grebelsky, n. ronzitti, a. tizzano, a. giarDina, e. vinci, Parlamento europeo, forze politiche

e diritti dei cittadini, Milano, 1979, in part. p. 72 ss. ed ancora D. Quinty, g. Joly, Le rôle des

parlements européen et nationaux dans la fonction législative, in Revue du Droit Public et de la science politique en France et a l’étranger, 1991, p. 393 ss., a. pliakos, L’Union européenne et

le Parlement européen: y a-t-il un déficit démocratique?, ivi, 1995, p. 749 ss.

7 L’idea del benessere collettivo, perseguibile attraverso un’azione comune che ridefinisce la dimensione interno-esterna agli Stati, è rinvenibile sin dal Preambolo del Trattato istitutivo di Roma del 1957 con il riferimento all’unione sempre più stretta tra i popoli d’Europa su cui a.

trabucchi, Preambolo TCEE, in R. QuaDri, r. monaco, a. trabucchi(a cura di), Commentario

CEE, I, Milano, 1965, p. 17 ss.

8 L’espressione è di g. m. salerno, op. cit., p. 89 ss.

9 È chiaro che il dibattito non poteva trovare una soluzione soltanto nell’utilizzo della termi- nologia Trattato-Costituzione. Tuttavia, sulle sue implicazioni sia consentito rinviare a t. russo,

Treaty-Constitution e Custom-Constitution nell’Unione europea, in DCSI, 2003, p. 791 ss. e la

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“costituzionalizzare” una serie di disposizioni normative spiccatamente “anti-

deficit” democratico10. Dall’altro lato, ha acuito quella tendenza già presente a

misurare l’Unione europea con parametri statuali che utilizzati come standards democratici hanno finito per esasperarne le carenze normative ed istituzionali dando luogo ad una petizione di principio: l’Unione europea non è uno Stato e, seppur basata su un processo di integrazione sempre più stretto tra i popoli d’Eu- ropa, mira a mantenere salda l’identità costituzionale degli Stati membri e l’iden- tità culturale dei suoi popoli11 all’evidente scopo di non risultare meno democra-

tica se non addirittura anti-democratica rispetto alle sue strutture statali di base. La prospettiva di indagine, allora, sembra aver senso a patto che si utilizzi come punto di partenza, non lo Stato come modello di comparazione, ma i pro- cessi di integrazione costituzionale degli Stati membri come legittimazione o, come si dirà – con terminologia sommessamente introdotta nel presente lavoro –, “ri-legittimazione” costituzionale o di base. L’interazione dei poteri pubblici, non necessariamente ristretti nei confini del solo Stato nazionale, risulta essere, infatti, la caratteristica peculiare del sistema giuridico di vita economica, sociale, civile e politica euro-nazionale, che deve la sua conformazione ad un processo di integrazione istituzionale e normativa degli ordinamenti costituzionali degli Stati membri. Il risultato è un ordinamento, almeno bi-level (rectius multilevel) a valenza non solo interstatuale, ma anche interindividuale come proprium della democrazia12.

Viceversa, dal lato opposto del diritto internazionale “regionale” europeo, le revisioni dei Trattati comunitari e di Unione sembrano aver tradotto un progres- sivo processo di “democratizzazione” interno-esterna13 (anche in corrispondenza

essendo i due termini riferiti, il primo ad una comunità di Stati, il secondo ad una comunità di popoli legati da obiettivi e principi fondamentali.

10 Trattasi di norme che dovrebbero sopravvivere anche nel testo del progettato Trattato di ri- forma secondo il mandato del Consiglio europeo di Bruxelles 21/22 giugno 2007: come l’articolo sui valori dell’Unione (nuovo art. 2 TUE), nonché sull’uguaglianza democratica, la democrazia rappresentativa, la democrazia partecipativa e l’iniziativa dei cittadini che dovrebbero essere con- tenuti nel nuovo titolo II del TUE sulle Disposizioni relative ai principi democratici.

11 A riprova di un diritto uno e molteplice che si esprime anche attraverso la dimensione oriz- zontale degli ordinamenti degli Stati membri basta confrontare le disposizioni del Trattato di ri- forma che dovrebbero recepire le innovazioni della CIG 2004 confermando la creazione di uno “espace européen de débat démocratique”, v. già r. toulemon, Souverainisme ou nationalisme?

Pour un espace européen de débat démocratique, in RMCUE, 2000, p. 150 ss. Più in particolare,

il binomio identità-diversità trova (o almeno dovrebbe trovare) conferma in diverse disposizioni, tra le quali, il nuovo art. 3 sugli obiettivi dell’Unione, il nuovo art. 4 sulle relazioni tra l’Unione e gli Stati membri, che, richiamando alcune parti dell’art. I-5 del Trattato costituzionale, dovrebbe sancire il rispetto dell’identità nazionale degli Stati membri “insita nella loro struttura fondamen- tale, politica e costituzionale, compreso il sistema delle autonomie locali e regionali”.

12 La natura implicante l’incidenza sui rapporti interindividuali, oltre che interstatuali, si rica- va, in particolare, dalla nota ed emblematica sentenza della Corte di giustizia del 5 febbraio 1963, causa 26/62, Van Gend & Loos c. Amministrazione olandese, in Raccolta, p. 3 ss.

13 Proprio la prospettiva di cui nel testo è quella dell’ordinamento comunitario come la risul- tante di un più ampio processo di democratizzazione condotto attraverso la revisione dei Trattati. Ciò facendo leva sull’interpretazione polifunzionale di diritto internazionale che assegna anche

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all’ingresso di nuovi gruppi di Stati continentali europei caratterizzati da peculiari tradizioni nazionali segnate da marcate differenze), tanto da configurare una immanente, a volta implicita, a volte esplicita, “politica di revisione”. Il tutto mediante norme transitorie e finali di passaggio dai progressivi “regimi” intesi come gradualmente modificativi e/o integrativi delle norme precedenti (ne è sin- tomatica la stessa dicitura di Trattati istitutivi, modificativi ed integrativi). In questa seconda prospettiva, il tanto contestato deficit democratico troverebbe una sua autonoma e graduale compensazione nei processi di revisione, finalizzati alla “formalizzazione” di principi e regole sostanziali e procedurali nei Trattati comu- nitari e di Unione anche sulla base della pratica quotidiana delle istituzioni comu- nitarie, prime fra tutte il Consiglio europeo e la Corte di giustizia.

Le continue revisioni, infatti, hanno, da un lato, consolidato l’identità del- l’Unione, nell’evoluzione dei principi del liberismo economico prima14, e nel

rafforzamento dei principi democratici poi, (primo fra tutti quello dello Stato di diritto), dall’altro lato, hanno progressivamente cristallizzato e messo a punto i principi di collegamento strutturale, procedurale e funzionale di un più com- plesso sistema giuridico che è per sua natura bi-level o euro-nazionale. Il tutto si è tradotto in una “lista” di apposite norme anti-deficit, intese come norme di

standards dirette a configurare le caratteristiche fondamentali dell’ordinamento

comunitario-unionistico. Più in generale, se a livello statuale l’efficienza dei poteri pubblici è ancorata a regole di ordine costituzionale che traducono i prin- cipi fondanti degli ordinamenti costituzionali democratici, allora si potrebbero ipotizzare analoghe norme di standards che individuano i fattori di efficienza di un sistema, questa volta, internazionalmente qualificabile come democratico in quanto diretto al bene comune od al welfare collettivo15.

al trattato finalità di revisione “costituzionale”, per cui l’istituto della revisione risulta idoneo a mediare tra mantenimento e “rigenerazione” di un ordine costituito ed a garantire la conser- vazione di una determinata struttura sociale, cfr. g. guarino, La revisione dei Trattati, Napoli,

1971. Acquisiti tali punti fermi resta del tutto impregiudicata la prospettiva della presente ricerca dedicata allo strumento consuetudinario ed al processo politico innestato dagli organi dell’Unione come strumenti di “revisione” preparatori e successivi all’elaborazione dei Trattati, su cui si veda nell’ottica di una “revisione de facto”, tra gli altri, l. panella, Gli emendamenti agli atti istitutivi

delle organizzazioni internazionali, Milano, 1986, p. 127 ss.

14 Non si creda che “l’insufficienza” del diritto comunitario sia suscettibile di integrazione solo grazie al diritto interno potendo gli stessi standards del diritto internazionale in materia di trattamento egualitario dei soggetti individuali servire esattamente a tale scopo. Ci si riferisce ai principi di non discriminazione in base alla nazionalità e di mutuo riconoscimento che dalla di- mensione internazionale sono stati adattati alla logica del mercato interno comunitario come luo- go privilegiato dello scambio dei fattori produttivi, retto da principi di uguaglianza economica nel senso di essere diretti a garantire un’eguale partecipazione. Sul principio di non discriminazione nell’ottica dell’uguaglianza di trattamento, preferenza e discriminazione si vedano G. schiavone,

Art. 7 TCEE, in R. QuaDri, r. monaco, a. trabucchi(a cura di), op. cit., p. 62 ss.; g. guillermin,

Le principe communautaire de non-discrimination, in Cah. CUREI, 1993, p. 28 ss.

15 È fuori discussione e vorrebbe dire fare torto ai Padri fondatori delle Comunità negare l’ori- ginario progetto europeo di costruzione della pace e del benessere nell’Europa post-bellica, ma è altrettanto evidente il fenomeno di accelerazione democratica conseguente alla caduta dei regimi

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Ne consegue che il dibattito sul deficit democratico nell’Unione europea sembrerebbe avere senso solo attraverso un puntuale e rigoroso riscontro del dato normativo o dei dati normativi progressivamente e successivamente inter- venuti a definire il sistema giuridico comunitario-unionistico in senso più demo- cratico. In quest’ottica la comparazione tra le norme del Trattato costituzionale come dovrebbero essere recepite nelle norme dei Trattati comunitari e unioni- stici pregressi, secondo le indicazioni fornite dalle Conclusioni del Consiglio europeo di Bruxelles del 21/22 giugno 2007 e contenute nel Progetto di Trattato di riforma, può consentire di individuare gli standards democratici da cui è par- tito e si è ispirato il processo di revisione per un “nuovo” assetto ordinamentale, normativo ed istituzionale dell’Unione europea. L’ulteriore riferimento alla rior- ganizzazione della membership statuale ed alla revisione costituzionale italiana mirano ad ipotizzare che se il deficit democratico esiste, esso “vive” tra le “pie- ghe o le maglie” di un sistema giuridico multilevel e trova compensazione con riferimento, ora all’ordinamento comunitario-unionistico, ora agli ordinamenti degli Stati membri16.

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