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Il contesto normativo di riferimento: l’art 147 della legge fallimentare

CAPITOLO IV Fideiussione e rapporti economici in crisi Sezione I Fideiussione, società occulta e fallimento

4. Il contesto normativo di riferimento: l’art 147 della legge fallimentare

La norma di riferimento è l’art. 147588 della legge fallimentare (Regio Decreto 16

marzo 1942, n. 267), che nel 2006 è stato oggetto di riformulazione ad opera del d. lgs n. 5589.

Con la riforma hanno trovato soluzione questioni al centro di precedenti dibattiti in dottrina come in giurisprudenza, e si sono accolte le indicazioni fornite dalla Corte Costituzionale, già intervenuta con dichiarazioni di incostituzionalità590.

587 Come è noto, le più complete teorizzazioni in materia si devono a W. Bigiavi, L’imprenditore occulto,

Padova, 1957 e In difesa dell’imprenditore occulto, Padova 1962. Secondo Bigiavi, partendo da quella che era la vecchia formulazione dell’art. 147, 2° c., l. fall. (“se dopo la dichiarazione di fallimento della società risulta la esistenza di altri soci illimitatamente responsabili, il tribunale, su domanda del curatore o d’ufficio, dichiara il fallimento dei medesimi, dopo averli sentiti in camera di consiglio”) - che prevedeva quindi l’ipotesi del fallimento del socio occulto di società palese - si deve ragionare per analogia, giungendo a teorizzare il fallimento del socio occulto di società palese, poiché la differenza tra le due ipotesi (socio occulto di società palese e società occulta) è solo quantitativa, relativa cioè al numero dei soci che compaiono all’esterno. Ed in effetti, fino a questa parte, l’estensione teorizzata da Bigiavi ha trovato accoglimento nella nuova formulazione dell’art. 147 l. fall.

La tesi dell’autore prosegue poi, sempre tramite un ragionamento analogico, fino a pervenire all’affermazione del fallimento dell’imprenditore occulto. In questo caso siamo in presenza di un imprenditore individuale, il quale è l’esclusivo titolare dell’impresa. Quest’ultima è solo apparentemente gestita dall’esterno da un prestanome, il quale non ha alcuna partecipazione sociale; non ricorre cioè tra i due (prestanome ed imprenditore occulto) un rapporto societario. Tale situazione, secondo Bigiavi, è analoga a quella della società occulta; l’unica differenza sta nel fatto che nella società occulta chi rimane dietro le quinte è un socio di chi appare in pubblico, mentre, nell’ipotesi dell’imprenditore occulto, il soggetto nell’ombra è l’esclusivo titolare dell’impresa gestita del prestanome. Nell’ottica dell’autore, la regola sancita dall’art. 14, 2° c. (ora nel 4° c) rappresenta l’espressione di un vero e proprio principio di carattere generale che sostituisce, nel campo dell’attività d’impresa, quello fissato dall’art. 1705 c.c. La parte della tesi di Bigiavi circa l’ammissibilità dell’imprenditore occulto in senso stretto, e del relativo fallimento, viene però altrettanto autorevolmente messa in discussione, fra gli altri, da T. Ascarelli,

Considerazioni in tema di società e persona giuridica, in Riv. dir. comm., 1954, p. 245 ss. e G. Oppo, L’impresa come fattispecie, in Riv. dir. civ., 1982, p. 123 ss. Più di recente, cfr. anche P. Menti, Fallisce un’altra holding personale: anzi no, è un noto imprenditore occulto, in Fallim., 2011, p. 1229 ss., e non ha trovato accoglimento nella nuova

formulazione dell’art. 147 l. fall.

588 Su cui v. A. Maffei (a cura di), Commentario breve alla legge fallimentare, Padova, 2013, p. 962 ss.

589 Secondo il Tribunale di Napoli, sentenza 17.11.2010, in Fallim., 2011, p. 249 ss., il fallimento di un

socio occulto dichiarato dopo il 16 luglio 2006 è assoggettato alla disciplina riformata nonostante il fatto che esso costituisca “estensione” di un fallimento di un imprenditore (apparentemente) individuale dichiarato in data antecedente.

590 Fra queste cfr. C. Cost., 12.03.1999, n. 66 in Riv. dir. comm., 1999, p. 494 ss., che aveva dichiarato

incostituzionale il 1° c. della norma, laddove non prevede(va) l’applicazione del limite del termine annuale dalla perdita della qualità di socio illimitatamente responsabile.

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Ai sensi dell’art. 147 l. fall., così come modificato nel 2006, la sentenza che dichiara il fallimento di una società appartenente ad uno dei tipi regolati nei capi III, IV e VI del titolo V del libro V c.c., produce anche il fallimento dei soci illimitatamente responsabili.

L’individuazione espressa, nel 1° c. dell’art. 147 l. fall., solo di determinati tipi di società, ha limitato l’applicabilità della norma ai soci di società in nome collettivo, in accomandita semplice e in accomandita per azioni. Il fallimento potrà quindi operare solo nei confronti dei soci illimitatamente responsabili di tali tipi di società.

Il 2° c. ha invece escluso l’estensione del fallimento al socio che abbia sciolto il proprio rapporto da oltre un anno, conformemente a quanto previsto dall’art. 10 l. fall. per l’imprenditore cessato591.

Sono stati in tal modo fissati precisi limiti temporali massimi per l’estensione del fallimento, che non potrà essere disposta decorso un anno dallo scioglimento del rapporto sociale o dalla cessazione della responsabilità illimitata, anche in caso di trasformazione, fusione e scissione, se sono state rispettate le formalità per rendere noti ai terzi tali fatti.

Con la riforma del 2006 è stato poi introdotto il 3° c. della norma in esame, che prescrive l’obbligatorietà della convocazione dei soci illimitatamente responsabili, prima della dichiarazione del loro fallimento592.

Infine, soprattutto per quanto qui interessa, la riforma ha recepito l’orientamento giurisprudenziale in tema di socio di società occulta, prevedendo che, se dopo la dichiarazione di fallimento della società risulta l’esistenza di altri soci illimitatamente responsabili, il tribunale, su istanza del curatore, di un creditore, di un socio fallito, estende il fallimento ai medesimi, previa convocazione in camera di consiglio degli stessi a norma dell’art. 15 (4° c)593.

Il 5° c., art. 147 l. fall. precisa anche che “allo stesso modo si procede qualora dopo la dichiarazione di fallimento di un imprenditore individuale risulti che l’impresa è riferibile ad una società di cui il fallito è socio illimitatamente responsabile”.

591 A. Barbieri, L’estensione del fallimento del socio occulto o di fatto, in Fallim., 2008, n. 8, p. 914 ss.

592 Come sancito già da tempo dalla Corte Costituzionale, con le sentenze 16.07.1970, n. 142, in

http://www.giurcost.org/decisioni/1970/0142s-70.html, e 27.06.1972, n. 110, in http://www.giurcost.org/decisioni/1972/0110s-72.html.

593 In tal senso, cioè a favore del fallimento della società occulta, si era già pronunciata la Cassazione: cfr.,

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Trovano in tal modo disciplina espressa le sovraesaminate ipotesi della società occulta e del socio occulto di società palese, le cui discipline vengono equiparate.

Gli ultimi due commi della disposizione (6° e 7°594) disciplinano profili più

strettamente processuali, stabilendo che contro la sentenza del tribunale è ammesso reclamo, e, in caso di rigetto della domanda, contro il decreto del tribunale l’istante può proporre reclamo alla Corte d’Appello.

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