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Fideiussione omnibus e buona fede

Proprio la fideiussione omnibus - connotata da molteplici sfaccettature problematiche - ha significativamente prestato il fianco allo sviluppo di articolate

176 In tema di buona fede devono essere ricordati almeno, nella vastissima letteratura, gli scritti della

“scuola pisana”, e, in particolare, U. Natoli, Diritti fondamentali e categorie generali, Milano, 1993, passim, U. Breccia, Diligenza e buona fede nell’attuazione del rapporto obbligatorio, Milano, 1968, sopr. p. 77 ss., e L. Bigliazzi Geri, Rapporti giuridici e dinamiche social. Principi, norme, interessi emergenti. Milano, 1998, p. 143 ss.

Come noto, l’accezione della buona fede come criterio di valutazione del comportamento delle parti, correttivo dei risultati derivanti dall’applicazione dello strictum ius, si è contrapposta ad una diversa e preponderante opinione, che individua nella buona fede un criterio di integrazione del contratto. Cfr., per tutti, S. Rodotà, Le fonti di integrazione del contratto, Milano, 1969, p. 44 ss.

177 In tema di buona fede, sono state inoltre esemplari le applicazioni talvolta operate dalla

giurisprudenza. In tal senso, v. Cass., 18.7.1989, n. 3362, in Foro it., 1989, n. 1, p. 2750 ss., con osservazioni di R. Pardolesi e note di A. Di Majo, La fideiussione “omnibus” e il limite della buona fede, e Mariconda, Fideiussione “omnibus” e principio di buona fede. Tale pronuncia, insieme ad altre quattro sentenze coeve, è stata definita “devastante” da Pardolesi, nelle sue osservazioni, cit., p. 2751. La portata rivoluzionaria delle pronunce è stata evidenziata anche da Bussoletti, La Cassazione e le fideiussioni bancarie, in Banche e banchieri, 1990, p. 51, che ne parla come di un “terremoto giurisprudenziale”. Tale giurisprudenza pone chiaramente in luce come la buona fede - intesa in senso etico, quale requisito della condotta - costituisca uno dei cardini della disciplina legale delle obbligazioni e formi oggetto di un vero e proprio dovere giuridico, che viene violato non solo ove la parte agisca col proposito doloso di recare pregiudizio, ma anche se il comportamento della parte non sia stato improntato alla diligente correttezza e al senso di solidarietà sociale che integrano il contenuto della buona fede.

Tuttavia, attenta dottrina ha mosso rilevanti critiche alle (invero talora molto singolari) applicazione giudiziali della buona fede. Tra gli altri, cfr. M. Barcellona, La buona fede e il controllo giudiziale del contratto, in

Il contratto e le tutele. Prospettive di diritto europeo, a cura di S. Mazzamuto, Torino, 2002, p. 324 ss. e A.

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elaborazioni relative alla regola di buona fede, fungendo da presupposto per lo sviluppo di teorie di più ampio respiro.

La riforma del 1992, avendo imposto la necessaria delimitazione dell’impegno del garante, ha contribuito in maniera considerevole a riequilibrare i rapporti contrattuali fra le parti nel segno della correttezza reciproca.

Come è noto, tradizionalmente178 la buona fede viene considerata regola che

presidia la fase attuativa del rapporto, e non anche il momento perfezionativo del negozio. In tale ottica, il generico obbligo di comportarsi in modo corretto opera solo ex

post, in fase successiva al sorgere del rapporto, quale “misura” di verifica della condotta

tenuta dalle parti nell’esecuzione del contratto.

Conseguentemente, la violazione della correttezza, pur essendo senz’altro fonte di responsabilità risarcitoria, non è però idonea ad inficiare anche la validità del negozio179 -

salvo che sia il legislatore a configurare espressamente l’inosservanza degli obblighi di buona fede quale elemento costitutivo di una determinata fattispecie di invalidità180.

La clausola generale di buona fede integra quindi un criterio di valutazione delle condotte delle parti, e non già uno strumento atto ad accertare e sanzionare iniquità sostanziali del regolamento di interessi predisposto dai contraenti.

Come si è detto, la riforma del 1992 è stata fortemente orientata proprio dal canone della buona fede; tuttavia, forse il contributo esplicato dalla clausola generale in esame rispetto alla fideiussione omnibus non può dirsi definitivamente concluso.

In effetti, bisogna innanzitutto rilevare che lo slancio riformatore del 1992 non si è spinto in realtà sino a specificare se il quantum indicato come importo massimo garantito debba intendersi come riferito al solo capitale oppure esteso anche agli accessori181 dell’obbligazione; e, soprattutto la novella ha omesso di individuare

178 Così, fra gli altri, P. Barcellona, Intervento statale e autonomia privata nella disciplina dei rapporti economici,

Milano, 1969, p. 234 ss.

179 Cfr. L. Mengoni, Autonomia privata e Costituzione, in Banca, borsa, tit. cred., 1997, p. 1 ss. In giurisprudenza,

v. di recente Cass., 27.11.2009, n. 25047, in Rep. Foro it., 2009, Contratto in genere, n. 453. In tale pronuncia - la quale ha escluso l’invalidità della pattuizione che condizionava risolutivamente l’efficacia del contratto preliminare di compravendita di un terreno alla mancata approvazione entro un certo termine del piano di lottizzazione, con l’obbligo di restituire il prezzo anticipatamente pagato maggiorato degli interessi convenzionali a decorre dal verificarsi dell’evento risolutivo - la Cassazione ha affermato espressamente che la violazione della buona fede, benché fonte di responsabilità risarcitoria, non inficia il contenuto del contratto, salvo che non si traduca in una specifica causa di nullità o di annullabilità.

180 Sul punto v. anche la ricostruzione di A. Albanese, Violazione di norme imperative e nullità del contratto,

Napoli, 2003, p. 1 ss.

181 Ritiene che l’importo massimo garantito debba necessariamente estendersi anche agli accessori ex art.

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parametri di valutazione ai quali possa essere ragionevolmente ancorata la determinazione dell’importo stesso182. Se ne ricava che l’indicazione dell’importo

massimo garantito non è di per sé sufficiente a far venir meno i rischi di abusi a cui il fideiussore è esposto.

In particolare, la banca ben potrebbe imporre al fideiussore omnibus di vincolarsi a garanzia di un plafond particolarmente cospicuo, così da porsi al riparo da ogni pericolo di insolvenza del debitore principale e da eludere i rischi insiti nella fissazione di un importo massimo garantito correttamente proporzionato all’ammontare del credito garantito nonché delle obbligazioni che in futuro il debitore principale potrà venire ad assumere nei confronti della banca stessa.

In effetti, se la ratio della legge che ha preteso l’indicazione di un importo massimo garantito era, evidentemente, quella di limitare la validità delle garanzie omnibus per debiti futuri - circoscrivendo così in concreto l’ampiezza dell’impegno assunto dal fideiussore - imporre da parte della banca un limite massimo troppo elevato, significherebbe vanificare la limitazione legislativa, compromettendo il recuperato equilibrio dei rapporti fra le parti.

Senza voler ridurre tale situazione a una mera questione di interpretazione della norma che impone l’indicazione dell’importo massimo garantito, si segnalano al riguardo opinioni recenti183 che - contestando la tradizionale distinzione fra regole di validità e

regole di comportamento - rivendicano un ruolo più incisivo per la buona fede.

art. 1956 c.c. nell’attuale prassi bancaria, in Resp. civ. previd., 2010, p. 1700 e ss. Ivi, l’A. opera anche una

valutazione dettagliata degli effetti della riforma del 1992 alla luce degli odierni usi bancari.

182 Per una disamina approfondita cfr. A. Di Biase, op. cit., p. 182 ss., in cui l’A. ripercorre dettagliatamente

l’analisi della questione, facendo un bilancio complessivo della riforma del 1992.

183 Si tratta, comunque, di una soluzione non univoca, prospettata, proprio relativamente alla fideiussione omnibus, da A. Di Biase, op. cit., p. 183 ss.

La tesi della buona fede quale limite all’autonomia privata, tale da incidere direttamente sul contenuto contrattuale, è sostenuta, seppur non con specifico riguardo alla fideiussione omnibus, anche da A. Riccio,

La clausola generale di buona fede è, dunque, un limite generale all’autonomia contrattuale, in Contr. e impr., 1999, p. 24

ss.; e, più di recente, S. Monticelli, La clausola claims made tra abuso del diritto e immeritevolezza, in Danno e

resp., 2013, p. 712 ss. Quest’ultimo afferma chiaramente che il canone di buona fede rappresenta un

“principio generale del diritto, codificato in materia contrattuale, e suscettibile, in quanto tale, di universale applicazione non solo nella fase dell’esecuzione del contratto ma anche in quella relativa alla determinazione del contenuto di esso”.

Per un’indagine di più ampio respiro sugli strumenti di giustizia contrattuale, nell’ottica della costruzione di un diritto privato europeo, cfr. G. Marini, Distribuzione ed identità nel diritto dei contratti, in Riv. crit. dir. priv., 2010, p. 63 ss.

In giurisprudenza, v. Cass. 24.09.1999, n. 10511, in Giur. it., 2000, p. 1154 ss., c.d. “sentenza Morelli”, la quale, in tema di riduzione d’ufficio della penale manifestamente eccessiva, afferma che l’intervento modificativo del giudice sul contratto non deve essere considerato come eccezionale, bensì quale “semplice aspetto del normale controllo che l’ordinamento si è riservato sugli atti di autonomia privata”

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In una prospettiva più ampia, la buona fede verrebbe cioè a rivestire il duplice ruolo di criterio di integrazione del contratto e di limite generale all’esercizio dell’autonomia privata: la sua violazione - ove si risolva nell’imposizione da parte di un contraente, a danno dell’altro, di un contenuto visibilmente squilibrato, in contrasto con il dovere di solidarietà sociale ex art. 2 Cost., di cui la buona fede stessa è espressione - potrebbe comportare, ai sensi dell’art. 1418 c.c., la nullità del relativo contratto o delle sue singole clausole184.

Alla luce di tali premesse, si dovrebbe dunque sostenere che, in una situazione come quella sopra ipotizzata - in cui l’importo massimo garantito sia in realtà di entità tale da risultare nei fatti obiettivamente sproporzionato, non raggiungibile dal garante nel momento in cui ha assunto la garanzia - oltre all’accesso al rimedio risarcitorio, la soluzione possa essere quella di ritenere la fideiussione prestata nulla per violazione dell’art. 1938 c.c., come se il limite in questione non fosse stato neppure posto, così acconsentendo, a pieno titolo, all’ingresso della buona fede quale parametro di controllo del contenuto contrattuale.

Certo, i rischi insiti in una siffatta, pur suggestiva, teorizzazione, sono evidenti: la buona fede diventerebbe in tal modo potentissimo strumento nelle mani del giudice, con cui sindacare la ragionevolezza, l’equilibrio e la congruità causale del regolamento contrattuale configurato dalle parti, tale da poter persino produrre effetti “sovversivi” rispetto allo stesso sistema delle fonti185.

184 La soluzione per cui la buona fede, integrata dal principio costituzionale, diventa norma imperativa in

grado di incidere sulla validità del contratto, non è però accolta dalla Corte di Cassazione, che continua a fare applicazione della distinzione fra le regole di validità dell’atto e la correttezza quale regola di comportamento. Cfr. Cass. 29.09.2005, n. 19024, in Foro it., 2006, n. 1, p. 1105 ss., con nota di E. Scoditti,

Regole di comportamento e regole di validità: i nuovi sviluppi della responsabilità precontrattuale, e Cass. 19.12 2007, n.

26724, ivi, 2008, n. 1, p. 784 ss., con nota di E. Scoditti, La violazione delle regole di comportamento

dell’intermediario finanziario e le Sezioni Unite.

185 Un’applicazione emblematica della teoria da ultimo esposta è stata di recente operata da due ordinanze

della Corte costituzionale, ord. 13.10.13, n. 248, in http://www.giurcost.org/decisioni/2013/0248o- 13.html, e ord. 26.03.2014, n. 77, in http://www.giurcost.org/decisioni/2014/0077o-14.html, di identico contenuto, oggetto di un commento di G. D’Amico, Applicazione diretta dei principi costituzionali e nullità della

caparra confirmatoria “eccessiva”, I Contratti, 2014, n.10, p. 927 ss. Le due ordinanze hanno affermato il potere-

dovere del giudice di rilevare e dichiarare (anche d’ufficio) la nullità (totale o parziale) ex art. 1418 c.c., della clausola contrattuale che preveda una caparra confirmatoria “manifestamente eccessiva”, per contrasto con il con il principio di “solidarietà sociale” di cui all’art. 2 Cost., che quindi entra direttamente nel contratto, come “contraltare” della buona fede, cui attribuisce vis normativa.

Il pericolo che deriva da una siffatta impostazione, segnalato dall’Autore del commento, è quello di immolare sull’altare della c.d. giustizia del caso concreto regole e principi fondamentali del diritto contrattuale; è inoltre evidenziato il rischio che si determini un’alterazione del sistema delle fonti, nei termini di una vera e propria trasformazione in un ordinamento in cui il diritto scritto convive con il diritto giurisprudenziale, fondato sull’equità, ritenuto idoneo a derogare al primo “ogni qualvolta le

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7. Fideiussione omnibus fra buona fede e ordine pubblico nella

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