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Le erosioni costiere e la giurisprudenza

PARTE IV: UNA TASSONOMIA DELLA GIURISPRUDENZA D

LEGITTIMITÀ E DI MERITO IN BASE AI SOGGETTI RESPONSABILI E ALL’AGENTE EZIOLOGICO DEL DANNO

1. Il Comune e il Sindaco

1.4. Le erosioni costiere e la giurisprudenza

In questo capitolo si tratterà delle sentenze concernenti i danni provocati da eventi idrogeologici, quali le erosioni costiere. E aventi quale figura di garanzia il Comune - Sindaco.

Con il termine erosione costiera ci si riferisce ad un arretramento e/o viceversa ad un avanzamento della linea costiera, causato da una molteplicità di azioni che portano alla disgregazione e demolizione della superfice del litorale.

I fattori causali sono molteplici, di natura sia geologica, meteoclimatica che antropica. Tra i molti fattori vi è per esempio la subsidenza, consistente in un abbassamento della superficie territoriale; fenomeno anch’esso che può essere originato da molte cause, quali naturali, geologiche e antropiche. In particolare, l’estrazione di fluidi dal sottosuolo ha portato negli ultimi anni ad una enorme perdita di volume a carico della spiaggia805.

L’erosione costiera può essere dovuta anche all’urbanizzazione delle coste: la sostituzione della vegetazione spontanea presente nelle coste con strutture balneari adiacenti alla battigia ne ha profondamente alterato l’equilibrio. Inoltre, l’edificazione di moli portuali, di opere di difesa come le scogliere frangiflutto hanno causato l’arresto dell’apporto di sabbia in alcune zone del litorale. Non da ultimo vi è il trasporto fluviale che, tramite bonifiche, imbrigliamento dei corsi d’acqua, l’asporto di ghiaia, ha anch’esso diminuito la deposizione della sabbia e gli apporti continentali nel mare.

Fatti del genere sono stati oggetto di analisi in sentenze sia di merito, sia di legittimità civili e penali, concernenti la responsabilità della Pubblica Amministrazione per i danni provocati a cittadini a causa di eventi idrogeologici del tipo erosione costiera.

Su questo tema merita accennare alla sentenza della Cassazione civile, sez. III, del 20 marzo 1998, n. 2980806. La vicenda giudiziaria ebbe origine con un atto di citazione delle parti danneggiate del 16 febbraio 1966; convenivano in giudizio il Comune di Cetraro affinché fosse condannato al risarcimento dei danni che costoro avevano subito nei loro terreni e/o fabbricati invasi dal mare. La causa era da rintracciarsi nell’erosione costiera, ed in particolare nella riduzione dell’arenile, dovuto alla costruzione di un porto rifugio, su commissione del Comune, che per errata progettazione, aveva alterato il flusso delle correnti e il dinamismo geologico marino. Con sentenza del Tribunale di Paola, del 13 giugno 1991, il giudice di prime cure condannava il Comune807.

Il medesimo ente pubblico territoriale proponeva appello, ma veniva rigettato dalla Corte d’Appello di Catanzaro che condannava il Comune anche spese processuali808.

Il giudice di appello riteneva infatti che nel caso in questione il Comune fosse responsabile sia ex art. 2051 c.c. sia ex art. 2043 c.c. Il Comune era committente e titolare del porto che aveva provocato il danno e alla base tra la costruzione dell’opera e l’erosione dell’arenile vi era un nesso di causalità diretta, dimostrato dallo stesso C.T.U. Il giudice sosteneva che vi fosse anche l’antigiuridicità della condotta, in quanto: «la discrezionalità della P.A. non la sottrae (il Comune, quale ente della Pubblica Amministrazione) all’osservanza delle specifiche norme e delle comuni regole di prudenza e diligenza poste a tutela dell’incolumità dei terzi e del loro patrimonio. La colpa sussiste in quanto il chiaro errore di progettazione dell’opera, per palesi negligenze od imperizia nello studio delle

805 M. AGUZZI, N. DE NIGRIS, M. MORELLI, T. PACCAGNELLA, S. UNGUENDOLI, L’erosione

costiera un fenomeno in atto, in Ecoscienza, 1, 2014. Si legga anche degli stessi autori l’articolo: Nuovi indicatori per lo studio e la gestione della costa emiliano-romagnola, in Studi costieri, 2016, 4, pp. 95-109.

806 Cass. civ., sez. III, 20 marzo 1998, n.2980 in De Jure. 807 Trib. Paola, 13 giugno 1991 in De Jure.

correnti marine, del moto ondoso, del flusso dei detriti e di quant’altro è emerso dai suindicati elaborati tecnici, rende evidente la condotta colposa del progettista nell’ubicazione e conformazione strutturale del porto»809.

Contro tale decisione il Comune ricorreva in Cassazione, sulla base di tre motivi. Veniamo allora alla sentenza di legittimità: Corte Cassazione, sez. III, 20 marzo 1998, n.2980810.

In primo luogo, il Comune si lamentava della illogicità, omessa motivazione, contraddittorietà e falsa applicazione degli artt. 1223 e 2697 c.c.; dato che, secondo il ricorrente, il giudice di prime cure e la sentenza di appello avrebbero aderito alle conclusioni del perito, tra l’altro non adeguatamente provate, senza riserve. Affermando inoltre che l’erosione prodotta fosse dovuta ad una serie di avvenimenti causali, quindi di concause, non riferibili solamente alla Pubblica Amministrazione.

La Suprema Corte affermava che tale doglianza atteneva ad una questione di merito che si sottraeva al sindacato di legittimità, e che il vizio di violazione e falsa applicazione della legge non appariva esserci.

Il secondo motivo concerneva la contraddittorietà, insufficiente motivazione, violazione e falsa applicazione della norma di cui all’articolo 2043 c.c. Il Comune infatti assumeva che: «il comportamento non è stato antigiuridico ma doveroso in quanto la decisione di dotare la costa di Cetraro della struttura portuale rientra nei poteri discrezionali della P.A. sottratti al sindacato del A.G.O. e le successive fasi (la scelta della zona, la fase progettuale e quella costruttiva) sono stati oggetto di atti tecnici perfettamente regolari e di procedure dalle quali è stato possibile riscontrare la conformità a tutte le norme vigenti in materia e alle regole dell’arte, in particolare l’opera è stata realizzata con l’avallo e l’approvazione di tutte le istanze tecniche e amministrative coinvolte nell’iter procedimentale ed esecutivo»811.

La Suprema Corte ha però ritenuto che l’aver seguito pedissequamente l’iter tecnico- amministrativo previsto dalla legge per l’esecuzione dell’opera pubblica non appare sufficiente per escludere l’antigiuridicità del fatto. La Pubblica Amministrazione deve infatti, anche successivamente all’esito favorevole dei controlli, agire con diligenza, secondo regole di comune prudenza, al fine di non danneggiare l’incolumità pubblica.

Limite questo che emerge anche dall’articolo 97 della Costituzione.

Inoltre, per quanto concerne la responsabilità ex art. 2051 c.c. la Suprema Corte affermava che anche in questo caso il Comune aveva un dovere di custodia nel verificare e accertarsi che l’opera non producesse danni anche dopo l’effettiva realizzazione.

In particolare, il Comune, esponendo il terzo motivo del ricorso, ossia denunciando la violazione e falsa applicazione dell’art. 1176 c.c., cercava di dimostrare che la realizzazione del porto era stata accolta sia dal Ministero dei Lavori Pubblici, che aveva inviato dei commissari per accertarsi che la zona fosse idonea, sia dalla commissione dei piani Regolatori dei Porti italiani. Il danno quindi, secondo il Comune, non poteva essere previsto, dato che solo dopo vent’anni si era manifestato questo problema di erosione. Doglianza questa che però è da considerarsi inammissibile, dato che non era stata espressamente proposta in sede d’appello, e quindi nuova.

La Cassazione riteneva tutti i tre motivi infondati e rigettava il ricorso, condannando il Comune di Cetraro alla rifusione delle spese del giudizio.

Di interesse è inoltre la sentenza della Cassazione civile, sez. III, del 14 marzo 2018, n.6139 per quanto concerne la relazione tra la responsabilità da cose in custodia ex art.

809 Ibidem.

810 Cass., sez. III, 20 marzo 1998, n.2980 in De Jure. 811 Ibidem.

2051 c.c. e il fenomeno idrogeologico dell’erosione costiera812,. Nel caso di specie il danneggiato ricorreva prima al Tribunale di merito; in seguito alla Corte d’Appello, affinché gli fosse riconosciuto un risarcimento dei danni conseguenti alle gravi lesioni riportate a seguito della caduta di un masso roccioso, dovuto al crollo della «parete scoscesa di contenimento di circa 3 metri di altezza»813.

Sia il Tribunale di primo grado, che la Corte d’Appello escludevano la responsabilità ex art. 2051 c.c. del Comune, dato che entrambi i giudici avevano ritenevano non evitabile l’evento dannoso, originatosi a causa dell’erosione marina in corso. Si sarebbe quindi trattato, secondo i giudici, di caso fortuito.

La parte attrice, ossia il danneggiato, impugnava quindi la sentenza della Corte d’Appello in Corte di Cassazione, denunciando la violazione e la falsa applicazione dell’articolo 2051 c.c., dato che entrambe le Corti avevano qualificato come caso fortuito «il mancato potere sulla cosa anche in rapporto all’onere della prova»814.

Il giudice di legittimità, contrariamente a quello che avevano prospettato i giudici precedenti, riteneva fondato e accoglieva il primo motivo di ricorso, assorbendo i rimanenti. La sentenza veniva quindi cassata e rinviata alla Corte d’Appello di Catanzaro in diversa composizione.

Non è tanto il fatto in sé di questa sentenza a destare interesse, ma le stesse parole della Suprema Corte che, riprendendo la miglior giurisprudenza, tracciano, delimitano e configurano la norma giuridica riguardante la responsabilità da cose in custodia. La Corte infatti sottolinea come la responsabilità ex art. 2051 c.c. sia una responsabilità di tipo oggettivo, che si muove attorno alla relazione causale che vi è tra la cosa e l’evento dannoso. Il comportamento del custode, la sua condotta, ha un rilievo quasi nullo. Il danneggiato, come già sottolineato, deve provare il rapporto causale tra la cosa e l’evento dannoso, mentre il danneggiante dovrà provare il caso fortuito per esimersi da ogni responsabilità; ossia deve provare un evento che assume i caratteri della imprevedibilità ed inevitabilità.

In tema circa la sussistenza dell’istituto del caso la Suprema Corte riteneva che le sentenze precedenti non avessero «fatto buon governo dei suesposti principi, muovendo da una prospettiva fuorviata dalla confusione tra il potere sulla cosa in custodia che quale causa ultima ha determinato l’evento lesivo e il potere invece di intervenire sul fenomeno esterno naturale (erosione della costa) che, incidendo sulla struttura e sulle condizioni della cosa in custodia, ne ha determinato il crollo a sua volta causa del danno»815.

L’impossibilità di controllare un fenomeno esterno come quello della erosione marina costituisce uno dei caratteri richiesti dal caso fortuito che però non è sufficiente.

L’ evento dannoso era infatti altamente prevedibile: il tratto di costa ove è avvenuto l’evento era infatti assoggettato da decenni a erosione marina ed era ordinariamente frequentato da bagnanti. Si configurerà quindi una vera e propria ipotesi di responsabilità ex art. 2051 c.c. a carico del Comune per danno causato da evento idrogeologico.

Ulteriore sentenza intervenuta sull’argomento è quella della Cass. pen., sez. IV, del 29 marzo 2018, n.14550816. È pregevole la disanima fatta dal giudice di legittimità sul tema della difesa del suolo, della pianificazione, sul sistema di Protezione civile e sul nesso di causalità.

812 Cass. civ., sez. III, 14 marzo 2018, n.6139 in De Jure. 813 Ibidem.

814 Ibidem. 815 Ibidem.

Nel caso di specie i danneggiati, ossia i parenti delle vittime, si costituivano in giudizio quali parti civili avanti il Tribunale di merito di Latina affinché fosse loro riconosciuto il risarcimento dei danni conseguenti alle lesioni mortali riportate da due studentesse a seguito della caduta di un masso sporgente sulla spiaggia delle isole Pontine. Le due vittime, giunte sul medesimo arenile per una gita scolastica, venivano infatti travolte da un masso di roccia piroclastica, che ne causava la morte per insufficienza cardio- respiratoria.

La Procura di Latina esercitava l’azione penale contro i Sindaci succedutisi e funzionari e li si imputava del delitto di cui all’art.113 c.p. e 589, 1 e ult. comma, c.p.: il Sindaco del Comune in carica di quando era avvenuto il fatto, il Sindaco del mandato precedente, il tecnico comunale e il Dirigente che si occupava dell’Area decentrata di Latina. Ciascuno di loro infatti aveva, secondo il giudice prime cure, agito con negligenza, imprudenza, imperizia ed inosservanza delle norme, delle competenze e delle funzioni affidate loro. Costoro infatti avevano omesso, nel caso concreto, di segnalare il pericolo esistente nel suddetto territorio; in particolare omettevano di segnalare all’Autorità dei Bacini Regionali del Lazio gli eventi franosi avvenuti nella medesima zona poco tempo prima; omettevano anche di trasmetterne i dati e di partecipare alla Conferenza programmatica predisposta dall’Autorità dei Bacini Regionali. In tal modo non consentivano ai membri dell’Autorità dei Bacini Regionali del Lazio di avere una sufficiente conoscenza dello stato dei luoghi per la messa in sicurezza della zona. Si contestava inoltre al Dirigente dell’Area di non aver predisposto dei micropali di ancoraggio per il posizionamento di una rete metallica che avrebbe potuto evitare l’evento dannoso.

Il giudice infatti sosteneva che: «l’Autorità di Bacino deve essere messa a conoscenza di qualsiasi fenomeno franoso; solo in questo modo si può avere un quadro completo e veritiero della fragilità delle coste e dei territori»817.

La Corte d’Appello riprendendo le stesse parole del giudice di prime cure proseguiva dicendo «L’omessa segnalazione di eventi rilevanti per l’assetto idrogeologico ha precluso la classificazione come zona a rischio o come area di attenzione della spiaggia, con particolare riferimento alle pareti rocciose retrostanti e al sito del crollo»818.

Le Autorità di Bacino, come previamente sottolineato, tutelano la difesa del suolo, delle acque, del patrimonio idrico et cetera; si avvalgono di un piano di Bacino che funge da strumento conoscitivo, tecnico-operativo, per pianificare le attività funzionali alla difesa del suolo. In particolare, nella Regione Lazio erano state istituite due autorità: Autorità del Bacino del Tevere e l’Autorità dei Bacini Regionali del Lazio. I Piani di bacino regionali vengono approvati tramite la trasmissione di un progetto dall’Autorità di Bacino regionale alla Giunta Regionale, che viene poi pubblicata in almeno due quotidiani nazionali e sul Bollettino Ufficiale della Regione. Tali Autorità però erano state abrogate con il D.lgs. n.152 del 2006819, il cosiddetto Codice dell’ambiente. Tuttavia, nel periodo in cui era avvenuto il fatto lesivo di cui alla sentenza, non essendo ancora intervenuti i Decreti Ministeriali attuativi della normativa, le Autorità continuavano a svolgere le loro mansioni.

La sentenza di primo grado ha il pregio di aver analizzato in modo esaustivo le cause morfologiche del crollo, la prevedibilità, l’evitabilità dell’evento, le posizioni di garanzia e il nesso causale.

In particolare, il giudice di prime cure si era soffermato sull’individuazione della condotta alternativa corretta; affermava infatti che sarebbe stato opportuno che gli imputati, in particolare i Sindaci, avvalendosi anche di consulenti tecnici, geologi, ingegneri,

817 Ibidem. 818 Ibidem.

avrebbero dovuto ispezionare la parete rocciosa della costa, prelevato campioni, segnalando le frane all’Autorità di Bacino, posto dei segnali di divieto di sosta in prossimità della parete rocciosa.

In merito a ciò è importante sottolineare che la legge regionale Lazio del 7 ottobre 1996, n.39 e il decreto-legge del 12 ottobre 2000, n.279 (modificato con legge del 11 dicembre 2000, n.365) prevedevano che il Comitato istituzionale dell’Autorità di Bacino ed il Consiglio Regionale non potessero adottare il P.A.I. senza aver previamente acquisito l’assenso o le obiezioni del Sindaco820.

In sostanza il giudice di primo grado, richiamandosi alla normativa di Protezione civile ed in particolare alla legge 225 del 1992, individua il Sindaco come primo responsabile e come autorità base di Protezione civile.

Certamente l’origine del crollo era da rinvenirsi nell’evoluzione della falesia e quindi in fattori di tipo geologico: quali la fragilità e friabilità della roccia piroclastica, l’azione erosiva de fattori atmosferici e del mare, ma con la dovuta diligenza si sarebbe potuto certamente evitare l’evento dannoso. Si trattava infatti di un evento altamente prevedibile.

Il giudice di merito recupera il concetto di prevedibilità dalla migliore giurisprudenza, ossia dalla sentenza della Cassazione concernente il caso di Sarno, laddove si sottolineava come il giudizio di prevedibilità debba riferirsi non solo agli eventi passati, ma principalmente agli eventi futuri, tramite una rappresentazione dei possibili eventi dannosi.

A seguito della sentenza di condanna di primo grado, gli imputati interponevano appello. La Corte d’Appello di Roma, con la sentenza dell’11 settembre 2017821, ebbe sostanzialmente a fare proprie le motivazioni della sentenza di primo grado, confermando la condanna.

Gli imputati ricorrevano in Cassazione.

Tema che viene affrontata in sede di legittimità è la natura demaniale dell’area laddove è avvenuto l’evento.

Innanzitutto, deve sottolinearsi che non si trattava di una zona privata, in quanto non era mai stato emanato un provvedimento di sdemanializzazione. È essenziale quindi, ai fini di stabilire chi avesse la competenza su quella data area, capire se fosse destinata ai pubblici usi di mare e se appartenesse al demanio marittimo. Le norme giuridiche agli artt. 822 c.c. e 28 del codice della navigazione fanno riferimento ad una categoria aperta, che include nel demanio marittimo arenili, litorali, baie e fasce costiere.

Inoltre, in base alla legge regionale del 6 agosto 1999, n.14 e alla legge Regionale del 11 dicembre 1998, n.53822, si erano riservate ai Comuni le funzioni e i compiti amministrativi in materia di turismo ed in materia di prevenzione e di Protezione civile. Lo stesso D.P.R. n.616 del 1977 e il successivo D.Lgs. del 31 marzo 1998 n.112, hanno

820 L.R Lazio del 7 ottobre 1996, n.39- Disciplina Autorità dei bacini regionali; D.L. 12 ottobre 2000, n.279 –

Interventi urgenti per le aree a rischio idrogeologico molto elevato e in materia di Protezione civile, nonché a favore delle zone della Regione Calabria danneggiate dalle calamità idrogeologiche di settembre ed ottobre 2000; L. 11 dicembre 2000, n.365 - Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 12 ottobre 2000, n. 279, recante interventi urgenti per le aree a rischio idrogeologico molto elevato ed in materia di Protezione civile, nonché a favore delle zone della Regione Calabria danneggiate dalle calamità idrogeologiche di settembre ed ottobre 2000.

821 App. Roma, 11 settembre 2017 in De Jure.

822 Art. 77 della L.R. del 6 agosto 1999, n.14 - Organizzazione delle funzioni a livello regionale e locale per la

realizzazione del decentramento amministrativo e L.R. 11 dicembre 1998, n.53 - Organizzazione regionale della difesa del suolo in applicazione della legge 18 maggio 1989, n. 183

delegato alle Regioni le aree del demanio marittimo con funzioni turistico-ricreative823. Tale gestione amministrativa del demanio marittimo con funzioni turistico-ricreative in capo alle Regioni è stata poi, con l’articolo 118 della Cost., attribuita ai Comuni.

Nel caso di specie, trattandosi di un costone roccioso arretrato rispetto alla spiaggia, era escludersi che appartenesse al demanio marittimo; non era infatti riconducibile alla destinazione degli usi pubblici di mare.

La catalogazione operata non muta per nulla i doveri e gli obblighi in capo al Comune; infatti la Suprema Corte sancisce che: «il corretto svolgimento da parte della Regione e del Comune di funzioni amministrative inerenti alla pianificazione idrogeologica e alla materia turistico-ricettiva e l’attribuzione al Sindaco di funzioni amministrative in materia di Protezione civile comportano a carico degli amministratori degli Enti locali obblighi di controllo circa il sicuro accesso alla spiaggia dalla terraferma, non elisi dalla riserva allo Stato di funzioni amministrative sulle aree destinate ad uso pubblico inerente ai distinti interessi di difesa e sicurezza nazionale, indentificate con D.P.C.M. del 21 dicembre 1995»824.

A seguire la Suprema Corte si soffermava sull’attività di pianificazione idrogeologica e sulla difesa del suolo e, nel riconoscere violazioni di adempimenti in capo al Sindaco, si perveniva ad affermare che:

la posizione di garanzia richiede l’esistenza dei poteri impeditivi che, peraltro, possono anche concretizzarsi in obblighi diversi e di minore efficacia, rispetto a quelli direttamente e specificatamente volti ad impedire il verificarsi dell’evento. Del resto, nella gran parte dei casi, i garanti non dispongono sempre e in ogni situazione di tutti i poteri impeditivi che invece, di volta in volta, si modulano sulle situazioni concrete. Saranno proprio le situazioni concrete a determinare l’ambito dei poteri impeditivi esigibili da parte del garante e questi poteri possono essere limitati ad un mero obbligo di attivarsi825.

In sentenza la Corte di Cassazione indicava nel Sindaco l’autorità comunale di Protezione civile cui si imputava di non aver contrastato e di non aver emanato provvedimenti adeguati a prevenire i fattori di rischi esistenti.

Venivano ritenuti responsabili entrambi i Sindaci dello stesso Comune, anche il Sindaco precedente, in quanto «solo un errore nuovo, idoneo ad aprire nuove prospettive e ad interrompere il nesso causale poteva far venire meno la responsabilità dell’altro826. Nel

caso in questione il crollo di una parte della costa si era verificato nel corso del mandato del primo sindaco; egli quindi conosceva la pericolosità della zona, ma nonostante ciò non ne aveva riportato l’informazione all’Autorità di Bacino.

L’agente modello quindi sarebbe colui che, pur non avendo specifiche competenze in

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