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La ricostruzione del dovere di agire

PARTE IV: UNA TASSONOMIA DELLA GIURISPRUDENZA D

LEGITTIMITÀ E DI MERITO IN BASE AI SOGGETTI RESPONSABILI E ALL’AGENTE EZIOLOGICO DEL DANNO

1. Il Comune e il Sindaco

1.1. Le sentenze guida: l’alluvione di Genova e la frana di Sarno 1 Genova, novembre

1.1.3. Sarno, maggio

1.1.3.2. La ricostruzione del dovere di agire

Si ricostruisce in sentenza Corte Cassazione, sez. IV, 12 marzo 2010, n.16761 l’evoluzione normativa della Protezione civile, iniziando dalle norme previgenti sino all’entrata in vigore della legge 225/92 (all’epoca vigente). Non si ripete qui quanto più volte illustrato.

Meritano menzione le considerazioni critiche nei confronti dei giudici del merito laddove erroneamente consideravano per esempio, che quando il Sindaco allerta il Prefetto allorché il fenomeno non era più gestibile con i soli mezzi comunali il primo perderebbe le funzioni di Protezione civile a favore del secondo.

In particolare, il giudice di prime cure sottolineava come la legge all’epoca vigente non avesse schematizzato in modo chiaro gli organi che nel caso di specie sarebbero dovuti intervenire; anzi rilevava che al Sindaco non spettasse alcuna attività di previsione, prevenzione e di evacuazione. Parimenti errate sono anche le affermazioni del giudice del gravame per cui al Sindaco non spetterebbe il compito di evacuazione, spettando questo al Prefetto.

La tesi errata dei giudici di merito era che il Sindaco avrebbe cessato dalle funzioni quando alle ore 18 del 5 maggio ebbe a comunicare al Prefetto l’emergenza, così subentrando l’Ente gerarchico superiore nelle opere di soccorso. Tesi alla cui base si intuisce fondarsi il giudizio assolutorio. Ma tesi errata stante la quale si sarebbe individuata una competenza superiore in chi era provato non essere pronto perché disorganizzato. Gli errati argomenti di diritto dei giudici del merito portavano alla creazione di situazioni di fatto in cui finiva per mancare un effettivo centro di competenza e, laddove, invece il legislatore volutamente aveva imposto i principi di coordinamento, sussidiarietà et cetera.

Così come grave è stato il disconoscimento da parte del giudice di primo grado della efficacia normativa della direttiva Barberi del 1996, limitandosi questa (si era detto) a enucleazioni di principi di tipo tecnico-pratico sull’emergenza657; era invece un atto

normativo emesso su delega espressa della L.n.225/1992. Con la medesima direttiva si

654 Ibidem.

655 Trib. Nocera Inferiore, 03 giugno 2004 in De Jure. 656 App. di Salerno, 06 ottobre 2008 in De Jure. 657 Ibidem.

imponevano normativamente attività quali: l’adozione di tavoli consultivi, di piani comunali di Protezione civile, di prevenzione, un contributo comunale e la gestione dell’emergenza da parte dello stesso Sindaco.

È ovvio che se si ricostruiscono malamente le fonti, e la loro efficacia impositiva di doveri avanti i gravi eventi idrogeologici, poi ne derivano conseguenze in punto di attribuzione di responsabilità.

Nella sentenza di merito di gravame si riportano in modo errato gli stessi eventi, anche in modo contraddittorio: si dice da un lato che alle 18.30 il fenomeno era di assoluta gravità e che i poteri erano in via esclusiva del Prefetto, dato che il Sindaco aveva telefonato alla prefettura asserendo della impossibilità di farvi fronte (ma il fax era delle ore 20.47). A seguire si dice anche che se il Sindaco avesse adottato l’evacuazione (tra l’altro non di sua competenza secondo i giudici di merito) non sarebbe stato possibile provare che non vi sarebbero stati decessi; infatti, i decessi non sarebbero avvenuti per il crollo delle abitazioni, ma per l’investimento delle colate di fango. Si sottolinea infine che non vi sarebbe stata prova che i cittadini non avrebbero lasciato le abitazioni a seguito dei messaggi tranquillizzanti. Questo perché il Sindaco infatti avrebbe, con un comportamento attivo, rilasciato dei messaggi tranquillizzanti tramite i quali esortava la popolazione a non preoccuparsi e a rimanere nelle proprie case, determinandone così successivamente la morte.

Inoltre, la sentenza di primo grado e quella della Corte d’Appello di Salerno sottolineavano, in assenza di qualsiasi giudizio ex ante di carattere logico e secondo leggi scientifiche, che di colate fangose siffatte ve ne erano state diverse negli ultimi cento anni. Risulta invece documentato che, dal primo pomeriggio del 5 maggio, la quantità e la qualità delle colate fangose era di portata straordinaria, prima ancora di quelle delle ore 22 che avrebbero portato ancor più distruzione con le morti658.

Lasso di tempo in cui, come risulta dall’imputazione descritta, il Sindaco omise di adottare iniziative imposte da plurime fonti e concernenti la sua posizione di garanzia.

Si viene ad affermare anche la eccezionalità delle colate di fango, sì da considerarle fatto autonomo tale da escludere il rapporto di causalità. E, la loro imprevedibilità per la particolarità del fenomeno che sarebbe estraneo alla conoscenza della comunità scientifica; argomentandosi dai giudici del merito che nel caso in esame sarebbe difettata la conoscenza, la riconoscibilità della situazione di pericolo, del fine dell’azione doverosa, dei mezzi necessari, oltre che della possibilità di agire.

Nel corso del lungo processo, poi, conclusioni con la sentenza della Cassazione del 2010 si viene a riconoscere che il Sindaco era responsabile della morte delle centinaia dei suoi concittadini. È stato assunto in modo pacifico che la causa materiale degli eventi era da ricondursi alle plurime e sempre più imponenti colate di fango scese dal monte sopra Sarno, provocate dalle intese precipitazioni (note da giorni) che avevano smosso la parte superficiale del terreno costituito da pomici e ceneri vulcaniche poggiato su rocce calcaree659.

658 E. REALACCI, Sarno, Fango sull’Italia, in Rivisteweb, fasc.2, 1998, pp.219-230 «Un disastro annunciato, una

tragedia che tutti dallo Stato alla Regione, dalla Provincia ai Comuni potevano contribuire a evitare. Sono bastati tre giorni di maltempo, una quantità di pioggia non eccezionale per violenza e quantità, ed ecco che puntualmente si assiste all’ennesima catastrofe. Il teatro della tragedia è un paesaggio, quello campano, segnato drammaticamente da decenni di abusi edilizi, incendi dolosi, smalti- mento illegale dei rifiuti, escavazioni abusive, e dalla mancanza di ogni seria politica di prevenzione e manutenzione territoriale».

659 E. REALACCI, Sarno, Fango sull’Italia, in Rivisteweb, 1998, 2, pp.219-230: « La dorsale è costituita da un

complesso calcareo su cui giace uno strato di materiale piroclastico (di origi- ne vulcanica) incoerente, formato da pomici, lapilli e ceneri, che quando è secco presenta una elevata porosità. Il calcare ha un tempo di permeabilità maggiore rispetto allo strato sovrastante, per cui quando si verificano precipitazioni molto

È stato poi provato dai giudici della Corte d’Appello di Napoli, giudici del rinvio, che il Sindaco, autorità locale di Protezione civile, se avesse adempiuto agli obblighi impostigli, allertando la popolazione sin dalle prime avvisaglie di importanti colate del pomeriggio ed evacuando la stessa, si sarebbero evitate con alta probabilità gran parte dei morti; con una indagine controfattuale ex ante avrebbe provato che l’evento era prevedibile e prevenibile.

E la Corte di Cassazione del 2010, nel dettare i principi di diritto per il successivo esame del merito, evidenzia come fondamentale sarebbe stata la prova circa l’efficacia impeditiva da parte del Sindaco del cosiddetto “comportamento alternativo lecito”.

E per arrivare alle positive conclusioni (e di cui alla sentenza Corte Appello Napoli del 20 novembre 2011, poi confermata da Cassazione del 26 marzo 2013) si sono dovuti affrontare diversi step: in primis se al Sindaco incombessero quegli obblighi impeditivi negati dai primi giudici del merito e, se nella gestione dell’emergenza egli si fosse reso responsabile della violazione di regole cautelari la cui osservanza avrebbe evitato almeno alcune delle conseguenze del disastro avvenuto.

Così dovendosi in primis destrutturare gli elementi costitutivi del reato omissivo improprio.

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